Ti avrei chiamata Yamka.
Un nome della tribù degli Hopi che significa: il tempo della fioritura.
Come la primavera più attesa dopo un interminabile inverno.
Mi avresti liberato dal passato regalandomi un futuro.
Avrei avuto una ragione per fare la guerra e una ragione per fare la pace.
Sarei stato felice di cacciare il bisonte per nutrire te e tua madre.
Ti avrei procurato una coperta per il freddo e avrei piantato la tenda vicina al fiume per rinfrescarti dal caldo.
Saresti stata un piccolo amore capace di accucciarti nel mio cuore, saresti stata l’amore più grande capace di raccogliere tutte le stelle in uno sguardo e poi farne un tappeto di luci dove sdraiarci insieme a guardare l’universo.
Ti avrei fatto assaggiare i lamponi e le fragole, ti avrei visto correre a piedi scalzi nella prateria, ti avrei visto diventare donna dimenticandomi di osservare me stesso diventare vecchio.
Avrei preso la tua mano milioni di volte per sentirla crescere, per sentirla stringere, per sentirla scaldarsi tra le mie mani.
E invece sono solo un guerriero stanco.
Stanco di combattere per una libertà che non posso regalarti, stanco di combattere per un orgoglio che non può proteggerti, stanco di combattere per una terra che non puoi calpestare.
Gli uomini bianchi pensano che noi siamo selvatici.
Pensano addirittura che non abbiamo un anima.
Gli uomini bianchi pensano che noi non saremmo stati una famiglia ma un branco.
Un branco di lupi pericolosi.
Gli uomini bianchi danno alle parole un significato così vago per poterle usare come alibi per i loro delitti.
Chiamano “amore” ciò che per noi è “dimostrami che sono il migliore”.
Chiamano confidenzialmente “Dio” ciò che per noi è “il grande mistero”
Yamka, manchi come a un fiore può mancare il seme, manchi come al fiume può mancare un oceano, manchi come all’aquila manca il cielo.
E mi manca il non poterti insegnare che non esiste “riserva” peggiore di quella che ti costruisci da sola
Avremmo osservato da lontano gli uomini bianchi arrendersi e marciare verso le loro prigioni che chiamano progresso.
Hanno costruito le “macchine” per poi diventarne schiavi, vittime di un “destino manifesto” che si sono progettati da soli.
All’inizio era solo un modo per combattere la fatica, oggi stanno uccidendo la vita.
Ti avrei portata lontano.
Lontano da loro.
Conoscevo un posto dove i selvatici possono trovare rifugio e continuare a vivere senza sentirsi costretti a sentirsi utili.
Senza di te quel posto non ha più senso per me.
Mi arrendo al destino.
Come se il destino fosse un generale dai lunghi capelli biondi al quale chiedere in cambio della mia resa di prendersi la mia vita e darmi in cambio l’illusione di poterti raggiungere dovunque tu mi stia aspettando.