Un opportunità unica

“L’intelligenza artificiale apre un mare di possibilità a chi non avrà intenzione di usarla.
Guido Prussia

Mi servo di una mia citazione non per arroganza o presunzione ma perché sono convinto che questa affermazione dica una grande verità.
E ora cerco di spiegarvi il perché.
Torniamo al 1760, quando grazie all’invenzione della macchina rotativa a vapore e di nuove tecnologie tessili e metallurgiche nasceva l’era industriale.
Quella che fu una grande opportunità per il mondo portò gli artigiani a difendersi dalla produzione industriale inventando l’etichetta “fatto a mano” garanzia di qualità e lavoro manuale.
E in tempi di globalizzazione il “Made in Italy” ha assunto il valore di sinonimo di bellezza.
Unendo il “fatto a mano” al “made in Italy” si compie il miracolo di unire il bello al ben fatto.
L’arrivo dell’intelligenza artificiale è una rivoluzione che ci pone davanti ad una enorme opportunità.
L’opportunità di valorizzare ciò che la “mente crea” attraverso l’intelligenza umana.
Per questo ho creato e depositato nella Comunione Europea il marchio di certificazione “HI” Human Intellligence, con la dicitura “creato con il solo ausilio dell’intelligenza umana.
Questo marchio vuole essere un certificato di garanzia che una creazione artistica o artigianale e persino industriale sia stata creata grazie all’utilizzo del solo pensiero umano.
L’intelligenza artificiale avviene in un luogo non ben precisato, e qualunque cosa l’intelligenza artificiale crei non ha una firma ne una sua personalità legata all’individuo e alla sua storia.
L’intelligenza artificiale avviene in un luogo non ben precisato, e qualunque cosa l’intelligenza artificiale crei non ha una firma ne una sua personalità legata all’individuo e alla sua storia.
Credendo che l’esperienza umana sia unica e insostituibile nel generare qualsiasi atto creativo il marchio “HI, Human Intelligence” si vuole fare paladino della difesa dell’esperienza e dell’anima del singolo individuo di fronte alla meccanica capacità di elaborare dati infiniti della AI, Intelligenza Artificiale.
In tempi di intelligenza artificiale arriverà il giorno in cui tutto ciò che verrà creato grazie all’ausilio dell’Intelligenza Umana avrà un valore infinito, il valore delle invenzioni che si possono richiamare ad un inventore umano e non a una macchina.
Credo che l’Italia, che ha fatto del pensiero e della genialità dei suoi artisti e artigiani un punto di forza debba oggi ergersi a paladina della difesa della mente umana e della sua capacità creativa.
Ho apposto il marchio al mio sito “guidoprussia.com” e ai mei libri per creare un punto di partenza nella difesa dell’invenzione umana.
Ho parlato di questo marchio depositato mercoledì 14 Febbraio 2024 a Roma durante la presentazione del rapporto sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale a supporto del lavoro parlamentare.
A presiedere la Commissione l’Onorevole Anna Ascani la quale dopo avermi ascoltato fece chiedere dalla sua segretaria il mio numero per approfondire la questione.
Ad ora non ho ricevuto nessuna chiamata ma non ne sono sorpreso e anzi rimango fiducioso di una chiamata.
Mentre tutti sono in ginocchio di fronte al trionfo dell’Intelligenza Artificiale io rimango in piedi a sostenere la difesa e la valorizzazione dell’Intelligenza e della Creatività Umana e spero che qualcuno che ha più potere di me sappia intravedere come questa invasione di “artificialità” regali un potere infinito, anche economico, a ciò che rimarrà vero, autentico, genuino e originale.

Guido Prussia
guidoprussia@gmail.com

Testa o croce

Ti aspetti sempre che esca testa o croce.
Non hai fiducia e manchi di fantasia.
A me esce sempre l’indiano.
E non ci sono ne vinti ne vincitori.
Non avevo nulla da perdere, non ho nulla da vincere.
Sono come un ricercato che segue le tracce dei cercatori di taglie per averli sempre davanti ed evitare di essere sorpreso alle spalle.
Non so come convincerti ad avere fiducia di me, è una questione d’istinto, vederti dormire tranquilla di fianco a me è la gratificazione più grande, sentire nel tuo sguardo la paura del tradimento mi fa sentire colpevole di qualcosa che non ho fatto.
Ho diviso la mia vita in piccoli segmenti di tempo che vanno dall’alba al tramonto, ed ogni sera traccio una freccia sul muro.
Direzione verso il cielo, giornata bella.
Direzione verso il basso, giornata brutta.
Sono semplice, sono un “due più due” che fa quattro, non aspettarti sorprese, non saprei sorprenderti con cambi improvvisi di direzione.
Ho il difetto di amare le cose prevedibili.
Bagnarmi con la pioggia.
Asciugarmi sol sole.
Felice se sto bene.
Infelice se sto male.
Visto con sospetto da chi è felice solo quando soffre, visto con sospetto da chi cerca lo scontro per sentirsi vivo.
Se contassi tutte le volte che mi sono sentito perduto avrei lo stesso numero di tutte le volte che da qualche parte mi sono ritrovato.
Non ho più il coraggio di sfidare me stesso, benedetto il giorno che qualcuno smetterà di sfidarmi.
Seduto accanto al fuoco mi lascio incantare dalle scintille sparate verso l’alto dalla legna che brucia, ne seguo lo spegnersi e una volta spente ne seguo altre che si spegneranno.
Domani mattina anche il fuoco sarà spento.
Ma non sarà questo pensiero a farmi desistere dal caldo, dalla luce e dalle scintille che questa fiamma regala all’attimo presente.

Nei dintorni di Sturgis

Nei dintorni di Sturgis mi trovai di fronte al passato e al presente separati dal muro di un garage.
A sinistra ci si prende cura del cavallo, a destra si fa la manutenzione della moto.
Ero a metà strada tra Chicago e Los Angeles, era il 1998, si viaggiava con le mappe di carta e con il piacevole timore di perdersi.
Cercavo qualcosa che qualsiasi superficiale avrebbe definito “me stesso” ma che io avvertivo come tutto all’infuori di me.
Non avevo bisogno di cercarmi, forse di perdermi, ma più di ogni altra cosa il viaggio era semplicemente il bisogno di capire che la mia casa fosse “altrove” da dove era sempre stata.
Che fosse la voglia di sentirsi cittadino di una terra straniera, o straniero nella propria patria poco cambiava, volevo sentirmi libero da ogni appartenenza.
Come un cavallo che può diventare moto o una moto che può trasformarsi in cavallo quel che conta non era il mezzo ma avere una strada o un terreno su cui correre senza doversi guardare indietro.

A me piace

A me piace viaggiare di notte.
Con Willie Nelson che suona alla radio.
E mi piace non sapere dove vado.
Mi serve per dare uno spazio percorribile al tempo.
Mi serve per dare un tempo da vivere allo spazio.
Scollinando verso Ovest passo accanto a una linea continua di lampioni che stampano sul parabrezza strisce di luce infiltrate da macchie scure che altro non sono che cadaveri di moscerini schiantati contro il vetro.
Sono solo di quella solitudine inspiegabilmente cercata che regala l’eccitazione idiota dell’ultimo desiderio realizzato prima di morire.
Gli umani mi passano accanto come fantasmi che rincorrono i loro lenzuoli nel tentativo disperato di farsi notare.
Quando Willie smette di cantare mi basta farlo ripartire da capo per fottere al tempo tre minuti da vivere due volte.

Un giorno d’inverno in piena estate

un giorno d’inverno in piena estate mi farebbe felice, non fosse che per la sorpresa, la cosa che non ti aspetti che ribalta tutte le regole, qualcuno si lamenterebbe del freddo, e gli ombrelloni resterebbero chiusi, magari una veloce nevicata che si scioglierebbe il giorno dopo in un quarto d’ora, ho una passione per le cose che non si dovrebbero avverare, tipo un amore eterno, anzi l’eterno, i silenzi che spiegano e la pioggia che sale al cielo come quando piove sull’asfalto e subito dopo il sole richiama al cielo ciò che il cielo ha versato, saper dire una verità senza paura di non essere creduto, restare sveglio di notte e dormire di giorno come se fosse normale vivere come gli animali selvatici, uscire dalla banalità dell’abitudine a ciò che è bello, tornare ad avere vent’anni per un giorno per scoprire come siamo cambiati, e smettere di cercare di essere capiti perché non c’è cosa più stupida di nascondere quel che siamo per diventare quel che gli altri cercano in noi, imprigionato nel qui ed ora mi domando come sarebbe poter fuggire dal tempo e dallo spazio, il pensiero mi fa immaginare la possibilità di una libertà assoluta, un passo da gigante che mi porti via da questa stanza fino a farmi ritrovare in quel luogo dall’altra parte del mondo dove ho assaggiato il sapore della felicità, fondamentalmente mi ritrovo sempre di fronte al solito dubbio su cosa di me possa essere indispensabile per te, non trovando risposta mi abbraccio da solo sentendomi in compagnia dell’unica persona che non può fare a meno di me che poi altro non è che me stesso, la solitudine non è essere soli, ma essere stati educati dalla vita a bastarsi per non correre il rischio di essere abbandonati

L’osservazione è una via di fuga

L’osservazione è una via di fuga.
Concentrarsi sulle piccole cose, sui piccoli esseri viventi, sul filo d’erba e sulla farfalla aggrappata alla porta di casa.
E connettersi col minuscolo fino a far sparire ciò che è ingombrante.
Le grandi discussioni che lasciano posto ai silenzi invisibili, le enormi paura si dissolvono scontrandosi con le minuscole certezze, il mio nulla che dal basso sovrasta un ingombrante tutto.
Osservo le migliaia di strisce gialle della strada diventare una lunghissima ed unica striscia che indica un orizzonte perso nel buio.
E mi perdo.
Perchè solo perdendomi mi sento a casa.
Fuggo da sempre le certezze conoscendone il potere di ingannare, abbraccio il potere del piccolo attimo di serenità anche a costo di rinunciare al sorriso ebete di chi immagina di nuotare in un mare di felicità.
Sono nulla e sono qualcosa, il paradosso tiene grazie all’appiglio sicuro del dubbio sul senso del vivere.
Giocare nell’immaginare un significato nel disegno delle ali della farfalla mi diverte come se fossi un bambino che crede ancora che in quella minuscola casa tra la casa e il paese viva uno gnomo.
Non importa se non l’ho mai visto.
Credere ha un senso solo se è un atto di volontà che ha lo scopo di abbattere il muro che divide il possibile dall’impossibile.
Si può insegnare a volare solo se si ha la forza di immaginare che nulla è impossibile tranne ciò che si crede impossibile.

L’unica camicia che possiedo

L’unica camicia che possiedo era di mio padre.
Riporta stampate in basso a sinistra le sue iniziali e quando la indosso mi sembra di averla rubata.
La metto solo in occasioni speciali nella consapevolezza che una camicia può farti apparire più in ordine.
Ma fondamentalmente trovo inutile allacciarsi i bottoni, trovo inutile il colletto e trovo assurdo che vada stirata.
L’unica cosa positiva nel mettermi una camicia è nella possibilità di guardarmi e trovare un altra persona che mi assomiglia e che guardandomi sembra dirmi: Sai che potevi essere migliore?
Migliore un cazzo.
E’ solo una camicia.
Entro in bagno a pisciare, un tipo con una camicia bianca mi chiede se voglio fare un tiro.
Gli dico che sono vergine di naso e non ho intenzione di provare quella merda.
Lo guardo, ordinato, pulito, rassicurante.
Prima di uscire mi avvicino e gli dico: bella camicia, scelta intelligente che sia bianca, così se quella merda ti cade sul colletto manco si vede.
Fanculo.

Un solo colpo di fulmine

Nella mia vita ho avuto un solo colpo di fulmine.
Lei entrò nel negozio di magliette che avevo in Ticinese.
La vidi e pensai che Lei era la donna che cercavo da sempre.
La cosa bella di queste improvvise illuminazioni sentimentali è che sono puro istinto.
Niente che abbia a che fare con la ragionevolezza.
Accade come quando si sente una canzone bellissima che ti fa bloccare qualsiasi cosa tu stia facendo e rimani li ad ascoltarla cercando di capire come fare a trovarne il titolo per poterla riascoltare ogni volta che vuoi.
Quando uscì dal negozio chiusi la saracinesca e la seguii fino a che non la vidi scomparire come per magia dietro l’angolo di un palazzo.
La sorte volle che ci rivedemmo, che lavorammo insieme, che insieme facessimo un viaggio bellissimo, e insieme andammo a vivere dall’altra parte del mondo.
E la sposai.
Non chiedetemi come andò a finire, perché in certe storie la fine non ha importanza, come certi libri che quando finisci di leggere l’ultima pagina sai con certezza che ciò che hai letto ti ha cambiato per sempre.
C’è la storia, non letta, ma vissuta.
Qualcosa di travolgente che ha tracciato un confine nuovo tra ciò che si sogna e ciò che si può avverare.
E quando oggi mi chiedono perché io sia solo la risposta è nella mia incapacità di accontentarmi dell’imitazione di un capolavoro.
Sbagliai, ma non ci sono ne rimorsi ne rimpianti.
Ero impreparato all’essere amato che è come non saper nuotare mentre si fa surf sulle onde dell’Oceano.
C’era la paura di cadere e la bellezza di cavalcare le onde.
Oggi di tutta quella storia rimane la riconoscenza per quella donna che mi ha aiutato ad affrontare le mie paure.
Forse non a vincerle, ma ad affrontarle.
La mia solitudine è la riconoscenza presente a quel tempo passato.
Una volta che il bambino impara a camminare non tornerà mai più ad affrontare le distanze che lo separano dalle cose che desidera gattonando.
Immagina cosa può accadere a un adulto che ha imparato a volare.

Goccia di rugiada su ago di pino

Metto a letto la bambina, le rimbocco le coperte, do un occhiata fuori per osservare la luna piena che getta l’ombra di un ramo sul muro ingiallito.
Ieri è morto il nonno e mia figlia mi ha chiesto perchè le persone muoiono.
Le ho risposto che la Donna Gufo aveva bisogno di lui per costruire una scala di legno che permettesse alle anime di tornare sulla terra.
Appena avrà finito di costruirla dovrà provarla e sarà il primo a tornare.
Papà il nonno era bravo a lavorare il legno?
Era il piu’ bravo, l’unico che potesse costruire una scala che arrivasse fino al cielo.
Si è addormentata sorridendo.
Ci vuole sempre un motivo che giustifichi il dolore per evitare di esserne sopraffatti.
Domani le insegnerò ad andare a cavallo, preparo quel puledro pezzato che sembra sempre sul punto di addormentarsi.
Sarà il piu’ bel giorno della sua vita.
Lo è stato per me, la prima volta che ho cavalcato.
Esco dalla casa e mi siedo nel portico sulla sedia dove si sedeva mio padre e dove si sedette mio nonno.
Il freddo lancia la sua sfida.
Non l’accetto.
Nel letto c’è Kimimela che mi aspetta tra le sue braccia.
Un vecchio sciamano un giorno mi disse:
Se cerchi un senso non cercarlo in un lago eternamente immobile, trovalo nella breve esistenza di una goccia di rugiada su un ago di pino.

Paura di morire?

Paura di morire?
Ma se siamo morti mille volte senza accorgercene.
O se preferite abbiamo vissuto mille vite diverse e quella che stiamo vivendo ora è solo una delle tante.
Le foto ci ricordano di momenti che non ricordiamo, ci mostrano persone che abbiamo amato e che non sappiamo che fine abbiano fatto.
Sono l’astemio che aveva la bottiglia in mano, il non fumatore che aveva il pacchetto di Winston in tasca, sono il cinico che si commuoveva, sono quello che odia il romanticismo e che passava ore a cercare un regalo che ti avrebbe sorpreso.
Ci siamo incontrati e ci siamo dimenticati come nulla fosse, come si perdono cose di poca importanza, nonostante non fossimo cose ma anime.
Ci siamo attratti sottoposti a una interazione gravitazionale che portava i nostri corpi a cercarci e ci siamo allontanati contraddicendo ogni legge fisica che prima ci aveva uniti.
Ci siamo dati un senso e ce lo siamo tolto, ricominciando ogni volta da capo, come se l’ultima pagina di una storia fosse solo l’inizio di un altra.
E tutto questo sperando sempre che fosse per “sempre”.
Che quel viaggio fosse durato per sempre, che quella moto mi avrebbe sempre portato in giro, che quella musica non avrebbe mai finito di piacermi, che quel cane non sarebbe mai invecchiato, che quella chitarra sarebbe stata sempre la mia preferita, che quella donna sarebbe stata la donna che non mi avrebbe mai abbandonato o che io non avrei mai lasciato.
Mille vite, una cometa fatta di una moltitudine di corpi celesti che gravitano attorno al sole del presente che piano piano si va spegnendo.
Come questa cosa che state leggendo.
Parole che vi entrano dentro dagli occhi, che trovano un posto da qualche parte dove sostare il tempo che basta per poi andarsene e lasciare il posto ad altre parole.
E io sono solo un idiota che si pone una domanda stupida.
Dove sono finite le emozioni che ho provato, come stanno gli amici che ho perso per strada, chi guiderà ora la mia prima moto, chi amerà adesso le donne che ho amato?
E se tutto ha un senso io non lo capisco.
E se tutto non ha un senso, io non capisco.
Paura di morire?
Come si fa ad avere paura di morire quando sono già morto mille volte e sono ancora qui.