Quando ero bambino

Quando ero bambino e rispondevo al telefono di casa spesso mi dicevano: bambina c’è tua mamma in casa?Bambina!?Altre volte mi dicevano: Angioletto, di a tua mamma che l’ho chiamata.Angioletto!?Io ero un bambino, maschio, e per nulla un angioletto, ma avevo quella voce da femmina e quella faccia da buono che mi fottevano.Non era mica facile essere imprigionati in quel corpo gracile con quella voce stridula in mezzo a bulli merdosetti che a dodici anni avevano già dei ridicoli baffetti neri che loro spacciavano come prova della loro superiorità.Poi a quattordici anni vado in vacanza e in tre mesi mi trasformo.A settembre la voce era quella di un uomo, mi erano cresciuti muscoli imprevisti e avevo preso un sacco di centimetri in altezza.Tornai a scuola e i miei compagni non mi riconoscevano, e li cominciò la mia vendetta.Feci a botte con quelli che mi avevano rotto i coglioni quando ero una mezza sega, diventai un bullo verso i bulli.Ma non ho mai imparato ad approfittare della debolezza altrui.Fare il forte con i deboli e il debole con i forti è in questo cazzo di mondo un assicurazione sulla vita, l’atteggiamento giusto per un futuro tranquillo.Io non ce l’ho mai fatta.Vivo senza assicurazione e con un futuro incerto.Forse del domani non v’è certezza ma dal passato una certezza ce l’abbiamo: abbiamo salvaguardato la nostra dignità.Piccola soddisfazione di fronte a un mondo in mano ai figli di puttana, ma è tutto quello che abbiamo e ce la teniamo stretta.

La memoria del padre

La memoria del padre.
Il contadino taglia un albero abbattuto.
Mi guarda e mi dice: “Non avresti dovuto farlo. Tuo padre amava questi alberi, facevano ombra alla casa e la nascondevano agli sguardi di chi viene dal paese.”
“Ma quegli alberi sarebbero potuti cadere sulla casa.” Rispondo.
Con aria tra lo schifato e il disprezzo mi risponde continuando a tagliare, senza alzare lo sguardo.
“Cazzate. Questi alberi stavano benissimo e non avevano nessuna intenzione di cadere. Tu vieni dalla città che ne sai degli alberi. Per fortuna che tuo padre non ha visto la cazzata che hai fatto.”
Lo saluto e mi allontano.
No, non sono stato io far tagliare gli alberi.
Ma non avevo voglia di spiegare che non è a me che mi crea problemi la memoria del padre.
Io quella questione l’ho aggiustata anni fa, c’è qualcun altro che pensa di combattere quella memoria sentendosi superiore al suo carnefice nell’assurdo tentativo di cancellare il male e la prepotenza essendo ancora più crudele e prepotente.
Credo che pianterò nuova alberi, perchè a mio padre piacevano e la memoria del padre non va mai cancellata.
Chi lo fa cancella se stesso.

Avevo fame

Avevo fame.
Ma il market era chiuso.
Era cosi’ bello che mi fermai a fotografarlo.
Bello e abbandonato.
La città si era spopolata qualche anno prima quando una Highway rubò il traffico alla Interstate.
Se nessuno passa nessuno si ferma e se nessuno si ferma nulla si vende.
L’economia non guarda in faccia nessuno, figuriamoci un povero meraviglioso market adagiato sul fondo di una valle.
Anche i ragazzi più belli e delicati vengono lasciati per qualche cafone pieno di soldi che promette un futuro migliore.
Nulla da meravigliarsi se di fianco alla Highway ci sono mille ruspe che stanno preparando il terreno su cui sorgerà un megagalattico supermercato.
Sarà maestoso, imponente, luccicante e dannatamente sfarzoso ma non avrà mai il fascino irresistibile e decadente delle cose e delle persone che non hanno mai avuto bisogno di grandi insegne per farsi notare e trovare.

29 Palms Inn

Si chiama 29 Palms Inn e si trova a Twentyone Palms in California.
E’ un motel in mezzo al deserto che ha il fascino dei luoghi che raccontano storie.
Nulla di elegante, bungalow e stanze piccole e fatiscenti, niente frigo e niente lavanderia.
Solo il mito del viaggio americano che prende forma e sostanza.
Luogo non adatto ai fighettini che si aspettano un ottimo servizio e magari di fare bella figura con le loro fidanzate fighettine.
Al 29 Palms Inn c’è una piscina che è l’unica oasi di fresco in mezzo al deserto e tramonti che danno un senso alla vita.
Quando andai io non c’era il wi-fi, e lo misi tra i pregi di questo motel.
Speriamo non ci sia nemmeno oggi.

“Mi sento come se nulla avesse un senso.”

“Mi sento come se nulla avesse un senso.”

L’umano pronuncio’ questa frase di fronte a una psicologa che lo guardava con lo stesso guardo di comprensione con cui guardava tutti i suoi pazienti.
Gli “Altri” quando udirono questa frase rimasero sconcertati.
Non per la frase in se ma per la condizione di colui che l’aveva pronunciata.
Non si trattava di un bambino africano sottonutrito, non era nemmeno un prigioniero politico in attesa di essere giustiziato, non era un malato terminale, non era insomma un essere umano che si trovava di fronte ad un ingiustizia che poteva avere origine divine.
No, era tutt’altro.
Era un giovane borghese che era stato appena lasciato dalla sua ragazza.
Io cercai di spiegare che la percezione delle disgrazie negli umani non aveva nessuna logica.
Feci l’esempio di come ci si dimentica in fretta di centinaia di migliaia di morti causati da onda anomala pur continuando a disperarsi perchè la propria squadra ha perso un campionato.
“Loro” non capivano.
Spiegai che la percezione della realtà sulla terra è molteplice.
Non capivano.
Dissi che i punti di osservazione potevano cambiare un paesaggio.
Non capivano.
Spiegai che l’essere umano ha una caratteristica che lo rende unico nell’universo.
Spiegai che l’ego, cioè la consapevolezza del proprio essere, era enormemente superiore alla consapevolezza dell’essere universale.
Una distorsione visiva per cui se osservata da un millimetro di distanza una pulce puo’ nascondere un orizzonte.
E capirono.

Spedirono il primo rapporto nella “Dimensiona Altra”.
Ecco la traduzione.

Osservata da un millimetro di distanza una pulce puo’ nascondere un orizzonte.
La colpa non e’ della pulce ma dell’occhio umano che non si allontana dal culo della pulce.

Dicono che nella vita quello che conta è salvarsi il culo.

Dicono che nella vita quello che conta è salvarsi il culo.
Dove il culo rappresenta la vita stessa, e già questo dovrebbe far riflettere.
E il concetto di culo ritorna frequente nei vari metodi di salvarlo.
Ad esempio puoi salvarlo leccando il culo di altri.
Ma c’è chi arriva addirittura a salvarsi il culo leccandosi il proprio.
In un apoteosi di auto esaltazione con l’intento di staccarsi mentalmente dalla condizione di bipede per fare ingresso nella metaforica condizione di essere volante e divino che guarda il mondo dall’alto.
Dall’alto di una mazzetta di soldi e potere che se vista da vicino sarà si e no alta qualche centimetro.
Meno del salto di un bambino dal terzo gradino di una scalinata che portava al campetto da calcio.
A volte mi chiedo perché sia cosi’ difficile innamorarsi.
Uno dei motivi è proprio la tendenza femminile a salvarsi il culo.
Più il culo è bello più la sua padrona farà di tutto per salvarlo.
Ed è abbastanza evidente che io non ho i mezzi per salvare i culi altrui.
Se avessi avuto culo ( sempre di culo si parla) si sarebbe innamorata di me una donna ricca, bella e porca, e giuro non le avrei mai chiesto di salvarmelo, le avrei solo espresso il desiderio di non esercitare nessun tipo di potere su di me con l’eccezione di potermi cavalcare a suo piacimento.
Salvarsi il culo diventerà presto il mantra più recitato, un rosario profano a cui l’uomo si affiderà per la sopravvivenza.
I più saggi rimarranno incantati di fronte alla dignità della natura alla quale l’uomo da anni rompe il culo mentre lei senza cedere al dolore sopporta nella eterna convinzione che quell’essere viscido chiamato uomo non ha ancora capito che ogni ogni culo che profana è solo un passo verso la sua definitiva autosodomizzazione che l’universo accoglierà con un sorriso trionfale.

Il paradiso è un vizio.

Il paradiso è un vizio. Meglio non abituarsi.
L’nferno per alcuni è una scelta. Una richiesta d’aiuto. “Lo vedete, esisto anch’io, in questa vita di merda che mi sono creato su misura.”
Conosco una persona che ha deciso di fare della sua vita la sceneggiatura di un perdente, una storia di tristezze, alcool e domande senza risposte.
Vive guardando allo specchio il suo personaggio, è convinto che non vivrà a lungo, è convinto che la sua sensibilità lo renda differente dagli altri, è convinto che solo la poesia sia uno specchio reale di una realtà senza valore. 
Ed è convinto che tutte queste convinzioni dovrebbero aiutarlo a scopare di più.
Ed a volte accade.
La donna si sente solidale con la capigliatura disordinata, con i pensieri bruciati, con le parole giuste e con la richiesta d’aiuto.
E gliela da.
Obiettivo raggiunto.
Il poeta maledetto per oggi non scriverà nulla, ha da scopare.
Meno male.
Io non sopporto più i depressi, gli esauriti, gli strani, i profondi, gli artisti, i senza dio, quelli che dio è loro fratello, quelli che dio assomiglia a loro.
Io non sopporto più il troppo pensiero intorno a se stessi.
Cambiamo discorso.
Mentre Santana suona sto ripensando ad una notte di qualche giorno fa in un albergo di Londra.
Voi immaginate cosa voglia dire riuscire ad avere tra le proprie braccia una donna sognata per 5 lunghi anni, una donna che sembrava impossibile eppure così desiderata.
Vuol dire che in un attimo tutti i desideri diventano desideri esauditi.
E quando il mio volto si ritrovò tra le sue gambe mi chiedevo se era vero o la proiezione verosimile di tutti i sogni.
Nel farsi realtà il desiderio non aveva cambiato volto, solo espressione, io non ero io, io guardavo dall’alto sorridendo, soddisfatto di me come se quell’uomo che affogava dentro di Lei fosse la parte migliore di me.
La parte che non s’arrende mai.
Ora sono di nuovo solo, qui nella mia stanzetta, un incenso al sapore di cedro che brucia, candele e luce elettrica, ancora venti minuti prima di uscire per andare a lavorare in radio.
Lei è tornata a casa sua, a due ore d’aereo da qui.
Incredibilmente mantengo una serenità solitaria, alla faccia del poeta maledetto che ebbe quella stessa donna in tre giorni e che non l’avrà mai più.
In culo lui, le sue poesie, le sue tristezze.
Non si può piangere su se stessi mentre milioni di persone lottano con reali problemi di sopravvivenza.
Il compiacimento non può rimanere indifferente di fronte a paragoni scomodi.

Il ragazzo voleva vendermi rose, una ragazza voleva vendermi un accendino a forma di donna nuda, un altro uomo , sordo, voleva che comprassi spilline , un vecchio cantava una canzone di Bocelli in Corso Vittorio Emanuele, due ragazzi erano statue viventi, un amico vende libri su una bancarella in Brera.
Tutti hanno problemi di sopravvivenza, e chi non li ha ha tempo per scrivere poesie.
Spesso sono solo poesie del cazzo.

Desert Palms Motel di Mesquite

Al Desert Palms Motel di Mesquite faceva troppo caldo e tu giravi troppo nuda per la stanza.
“Non è mai troppo.” Mi hai detto.
“E’ il segno del costume che mi frega.” Le dissi.
C’era uno scarafaggio che si arrampicava in free solo sulla tenda e restammo a guardarlo compiere la sua impresa poi hai preso un pacchetto di sigarette vuoto, lo hai messo dentro e l’hai liberato sul cemento di fronte alla porta d’ingresso.
“Qualcuno lo pesterà.” Ti ho detto.
“Può essere..” Mi hai risposto.
Tagliasti i jeans con una forbice per farne degli shorts.
“Ti da fastidio se giro col culo di fuori?”
Hai cominciato a tagliare più in alto possibile senza nemmeno aspettare la mia risposta.
Detto fra noi Mesquite era un posto di merda ma ci sono donne che hanno il potere di rendere indimenticabili anche dei posti di merda.
E tu eri una di quelle.