Goccia di rugiada su ago di pino

Metto a letto la bambina, le rimbocco le coperte, do un occhiata fuori per osservare la luna piena che getta l’ombra di un ramo sul muro ingiallito.
Ieri è morto il nonno e mia figlia mi ha chiesto perchè le persone muoiono.
Le ho risposto che la Donna Gufo aveva bisogno di lui per costruire una scala di legno che permettesse alle anime di tornare sulla terra.
Appena avrà finito di costruirla dovrà provarla e sarà il primo a tornare.
Papà il nonno era bravo a lavorare il legno?
Era il piu’ bravo, l’unico che potesse costruire una scala che arrivasse fino al cielo.
Si è addormentata sorridendo.
Ci vuole sempre un motivo che giustifichi il dolore per evitare di esserne sopraffatti.
Domani le insegnerò ad andare a cavallo, preparo quel puledro pezzato che sembra sempre sul punto di addormentarsi.
Sarà il piu’ bel giorno della sua vita.
Lo è stato per me, la prima volta che ho cavalcato.
Esco dalla casa e mi siedo nel portico sulla sedia dove si sedeva mio padre e dove si sedette mio nonno.
Il freddo lancia la sua sfida.
Non l’accetto.
Nel letto c’è Kimimela che mi aspetta tra le sue braccia.
Un vecchio sciamano un giorno mi disse:
Se cerchi un senso non cercarlo in un lago eternamente immobile, trovalo nella breve esistenza di una goccia di rugiada su un ago di pino.

Paura di morire?

Paura di morire?
Ma se siamo morti mille volte senza accorgercene.
O se preferite abbiamo vissuto mille vite diverse e quella che stiamo vivendo ora è solo una delle tante.
Le foto ci ricordano di momenti che non ricordiamo, ci mostrano persone che abbiamo amato e che non sappiamo che fine abbiano fatto.
Sono l’astemio che aveva la bottiglia in mano, il non fumatore che aveva il pacchetto di Winston in tasca, sono il cinico che si commuoveva, sono quello che odia il romanticismo e che passava ore a cercare un regalo che ti avrebbe sorpreso.
Ci siamo incontrati e ci siamo dimenticati come nulla fosse, come si perdono cose di poca importanza, nonostante non fossimo cose ma anime.
Ci siamo attratti sottoposti a una interazione gravitazionale che portava i nostri corpi a cercarci e ci siamo allontanati contraddicendo ogni legge fisica che prima ci aveva uniti.
Ci siamo dati un senso e ce lo siamo tolto, ricominciando ogni volta da capo, come se l’ultima pagina di una storia fosse solo l’inizio di un altra.
E tutto questo sperando sempre che fosse per “sempre”.
Che quel viaggio fosse durato per sempre, che quella moto mi avrebbe sempre portato in giro, che quella musica non avrebbe mai finito di piacermi, che quel cane non sarebbe mai invecchiato, che quella chitarra sarebbe stata sempre la mia preferita, che quella donna sarebbe stata la donna che non mi avrebbe mai abbandonato o che io non avrei mai lasciato.
Mille vite, una cometa fatta di una moltitudine di corpi celesti che gravitano attorno al sole del presente che piano piano si va spegnendo.
Come questa cosa che state leggendo.
Parole che vi entrano dentro dagli occhi, che trovano un posto da qualche parte dove sostare il tempo che basta per poi andarsene e lasciare il posto ad altre parole.
E io sono solo un idiota che si pone una domanda stupida.
Dove sono finite le emozioni che ho provato, come stanno gli amici che ho perso per strada, chi guiderà ora la mia prima moto, chi amerà adesso le donne che ho amato?
E se tutto ha un senso io non lo capisco.
E se tutto non ha un senso, io non capisco.
Paura di morire?
Come si fa ad avere paura di morire quando sono già morto mille volte e sono ancora qui.