Il desiderio di sentirsi antichi.
Appartenuti a tempi passati ed oggi liberi da ogni catena.
Incapaci di adattarsi ai ritmi moderni per la stessa pigrizia che si impongono gli orsi quando viene l’inverno.
Siamo Generali di un esercito di ricordi che marciano dietro di noi con le loro divise logore e le loro armi scariche.
Andiamo verso la fine ed è come se tornassimo a casa, reduci di battaglie combattute per difendere il territorio dove abbiamo seminato sogni e abbiamo visto crescere fiori selvatici.
Più conosci la storia più vorresti sentirtene estraneo.
Ogni notte sembra la stessa, meno male che stasera ricomincio a leggere il libro da dove ero rimasto ieri.
Chi è saggio sa che a una certa età è la vita degli altri a dare un senso alla nostra.
Mese: Marzo 2021
siamo fatti cosi
Siamo fatti cosi’.
Non fa male se non te ne accorgi.
Puoi perdere la cosa più preziosa che hai, puoi ferirti a una mano, puoi essere tradito o deriso, ma non fa male se non te ne accorgi.
Quando lo scopri ti chiedi come hai fatto a non sentire nulla.
Il sangue è solo una macchia scura che esalta la tua distrazione.
Si torna a casa, si lava la ferita sotto l’acqua fredda e si aspetta che guarisca.
Non fa male se non te ne accorgi.
Di cosa avrei bisogno?
Di cosa avrei bisogno per stare bene?
Avrei bisogno di una bottiglia per raccogliere l’acqua di questo torrente.
Ho deciso di camminare verso il Lago Santo e sono sicuro che mi verrà sete.
Non so nemmeno se riuscirò ad arrivarci.
Non possiedo il fiato.
Posseggo tutto il resto.
Case, automobili, donne e desideri esauditi.
Ma cazzo non possiedo il fiato.
E quando stamattina li ho visti partire con le loro scarpe tecniche, le loro giacche a vento ed i loro bastoncini mi ha preso un invidia che ha cominciato a rodermi il fegato.
A me, a me che non avevo mai provato invidia per niente e per nessuno.
“Dove andate?”
Ho chiesto.
“Cinque ore di cammino fino al Lago in cima alla montagna.”
Mi hanno risposto.
E poi la più figa del gruppo guardandomi fisso negli occhi mi ha chiesto:
“Perché non vieni con noi?”
Mi è venuto il panico solo a pensarci.
“Non ho il fiato.” Le ho detto.
“Quello non si compra.”
Mi ha risposto.
E se ne è andata lasciandomi li come un coglione, un coglione povero.
Povero di ossigeno.
Provate ad immaginare.
Siete convinti di avere tutto e poi da un momento all’altro vi accorgete che vi manca l’essenziale.
No, non poteva mica finire così.
Sono andato in un negozio e ho comperato tutta l’attrezzatura.
Naturalmente la migliore che ci fosse, o almeno quella che costava di più.
Mi sono vestito che sembravo un professionista delle scalate.
Sono arrivato con la mia auto ai piedi della montagna, ho parcheggiato dove inizia il sentiero e ho cominciato a camminare.
Anche se non possiedo il fiato possiedo la volontà.
Ho camminato per tre ore.
Con il fiato sempre più corto, la voglia di arrendermi sempre più forte, la paura di accorgermi che avrei dovuto imparare a perdere.
Fino a questa piccola radura, dove questo torrente fa un rumore dolcissimo, e il freddo comincia a crescere e il buio avanza come un lenzuolo sotto cui sembrano nascondersi tutti i corpi delle donne che non ho amato.
Seduto su questa pietra guardando l’ombra di una ragnatela di rami che sembra volermi imprigionare a me stesso sento la mancanza di un bastoncino di legno al quale da bambino attaccai una forchetta per potermi grattare la schiena.
Come un orso mi appoggio al dorso ruvido di un albero e comincio a raschiarmi dal culo alle spalle sentendo la gioia dell’essenziale scorrermi nelle vene.
Pensando alla strada da fare e al rantolare del mio respiro mi sento l’uomo più povero del mondo, ho speso quegli spiccioli di fiato e finalmente provo l’ebbrezza del nulla da perdere.
E tutto perché la più figa del gruppo mi chiese di andare con lei e io mi accorsi di non poterlo fare.
“Quello non si compra.”
L’ultimo respiro non ha prezzo, me lo godo tutto osservandolo mentre traccia una nuvola di vapore che mi ricorda il profilo di una mano che accarezza il vuoto.
FAcciamobuio
Facciamobuio.
Soffiamosulsole.
Esogniamochenoncisiaspaziofranoi.
Arriveranno i cultori delle regole a dirmi che se elimino lo spazio commetto un errore.
Io me ne fotto delle regole.
Non è ribellione, è semplicemente la coscienza di quanto siano inaffidabili i regolatori.
Colpa degli uomini che sono incapaci di imporsi da soli un senso di giustizia e concedono una ragione ai regolatori dei nostri comportamenti.
Io appoggio la schiena sul prato.
Riaccendiamoilsole.
Esogniamochetusiasopradimesenzaspaziochecisepari.
Fanculoglispazifranoi.
non te l’ho mai detto
Non te l’ho mai detto ma forse è il momento che tu lo sappia. La prima volta che mi buttai dal nido per provare a volare presi una facciata bestiale e mi ritrovai ferito e zoppicante sul terreno senza sapere come fare.
Quando sei nato per volare e fallisci il primo volo ti sembra impossibile poter tornare sul ramo.
Guardavo in alto e cercavo di capire come fare ad arrampicarmi sull’albero.
Avevo una zampetta rotta e due minuscole ali che non potevano afferrare nulla, tantomeno artigliare le rughe di un albero.
Ignoravo i pericoli del bosco ma li imparai velocemente quando vidi una volpe guardarmi e andarsene dicendo tra se: cresci, metti su carne e poi ci rivediamo.
Se non hai carne da offrire i predatori ti scansano come un inutile perdita di tempo.
Mangiai formiche e piccoli vermi, piano piano la zampetta guarì e un giorno la volpe tornò a cercarmi.
Mi trovò sull’orlo di una roccia che dava su un burrone.
Era la mia seconda possibilità.
L’ultima.
Mi gettai, aprii le ali, sentii il vento attraversarmi il collo e spandersi sotto le piume e volai.
Volai da solo per tutto il tempo che il vento mi permise di risparmiare le forze, al tramonto atterrai sul ramo di un enorme quercia.
Da allora passo da un albero all’altro, ogni tanto atterro su un tetto, piu’ raramente sui fili, ogni volta che mi butto ripenso per un attimo a quella prima volta che caddi, alla volpe che non volle mangiarmi e al burrone che mi salvò la vita e tutto ciò’ che posso dire di avere imparato dalla vita è che le uniche ali che mi terranno al sicuro in aria saranno solo le mie.
Solo le mie.
E’ il destino di chi vola quello di non poter essere volato e di non poter far volare.
Ora che lo sai che mi vorrai bene lo stesso?
a vestirmi ci metto 60 secondi
A vestirmi ci metto 20 secondi.
Raccolgo i calzoni buttati per terra la sera prima, prendo la prima shirt che capita sotto tiro, i calzini sono sparsi sul pavimento, le scarpe di solito stanno alla base del letto.
E tu dici che io assomiglio a quel coglione che sembra vestito come un cazzo di damerino con le calze del colore della giacca, la camicia di seta e un ciuffo da coglione che sembra fare da paravento a occhi da gufo.
Ci vuole rispetto.
La mia auto ha 350.000 chilometri e non ho i soldi per cambiarla, controllo il prezzo dell’acqua minerale e aspetto che il cibo vada sotto scadenza per avere il 50% di sconto.
Il bello di tutto questo è che non è una circostanza.
Questo sono io.
Questo è quello che voglio essere.
Non potrei mai essere come quella massa di coglioni che amano travestirsi con tutte le maschere che il nostro fantastico mondo occidentale offre a chi vuole nascondersi.
Ho soddisfazioni impagabili per questo mio modo di essere.
Quando qualcuna mi vuole, mi cerca e mi ama so per certo che ama me.
Avete idea di che piacere si provi nell’essere amati per ciò che si è?
Merito di quelle rare donne meravigliose che hanno capito che tra i pavoni scopa di più quello che fa la ruota più larga ma tra gli umani se vuoi essere amata devi trovare qualcuno che non ha ne voglia ne bisogno di scrollare il culo per sorprenderti con un ventaglio di piume.
C’è un uccellino che canta
C’è un uccellino che canta, un cane che abbaia e campane che suonano. Sullo sfondo anche il rumore di un camion che arranca in salita. L’idea che ogni giorno possa sembrare uguale al precedente mi porta a cercare soluzioni per dare al tempo personalità differenti trasformandolo in un personaggio vittima di un disturbo dissociativo della personalità.
Il rischio è di non riconoscerlo più ma il vantaggio e’ di non essere sopraffatti dalla noia.
Super 8, iowa
Al Super 8 di Iowa City c’era solo una camera libera.
Dopo una settimana di van avevo voglia di dormire e di lavarmi in una stanza di Motel e quell’ultima camera era benedetta.
C’erano due letti sormontati da due foto in bianco e nero, una foto raffigurava una serie di alberi i cui rami creavano un tunnel fatto di foglie, nell’altra foto c’era un laghetto dentro il quale galleggiavano due anatre.
Il copriletto era viola, il comodino era al centro dei due letti e conteneva una cassaforte.
Fuori pioveva.
Accesi il riscaldamento.
Mi spogliai buttando i vestiti per terra e mi infilai sotto la doccia.
Ci misi qualche minuto a scoprire come funzionava il miscelatore dell’acqua fredda-calda.
Usai il minuscolo sapone dell’albergo contenuto in una minuscola busta di plastica.
Allagai il bagno e mi asciugai con un asciugamano minuscolo.
Mi gettai sul letto e feci zapping passando dal canale Meteo a un talk show locale che discuteva dell’incredibile novità del wi-fi libero in tutti i parchi cittadini.
Spensi la tv.
Da te era mattina, da me mezzanotte.
Pensai che ti sarebbe piaciuto essere qui.
Avevamo in comune questa passione per i motel scelti a caso lungo la strada.
Mi chiedevi di non prenotare mai, ma di lasciare tutto al caso.
Ricordo che per questa tua mania dormimmo spesso in auto.
Sopratutto il venerdì e il sabato quando i ragazzi del luogo vanno in albergo a fare l’amore e i turisti rimangono fottuti.
Avevo una gran voglia di chiamarti ma avevo paura che sentirti avrebbe reso quella notte ancora più malinconica.
C’è chi si innamora come fosse tirare una scoreggia, finisce un amore e ne arriva subito un altro.
I pendolari dei sentimenti, con il cuore che si adegua alla necessità di voler amare ed essere amati.
Poi ci sono quelli come me e te.
Che quando accade rimangono sorpresi, scossi, frastornati di fronte a quell’evento così raro nelle nostra vita, l’amore.
Come fosse una corda gettata per salvarci dall’abisso di cui eravamo ignari fino ad un attimo prima di esserci salvati a vicenda.
Camera num. 5
Il 5 è il mio numero preferito.
Concedimi di immaginare una volontà giocosa nel caso.
Lui sa che io e te ci conoscemmo il 25 di maggio e facemmo l’amore la prima volta il 5 del mese successivo.
Non posso dimenticarlo, era il mio compleanno.
Se spengo la luce e apro le tende vedo un lampione.
Sembra quasi che la pioggia stia diventando neve.
Quanto vorrei fossi qui.
Strana sensazione la consapevolezza che facciamo finire storie che avremmo voluto non finissero mai.
Ti manca qualcosa in cui credere.
Starai mangiando?
Da te è l’ora di pranzo.
Qui è meglio dormire.
Domani voglio mettermi in viaggio presto.
Nel caso leggessi questa storia devi sapere che dopo aver condiviso tanta strada con te mi accade di immaginarti seduta nel sedile accanto che guardi la mappa e se mi giro a guardare il letto di fianco al mio vedo ancora i tuoi occhi che mi danno la buonanotte.