Il mio amico è un elefante

Il mio amico è un elefante.
E nonostante sia più piccolo di me rimane un elefante e non posso fare a meno di sentirmi minuscolo di fronte a lui.
Perchè a dispetto dalla grandezza il suo animo è gigantesco e la sua memoria smisurata.
A lui chiedo di ricordare ciò che scordo e di portare i pesi che non riesco a sopportare.
Lui sorride e barrisce per dimostrami amicizia, mi porge la proboscide in segno di affetto e prima di andare a dormire si pulisce le zanne sull’angolo del letto.
Ha la saggezza che mi manca e mi indica con lo sguardo la strada giusta per arrivare al suo cuore.
Mi soccorre se mi trovo in difficoltà e a volte mi accarezza come fosse la mamma che ho perso.
Ho un amico elefante che ogni sera mi dice che non importa quanto io sia piccino fuori ma conta quanto sia grande dentro.
E se mi viene voglia di scappare lui sa sempre dove si trovi il buco nella rete ma prima di vedermi andare mi si avvicina all’orecchio e mi dice: ricordati che il difficile non è scappare ma il dover tornare.
Allora cerco il mio cuscino, lo metto di fianco a lui e mi metto a dormire tranquillizzato dal suo sentirlo respirare.

Tolettatura a Beverly Hills


E’ vero che eravamo in viaggio da un mese.
E’ vero che aveva un pelo simile a quello di un rasta giamaicano.
E’ vero che cominciava ad avere l’odore di un randagio.
Ma questo per me non giustificava il fatto che lui volesse a tutti i costi andare a farsi bello in una tolettatura a Beverly Hills.
“Ma hai visto quante belle cagnoline ci sono da queste parti e io sembro venire da Skid Row.”
Gli diedi cento dollari col patto che per un mese avrei risparmiato sui premietti e lo lasciai da Posh Pet Care sulla Robertson.
Andai a prenderlo due ore dopo.
Non era più lui.
Il selvaggio Jackson mi fu riconsegnato in queste condizioni.
Tornammo al nostro van senza dire una parola e senza una abbaiata.
Si scusò per non avermi dato retta, poi mi chiese di andare a fare una camminata a Runyon Canyon.
Appena arrivati si buttò su un mucchio di terra e si rotolò fino a togliersi di dosso quell’aria da fighetto.
Mi guardò tutto soddisfatto e io pensai con orgoglio che mi somigliava, mi somigliava tantissimo.

Nella foto Jackson sul van appena tornato dal salone di bellezza.

Il problema della razza

Il problema della razza se lo pongono gli uomini.
Io non so di che razza sono e quando lo domandano lui risponde ogni volta in maniera diversa.
E’ chiaro che la domanda lo imbarazza.
A proposito di razze.
Ieri notte è nevicato ed oggi siamo scesi dalla montagna verso la pianura.
Siamo partiti con la macchina coperta di neve e siamo arrivati con il tetto ancora bianco.
Siamo usciti dalla macchina e si è avvicinato un uomo di colore.
Di colore molto scuro.
Si è avvicinato al tetto della macchina ha toccato la neve e poi si è rivolto a lui e gli ha detto:
“Scusa, la tocco perché è la prima volta che la vedo.”
“Davvero?” Ha risposto lui.
“Si. E’ la prima volta che la vedo e che la tocco. Ed è bellissima.”
E hanno cominciato a parlare della neve.
Lui gli ha detto che sta arrivando l’inverno e magari scenderà anche in pianura.
L’uomo di colore ha chiesto se quando nevica fa piu’ freddo di quando non nevica.
Lui ha risposto che non è la neve che fa venire freddo, ma il freddo che fa venire la neve.
E hanno riso.
Gli ha dato qualcosa, ho visto il suo sguardo farsi triste dopo aver osservato la bocca dell’uomo ornata da pochi denti spezzati e se ne è andato dandogli la mano come se dare la mano fosse un modo per dire “non ho paura di te, non avere paura di me.”
Pero’ io lo so.
Io lo so che quando stava parcheggiando ad ha visto quell’uomo scuro avvicinarsi si stava innervosendo.
Lo so perché io sento quando lui si sta innervosendo.
Poi è sceso dall’auto.
Lo ha guardato negli occhi e ha ricevuto un sorriso che l’ha fatto sentire in colpa.
Ha chiesto a se stesso di smetterla di sentirsi diverso perchè è ridicolo sentirsi diversi in un mondo dove ognuno è unico.
E più di sempre ha sperato che nevicasse in pianura immaginando quanto bello potesse essere vedere nevicare per la prima volta.
La neve era bianca ma il cielo era nero.
E senza cielo non cadrebbe la neve.
Il problema della razza se lo pongono gli uomini.
Io, che sono un piccolo, minuscolo cane, mi pongo solo il problema di capire dai tuoi occhi quanta cattiveria hai vissuto per immaginare quanto potresti essere cattivo.
E nel caso starmene lontano.

Le colline si conoscono tutte tra di loro.

Le colline si conoscono tutte tra di loro.
E tra di loro parlano.
Gli argomenti preferiti sono il tempo che farà, il canto degli uccelli e il ricordo dei tempi passati.
Noi animali conosciamo il loro linguaggio e a volte restiamo ore ad ascoltare i pettegolezzi della natura.
Per questo mentre lui è interessato a un negozio di ferri vecchi io me ne sto appisolato su un cuscino d’erba gustandomi la storia di quella volta che un uomo anziano arrivo’ da queste parti con il desiderio di trovare dell’oro.
Ma l’oro non si trovava.
Le colline volevano aiutarlo ma non trovavano un sistema per comunicare col vecchietto.
Provarono a deviare un corso d’acqua per indirizzarlo verso l’oro ma lui non sapeva nuotare.
Chiesero a un corvo di appostarsi sull’albero sotto il quale si trovava il metallo prezioso.
Ma il vecchietto pensava che i corvi portassero sfortuna e si allontano’.
Fecero un ultimo tentativo concedendo a una vecchio abete rosso sotto il quale stava l’oro di colorarsi di giallo.
Giallo come l’oro.
Ma il vecchietto aveva problemi di vista e prese quella macchia gialla come un peggioramento della condizione dei sui occhi.
E cosi’ continuo’ a scavare nei posti sbagliati fino al giorno in cui mori’.
Le colline ricordano che quel giorno il suo sguardo privo di vita era rivolto verso il fiume che scorreva verso il corvo che stava seduto sull’albero diventato giallo.
Come se l’anima liberatasi del corpo avesse finalmente capito il messaggio delle colline.
Troppo tardi.
Molto meglio trasformarsi in un soffio di vento e giocare a scuotere le cime degli alberi.
E passando un ultima volta su se stesso soffiò sui capelli per coprire con una ciocca i suoi occhi aperti.
Se ne andò salutandosi come si saluta una miniera esaurita dando un passaggio verso ovest al corvo che dispiego’ le ali a cavallo del vento e si lascio’ portare dove il destino aveva deciso di andare.

Il cinismo è un ragno

Il cinismo è un ragno che mi cammina sul braccio e con il quale ho fatto amicizia.
Il patto è che lui non mi morda e io non lo uccida.
A volte scambiamo due parole sulla vita e ci troviamo sempre d’accordo.
Il ragno mi diceva che la cosa più divertente che gli umani abbiano inventato è l’amore.
Un invenzione che ha permesso di fare cose che senza amore non si sarebbero mai fatte.
Si fa la guerra per amore della propria patria.
Si uccide per amore del proprio dio.
Diventi padrone e schiavo per amore.
Per amore disgusti la libertà.
Poi il ragnetto appoggia la sua bocca al mio orecchio e mi sussurra:
dfjskhurllldkfhaksrrsdf dgahfgkasakl irjfifjlakdfdkkd
Che nella lingua degli Aracnidi significa:
L’amore è una puttanata colossale che voi esseri viventi dotati solo di due misere gambe usate per sentirvi ancora piu’ instabili e quindi meritevoli di un appoggio esterno.
Noi ragni, che di gambe ne abbiamo otto non abbiamo bisogno di questo genere di cazzate.
Poi scherzando appoggia il suo chelichero sul mio lobo.
Lo guardo incazzato.
“Attento stronzetto che se mi mordi ti schiaccio come se fossi un ragno.”
“Ma io sono un ragno” Risponde allontanandosi.
Mentre si addormenta tra le pieghe della giacca io guido in direzione nord, attorno c’è un cielo grigio sporcato dal fumo di una ciminiera e un camion che sembra trasportare quintali di malinconia.
Lo sveglio dandogli una ditata sulla testa.
“Che vuoi?” Mi dice.
“Ascolta ragnetto, mi spieghi perchè non credo in nulla?”
“E tu mi svegli per chiedermi questa puttanata?”
“Tu rispondimi.”
Si stropiccia i suoi quattro paia di occhi poi guardandomi con solo tre occhi, mentre gli altri cinque si distraggono ad osservare il tergicristallo mi risponde:
“Tu non credi in nulla perché nulla di ciò che vogliono farti credere è credibile.”
Aspetta. Fammi pensare.
Cazzo. E’ proprio cosi’.
Nulla di cio’ che vogliono farmi credere è credibile.
E come Antistene e Diogene di Sinope sono un randagio che ha smesso di credere alle grandi illusioni dell’umanità e disprezzo i poeti che rantolano parole d’amore, mi fanno pena le donne che elemosinano la compagnia eterna di un uomo e non sanno apprezzare le brevi soste dei marinai.
Ho il vomito di fronte alle coppie di cui una è bastone e l’altro carota, in una commedia delle falsità dove il marito recita la sua parte nel teatro di casa ed è se stesso nella camera da letto di un altra donna.
Il cinismo è un ragno che camminando tra una manica e un bottone ha costruito una ragnatela sul mio cuore e ora guarda orgoglioso verso l’orizzonte in attesa di una mosca che attratta dalla mia solitudine gli servi la cena.

L’anima si forma vivendo

L’anima si forma vivendo.
Paradossale concessione dell’eterno all’effimero.
Il sarto cuce il vestito studiando la tua esistenza nei minimi dettagli.
Per questo la sorte è importante.
La mia sarà un anima viaggiatrice.
Raro caso per un cane.
Nel bar dove andiamo ogni mattina c’è un vecchio signore vestito benissimo che ogni mattina occupa sempre lo stesso posto defilato in un angolo del locale.
Arriva con una pila di giornali, si siede e mentre li sfoglia saluta tutti quelli che entrano.
Oggi il suo posto era occupato e ha fatto una cosa stranissima.
Si è messo a fare ordine nel bar.
Ha rimesso a posto le sedie spostate .
Ha pulito i tavolini.
E poi si è seduto suo malgrado nell’unico tavolino libero che si trova proprio al centro del bar.
Ha delle scarpe bellissime, io mi accuccio e passo il tempo a guardarle.
Osservando il suo sguardo ho notato invece che non era tranquillo.
Era seduto altrove.
Altrove da dove era abituato.
E l’abitudine crea delle zone di benessere, delle certezze.
L’animale vive di abitudini.
Io non faccio trasgressioni se non quelle che mi si impongono.
Non cambio il mio territorio se non per questioni di sopravvivenza e nemmeno le mie abitudini alimentari.
Mi sveglio e mi addormento sempre alla stessa ora.
Non cambio il mio pelo e non vado a caccia di cose nuove, la caccia è una cosa seria, serve a sopravvivere.
Il vecchio signore è come me per questo non appena il tipo che occupava il suo posto se ne va lui sorride e torna ad occupare la sua zona abituale.
Anche lui sta costruendo le sue abitudini.
Alle otto di sera si chiude dentro il van.
Io mi metto dentro la cuccia sotto il letto e lo sento suonare qualcosa.
Poi tira fuori una bacinella e si lava la faccia e i denti.
Si toglie i calzoni e si siede come un indiano, prende dei libri a caso e prova a leggerli ma dopo qualche minuto è già stufo e si mette ad ascoltare la radio.
Un altra mezz’ora e poi si infila nel sacco a pelo e mi chiama.
Io salto sul letto.
Spegne la luce.
E prova a dormire.
Ci mette un sacco ad addormentarsi.
Non so a cosa pensi, ma pensa.
Dicono che ci sia qualcuno capace di governare i propri pensieri.
Lui non saprebbe governare nemmeno un desiderio, figuriamoci i pensieri.
Lo vedo trasformarsi in una foglia trascinata dal vento, volare sui marciapiedi, sorvolare campagne, atterrare su un corpo e poi attendere che lei soffi per tornare a vagare nei ricordi cercando di afferrare l’attimo in cui dalla veglia si passa al sonno.
Quel passaggio segreto attraversato ogni notte e nascosto alla coscienza umana.
Io lo so.
So dove si trova.
Noi animali lo sappiamo.
Per questo ci mettiamo un attimo ad addormentarci.
Sappiamo la strada che porta di là.
Per quanto l’uomo si ritenga saggio non è saggio abbastanza da poter resistere nel confidare un segreto.
A me non resta che osservarlo e dentro di me pensare.
Acqua, acqua, fuochino, fuoco.
E poi vederlo scomparire nel mondo dei sogni.

Ogni Volta

Ogni volta che mi saluta e lo vedo uscire ho paura di non vederlo più tornare.
E nonostante sia sempre tornato rimango in agitazione fino a quando non sento le chiavi aprire la serratura del van.
Ho la sindrome dell’abbandono.
Del resto mi hanno strappato a mia madre e ai miei fratelli senza chiedermi nulla.
Corro a guardare da tutti i finestrini per scoprirne la direzione e poi lo seguo con lo sguardo fino a che non lo vedo scomparire dietro ad un angolo o dentro a un negozio.
Come farei senza di lui?
Non è solo una questione di sopravvivenza.
E’ una questione di affetto.
Siamo le due estremità di una corda tesa tra due precipizi.
Oggi siamo andati a fare un giro sulla cima di una montagna.
Abbiamo camminato per mezz’ora fino ad arrivare in un punto che permetteva una vista a 360 gradi.
Sulla cima c’era una vecchia signora che a vederla non si capiva come avesse fatto ad arrivare fin lassù.
Da come ci guardava era chiaro che avrebbe preferito rimanere da sola.
Lei era seduta sulla panchina che dava verso sud noi ci siamo seduti su quella che guardava la valle verso nord.
C’era un vento freddo che lui si è tirato su il cappuccio della felpa e la vecchia signora si è stretta in un cappotto consumato.
Si davano le spalle.
Come il passato da le spalle al presente.
Il futuro era una nuvola che si avvicinava minacciando pioggia.
Chi dei due sarebbe sceso prima tornando verso la città?
Lei non sembrava avere nessuna intenzione di lasciare la sua panchina.
Lui non l’avrebbe mai abbandonata.
E comincio’ a piovere.
Passato e presente investiti da quel futuro che li bagnava entrambi.
Io mi sono rifugiato sotto le sue gambe cercando di salvare il mio pelo dall’acqua.
Da li sotto guardavo la vecchia signora tenere un giornale sulla testa immobile con lo sguardo che non mollava la presa sull’orizzonte.
Se fossi stato un umano avrei detto che era pazza.
Ma siccome sono un cane la signora mi ricordava semplicemente una vecchia cagna randagia che non aveva rifugio e che era troppo stanca per correre e tanto valeva bagnarsi confidando nel sole che comunque sarebbe arrivato e se non fosse arrivato significava che arrivava prima la morte a risolvere la questione lasciandola indifferente a qualsiasi clima.
La nuvola passo’.
Torno’ il sole.
Lei si alzò e cominciò a scendere verso la città.
Lui si alzò e la seguiva da lontano.
Lei scomparve in mezzo alla folla che riempiva la Hollywood Boulevard.
La perse di vista tra un sosia dell’uomo ragno e un imitazione di Marilyn Monroe.
Siamo tornati al van che stava venendo buio.
Si è sdraiato sul letto di legno mi ha preso, mi ha messo vicino a lui e mi ha detto:
“Può tradirti una mano e raccoglierai quello che è caduto, può tradirti una gamba e ti rialzerai, può tradirti la vista ma avvicinandoti scoprirai la verità. Ma se ti tradisce un cuore il cuore non guarisce.”

Io, cucciolo di sei mesi che non capisco una parola di quello che gli uomini dicono, ho capito perfettamente il senso di quel pomeriggio e mi sono addormentato ripensando al latte di mia madre che aveva il sapore di quella quiete che precede la tempesta.

Sfioro la polvere

Sfioro la polvere quando il tempo è secco.
Sfioro il fango se piove.
Ma ci sono abituato.
Nei bar mi siedo sotto il tavolo e lascio che il tempo passi guardando le scarpe degli uomini.
Visto dal basso il mondo sembra piu’ grande e minaccioso.
Per questo il coraggio di un uomo supera raramente il coraggio di un cane.
Ieri stavamo passeggiando in un enorme libreria e la prima cosa che mi viene in mente di fronte a un libro è di rosicchiarne gli angoli.
Lui invece gira nervoso tra gli scaffali a caccia di qualcosa che non trova mai.
So cosa cerca.
Cerca qualcosa di vero.
Una frase, un discorso, una storia che gli risolva uno dei tanti misteri della vita.
La differenza tra me e lui è nelle domande che ci poniamo.
Io mi chiedo quando si mangia.
Lui si chiede che significato ha vivere.
Io mi chiedo quando andiamo a fare un giro.
Lui si chiede dove finisce il tempo passato.
Io mi chiedo che odore avrà quella femmina.
Lui si chiede che odore avrà quella femmina.
Vi racconto un suo segreto.
Quando è solo sta bene.
Ma quando rimane solo non sta bene.
La sottile differenza fra una condizione che si sceglie ed una che si subisce.
Per questo a volte non vuole vedere nessuno.
Sa che la compagnia crea dipendenza e poi tornare a viaggiare in solitaria diventa difficile.
Io faccio la mia parte, la mattina giochiamo, la sera mi parla, e durante il giorno lo seguo, ma assieme condividiamo la solitudine e non la vinciamo.
Oggi si è messo la maglietta al contrario.
Al bar la gente lo guardava strano, io volevo avvertirlo che aveva l’etichetta visibile sotto il mento ma non sapevo come fare.
Alcuni gli ridevano dietro.
La mattina nel buio dell’alba e non fa mai caso al verso delle cose, che siano magliette calze e persino scarpe.
Cerca di tenersi aggrappato ad una gestione della vita ordinata ma più il tempo passa piu’ diventa selvatico.
Non sono io che tendo ad assomigliare a lui, ma lui che tende ad assomigliare a me.
Due cani che tendono al randagismo per evitare il contagio della civiltà.
A Los Angeles piove e siamo felici.
Sono quattro gocce ma dopo un mese di caldo e sole ci voleva.
Seduto fuori ha chiuso l’ombrellone e si è lasciato bagnare mentre io sotto la sedia cercavo di ripararmi.
Ho sentito i suoi ricordi andare a quel giorno quando aveva diciassette anni e dormiva sotto una pianta in un giardino vicino al mare e comincio’ a piovere.
E l’acqua lo sveglio’.
Cercò riparo in una macchina dimenticata aperta, ma non riusciva a dormire per la paura che lo scoprissero e rimase tutta la notte ad ascoltare le gocce battere sul vetro.
Solo senza la compagnia di nessuna tecnologia fu costretto a pensare cosi’ tanto che gli sembro’ di non riuscire a pensare più ritrovandosi alla deriva in un oceano in tempesta con l’unico privilegio di aver scoperto che pregare dio è da stronzi.
Dio se ne fotte.
E se decidi di amarlo lo ami proprio perché è cosi’ stronzo da risultare irresistibile.
Riguardo a me io non so nemmeno cosa sia dio.
Pensandoci bene una volta in un sogno ho immaginato di essere il cane più grande e feroce del mondo e sotto di me c’erano milioni di cani che imploravano il mio perdono.
E per un attimo pensai che dio ero io.

Io non sono buon e nemmeno cattivo

Io non sono buono e non sono nemmeno cattivo.
Io posso essere buono e posso essere cattivo.
Dipende.
Per quanto mi sia difficile difendermi da chi è più grande di me non rinuncio a chiedere rispetto.
E nel caso sono pronto a fuggire, ma non prima di averti morso un orecchio.
E mi piacciono i fiori.
Anche quelli senza odore e mi piacciono nonostante veda i colori in maniera sbiadita e confusa.
Oggi entrando da Starbucks ho visto una decina di umani seduti in circolo a parlare, parole che si accavallavano, volti che cercavano di rendere credibile ciò che la bocca diceva, ognuno aveva la sua opinione e chissà chi aveva ragione.
O se qualcuno aveva ragione.
Sono felice di non parlare.
Avrei paura di essere imprigionato nelle opinioni, intrappolato nel tentativo di convincere.
Io non parlo e tutto ciò che so lo posso condividere solo con lo sguardo e con i gesti.
Posso convincerti a seguirmi col movimento di una zampa e ad amarmi con uno sguardo.
E quando lui mi chiede come sto a me basta aver fame per convincerlo di stare bene.
Del suo linguaggio conosco le parole essenziali.
Fermo.
No!
Vieni qui.
e poi la mia parola preferita:
Andiamo.
Andiamo ha un bellissimo suono, ed è magica.
Apre tutte le porte fino a farmi ritrovare fuori, e io amo andare fuori.
Per quanto addomesticato nessun cane ama i muri, i muri non fanno parte della nostra storia.
All’aperto.
Se sapessi parlare “aperto” sarebbe una delle mie parole preferite.
Parola che gli umani usano per definire barattoli e negozi e ne hanno dimenticato il significato spaziale.
La libertà di muoversi senza confini.
Lo sguardo che non incontra ostacoli.
Un estensione senza limiti dove poter correre fino allo sfinimento.
Non sono un cane filosofo.
Sono un cane che pensa e che trasmette i suoi pensieri al suo compagno di viaggio.
E non crediate che lui sia sempre d’accordo con me.
A volte mi guarda e sembra volermi dire:
Jackson ma questo pensiero da dove ti è venuto?
Ma non volendo porre alcuna censura ai pensieri di un cane si limita a scrivere facendo una smorfia come se non capisse.
Tornando ai fiori.
L’altro giorno al parco del Golden Gate ho corso e saltato come un matto, sono finito sotto il getto d’acqua di un annaffiatoio, ho sbattuto contro un salice e mi sono spaventato di fronte a un giglio che aveva i colori di una pantera.
Avevo le zampe nere di fango ed ero felice.
Noi animali abbiamo la fortuna di saper riconoscere i luoghi che ci garantiscono la migliore qualità della vita.
E siamo cosi’ intelligenti da non distruggere il nostro habitat ideale.
Certo se mi leggete un libro per me sono solo suoni senza significato, ma se vedo un fiore mi emoziono come se fosse la più bella poesia che nessun poeta riuscirà mai a scrivere.