Guidando verso le Black Hills.

Guidando verso le Black Hills.
Ti scrivo per dirti che mai avrei immaginato di trovare un tempo cosi’.
Mi avevano giurato che ci sarebbe stato il sole.
Per questo sono partito a caccia dei cavalli selvaggi, gli ultimi rimasti.
Qui tra il Wyoming e il Montana dove in mezzo a questi spazi immensi non posso fare a meno di sentirmi grande come uno di quei soldatini con cui giocavo da piccolo.
Guido facendo bang bang su ogni cartello stradale lasciando buchi di proiettile nel ferro che il vento benedice come si benedicono le scorciatoie.
Ho messo la tua foto sul cruscotto di fianco all’acqua.
Se non bevo mi si secca la gola, con questo caldo e questa terra che entra dai finestrini e si fa respirare come fosse il pegno da pagare per entrare in paradiso.
Un giorno mi hai chiesto dove andassi e io rimasi in silenzio cosi’ a lungo che tu ti addormentasti sul mio braccio mentre guardavi fuori dal finestrino.
Non ebbi il coraggio di svegliarti e sopportai un invasione di formiche che mi addormentarono l’arto per mezza giornata.
Guidai con una mano sola, mentre all’orizzonte si addensavano le nuvole.
Credo ci sia una certa somiglianza fra te e il temporale.
Sia te che lui mi fate paura ma non posso fare a meno di desiderarvi.
Entro nel cono d’ombra di una nuvola come se entrassi nel cono d’ombra del tuo amore, piu’ nera la nuvola piu’ forte il desiderio di averti.
Tornerò.
Non è una promessa. E’ una speranza.
Tornerò con le mie avventure da raccontarti e le tue da ascoltare.
Tornero’ con la barba più lunga, invecchiato e qualche canzone nuova da cantarti.
Lo sai che ho fatto una barchetta di carta e gli ho dato il tuo nome, l’ho fatta navigare in una pozza d’acqua che sembrava un oceano.
E quando il vento l’ha fatta ribaltare io l’ho salvata prima che potesse affogare.
Tornero’.
Tornerò perchè l’unica cosa che ho imparato da miei viaggi è che solo i ritorni danno un senso alle partenze.
Mi troverai addormentato in macchina di fronte a casa tua, vieni a bussarmi sul vetro.
Voglio svegliarmi vedendo il tuo sorriso appoggiato sul finestrino.
Poi sali che ce ne andiamo dove vuoi. Mostra meno

il pianeta terra è un bastimento

il pianeta terra è un bastimento che galleggia nell’universo in balia della forza di gravità, una biglia di muschio sfuggita a un cucciolo di dio, dicono sia abitata da miliardi di minuscoli esserini viventi unici per la loro capacità di fare ragionamenti, chi più chi più meno tutti hanno pensieri con cui fare i conti, la loro fortuna è che la biglia andò persa e a nessuno venne in mente di andarla a cercare, tra questi minuscoli esseri viventi quelli che pensano di più si chiamano umani, i loro pensieri creano meraviglia e tragedia, chi ha avuto la fortuna di analizzarli con un microscopio è rimasto sorpreso dalla loro capacità di mutare, sono addirittura passati dall’avere paura del fuoco al dominare il fuoco, dominare è la loro passione, dominano tutto tranne se stessi, ma la cosa che ha appassionato gli studiosi di questi minuscoli abitanti di questa piccola palla di muschio è la loro capacità di sottomettersi in massa al potere di pochi, esserini cosi’ intelligenti sono stati addomesticati dalla prospettiva del potere a tal punto che i sottomessi non combattono i soprusi perchè troppo impegnati nel tentativo di diventare sopraffattori, sono carini nel loro continuo agitarsi e ritrovano il senso del branco solo di fronte a pericoli di cui non conoscono la provenienza o il modo di combatterli, a quel punto, come cani del deserto quando si avvicina il falco, si richiudono tutti in casa lasciando fuori poche sentinelle che coraggiosamente daranno il segnale di pericolo passato, e poi questa biglia di muschio tornerà a crogiolarsi al sole della libertà, che dopo tempi di oscurità sembrerà essere ancora più caldo, giusto il tempo di abituarsi e tutto tornerà come prima, c’è chi ascolterà se stesso e chi metterà sul piatto (strana invenzione ma tra le poche degne di nota) un disco di Nina Simone per ascoltare la sua meravigliosa versione di Mr. Bojangles, Mr Bojangles che detto fra noi era uno di quegli umani che mandammo in quello strano pianeta nel tentativo di insegnare agli esseri umani che ballare è molto meglio che correre senza saper nemmeno dove si dovrebbe andare 

Grezzo

E’ molto piu’ complicato per un nobile diventare un contadino che viceversa.
Per questo motivo mi vanto del mio essere grezzo.
Finalmente piove e le piante avranno acqua priva di calcare, i diamantini (uccellini tropicali) sono al riparo sotto la tettoia e ieri ho scoperto un uovo nella loro mangiatoia. 
Non l’ho toccato.
Certo che figliare dopo solo una settimana che li ho adottati e’ stato un colpo basso.
Ora sono otto, stanotte ho fatto un incubo in cui mi ritrovavo in una casa invasa da uccellini colorati, erano ottocento.
E Babi ha dormito sul letto.
Uno strappo alla regola che non ha un motivo preciso se non il fatto che ieri sera prima di addormentarmi ho scoperto che mi guardava con occhi languidi.

Imparare a stare da soli è come imparare a camminare.

Imparare a stare da soli è come imparare a camminare.
Prima ti appoggi a qualcosa, poi, poco a poco, abbandoni l’appoggio e cominci a fare brevi distanze dondolando come una nave nella tempesta.
Cadi.
Conosci il dolore.
Ti rialzi.
Cadi.
Conosci il dolore.
Ti rialzi.
E poi non cadi più.
Qualunque sia il punto di arrivo tu sai che ce la puoi fare ad arrivare
Durante il viaggio incontri persone, trovi amori, qualcuna prova a fermarti, altri ti porgono un appoggio, tu porgi il braccio per fare qualche passo insieme, scambi quattro chiacchiere, giusto il tempo di chiederti se durerà per sempre per poi scoprire che per sempre non esiste.
Ti rinchiudi nella tua esistenza come uno di quei ricci che tornando a casa in campagna di notte trovavo sul bordo della strada.
Lo raccoglievo e lui si chiudeva diventando una fortezza inespugnabile.
Il segreto era appoggiarlo con dolcezza sul palmo della mano e salvarlo portandolo dentro il bosco.
Una volta appoggiato restavo li a guardare fino a che non si riapriva, spuntavano i suoi occhietti che si guardavano un attimo intorno prima di fuggire.
L’avrebbe mai capito che aveva cercato di difendersi da chi voleva solo salvargli la vita?
Imparare a stare da soli è come imparare ad andare in bicicletta, come imparare a sciare.
Una volta che hai imparato non lo scordi mai più.
O forse si.
Forse esistono da qualche parte persone capaci di farti riprovare l’estasi del bambino barcollante che mentre sta per cadere trova un dito da afferrare con la sua piccola mano e alzando lo sguardo verso il cielo crede, per un attimo crede, che quel dito sarà li per sempre.

Ci staremo in due

Ci staremo in due. 
Stretti stretti.
C’è solo un letto e una piccola cucina
Si può solo far l’amore e mangiare
E sul lato c’è una piccola porta
Per poter uscire a vedere scorrere le stagioni
Come macchinine su un pavimento di marmo
Dove un dio bambino non smette mai di giocare
A noi non importa
A noi importa l’ombra dell’albero quando c’è il sole
Storie da raccontare quando piove
E un fuoco quando comincia a nevicare
Il passato è buccia di arancia
Mangiato il frutto
La puoi buttare.

Il suonatore Jones

ll suonatore Jones amava una donna che non aveva mai visto.
O meglio non l’aveva mai vista davvero ma nella sua fantasia era comparsa così tante volte che se fosse spuntata improvvisamente dall’angolo di una strada lui l’avrebbe riconosciuta e fermata.
Non sapeva come si chiamava.
Non aveva mai dato troppa importanza al nome convinto del fatto che è la persona che rende bello il nome e non il contrario.
Il suonatore Jones aveva un amico che aveva una madre che sapeva vedere cose che gli altri non vedevano.
Un giorno chiese a lei se quella ragazza esisteva davvero o se fosse solo un invenzione della sua mente, la donna che vedeva cose che gli altri non vedevano le rispose che ogni cosa immaginata esiste, come una madre genera un figlio così l’immaginazione genera desideri e crea amori che hanno la stessa vitalità e la stessa precarietà di un bambino.
Il suonatore Jones scriveva canzoni dedicandole a lei, a volte sembravano canzoni d’amore dove l’amore era un filo teso sul vuoto e il vuoto era un filo teso sul nulla.
A volte erano canzoni di malinconia dove la malinconia era come una pozzanghera che rifletteva la luce di un lampione che illuminava se stesso.
A volte c’erano le parole, a volte c’era solo la musica.
A volte non c’erano ne parole ne musica ma erano canzoni silenziose per non rischiare di perdersi il rumore di lei che suonava alla sua porta.
Il suonatore Jones è morto in una stanza d’ospedale, il medico ha detto che il cuore ha ceduto, e nessuno si è meravigliato, un cuore può sempre cedere.
Non c’era nessuno a chiedere di Jones, qualcuno potrebbe pensare che la donna che Jones amava avesse perso l’ultima occasione per farsi trovare.
Se non fosse che mentre il cuore di Jones precipitava una donna spuntò dal buio per prenderlo al volo e se lo portò via in qualche luogo dove nessun luogo può arrivare.
Avrete già capito che quella donna era proprio la donna che Jones amava da sempre, avrete già capito che mentre lui la stava cercando lei lo stava aspettando, avrete già capito che ciò che non siamo mai riusciti a trovare forse è da qualche parte che aspetta di vederci passare.

Alcune ragioni per cui non bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto.

Alcune ragioni per cui non bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto.
Prima di tutto lo sconforto non serve a nulla.
Anzi.
Lo sconforto è la resa di fronte al panico, è la bandiera bianca di fronte alla minaccia prima di aver combattuto.
E’ aprire il portone del tuo fortino lasciando entrare il tuo nemico che non vedeva l’ora di vederti cedere alle sue urla.
Oltre a questo bisogna analizzare la situazione con la freddezza del guerriero.
E il guerriero sa che in ogni battaglia bisogna saper gestire i propri punti di forza.
E noi siamo forti, forti quanto decidiamo di essere.
Dipende da noi.
Possiamo lasciarci andare al pessimismo e frignare come bambini di fronte alla paura o imporci l’ottimismo sapendo che in passato uomini e donne hanno affrontato prove ben peggiori.
Frignare solo perché siamo costretti a stare in casa è un insulto verso chi in ospedale sta combattendo questa guerra in prima linea, malati, medici, infermieri e tutti quelli che mentre noi attendiamo l’esito della guerra su un divano la guerra la combattono in prima linea.
Quante prove avete superato nella vostra vita?
Quante volte avete pensato di non farcela e ce l’avete fatta?
Quante volte di fronte ad un amore finito avete pensato che fosse l’ultimo e poi vi siete innamorate di nuovo e più di prima?
La nostra immaginazione costruisce muri e la nostra volontà li abbatte, con quei mattoni costruiamo strade, case e ponti verso il futuro.
No, io non riesco a farmi prendere dallo sconforto.
Non ne ho il diritto.
Non posso per rispetto verso chi soffre davvero, non posso perchè ho costruito la mia vita sulla consapevolezza di tutti i privilegi di cui ho goduto e continuo a godere.
Non ho idea di quanto durerà questa storia.
Questa incertezza è la vera sfida e la sfida è accettata.
Abbiamo dei libri?
Musica da ascoltare?
Amici a cui telefonare?
Figli da proteggere?
Animali da accudire?
Queste sono le nostre armi.
L’arte e gli affetti.
Armi con cui affrontare il tempo rendendolo utile alla nostra crescita interiore.
Lo sconforto non serve a nulla se non a renderci fragili di fronte alle persone che cercano in noi la forza per andare avanti.
La speranza non è un diritto ma un dovere.
Un dovere verso chi senza speranza non avrebbe più motivo di combattere per noi.
Ricordandoci sempre cosa disse il grande capo indiano Piede di Corvo:
“Che cos’è la vita? Lo sfavillare di una lucciola nella notte. Il respiro sbuffante di un bisonte nell’inverno. La breve ombra che scorre sopra l’erba e si perde dentro il sole.”
Tornerà lo sfavillare della lucciola nella notte, tornerà a sbuffare il bisonte e scorrerà di nuovo l’ombra sull’erba e sarà ancora più bello perchè sarà come se fosse per la prima volta

Mi sono svegliato alle cinque del mattino

Mi sono svegliato alle cinque del mattino e non sono più riuscito a prender sonno.
E’ la prima mattina della mia vita che mi sento in trappola.
Come se fossi stato catturato la sera prima e al risveglio mi accorgo di essere in gabbia.
Mi vesto e esco.
La città è silenziosa e deserta.
Vado dal giornalaio a prendere il giornale e scambio due parole per condividere quella strana sensazione di pericolo imminente.
C’è aperto solo il McDonalds, avrei voglia di un caffè ma preferisco aspettare che apra un bar.
Cammino incrociando in mezz’ora due persone che si infilano in macchina con qualche bagaglio e sembrano fuggire e una ragazza che corre con il suo cane.
La verità è che sembra di essere dentro un videogame dove il nemico potrebbe essere dovunque.
La paura mi crea sensi di colpa e anche drammatizzare sembra esagerato, verrebbe voglia di credere che stiamo tutti recitando una parte.
Ed invece è tutto vero.
Non vedo l’ora che siano le sette e apra il bar, prenderò caffè è brioche e troverò qualcuno con cui scambiare un sorriso.
In fondo c’è di peggio, e quando dio creò il peggio lo fece perchè nella sua immensa bontà già immaginava che l’uomo ha bisogno di immaginare un tragedia peggiore della sua per potersi consolare del suo leggero disagio.

Ci vorrebbe un limite.

Secondo me la rovina del mondo risiede nella possibilità di accumulare ricchezze infinite.
Ci vorrebbe un limite.
Per essere generosi lo si potrebbe fissare sui 10 milioni di euro a testa, il resto andrebbe speso o investito e non accumulato.
L’accumulo di ricchezza nelle mani di poche persone genera un effetto devastante per l’umanità, perché non c’è nulla di più devastante dell’evidente contrapposizione tra ricchi e poveri, tra privilegi e svantaggi, tra spreco e risparmio.
E poi se non ti basta poter disporre di 10 milioni di euro per le tue puttanate allora sei solo un egoista.
Non credo che il merito trovi soddisfazione solo nell’accumulo di ricchezza e proprietà.
Sogno una società meritocratica che al merito dia “merito” tramite la capacità di ricompensare gli uomini di valore con la stima e l’affetto dell’intera comunità.
E’ inconcepibile un mondo dove c’è chi accumula e spreca e poco distante c’è chi muore di fame e vive una vita di merda.
Sono stati eliminati i sensi di colpa.
Questa mancanza di solidarietà trova un fondamento nel martellamento mediatico che mostra l’accumulo di “cose” come l’unico vero metro di misura per definire il tuo successo nella vita.
E a me non piace.
Si ponga un limite di 10 milioni di euro alle ricchezze personali e il resto vada redistribuito e investito nello sviluppo dell’azienda.
Se non sei felice con 10 milioni di euro in banca non meriti di esserlo.
E che cazzo.
P.S. Naturalmente l’uomo è per sua natura egoista e la mia idea è solo una specie di sogno che non diventerà mai realtà.