Procediamo per passioni.
E le passioni cambiano come i territori da esplorare.
E’ intuibile che uno dei motivi che ci spingono a sopravvivere e’ la possibilita’ che ci siano nuovi paesaggi.
Ma tu sei ancorata in quel porto abbandonato.
Barca lasciata a se stessa che poco a poco ammuffisce.
Che aspetti?
Che il vecchio pirata ritorni?
Non hai letto le cronache del mare?
Il vecchio pirata e’ morto, affondato col suo barile di Rhum.
A me non mi interessa la barca, mi interessa la paga.
Non mi interessa la missione, mi basta che il legno sia robusto e le vele in ordine. Poi si parte.
Che gliene frega a una barca di chi issa la vela, alla barca interessa del vento.
Non siamo parte di un territorio.
Il territorio fa parte di noi.
Non apparteniamo al luogo dove siamo nati per caso, ma al luogo che desideriamo.
Lascerei affondare qualsiasi barca pur di salvare la pellaccia.
Di barche ce ne sono milioni, la mia pellaccia e’ unica.
Meglio essere mozzi che cambiano nave che capitani legati indissolubilmente alla propria imbarcazione che affonda.
Mese: Agosto 2017
Ibuprofene
Meglio a stomaco vuoto. Fa effetto prima.
Che grande invenzione l’ibuprofene.
Fotte il mal di testa e fa tornare la vita bella come il sole.
E poi dicono che il progresso sia solo un processo degenerativo.
Ma cento anni fa ce l’avevano l’ibuprofene?
O quando avevano il mal di testa non gli rimaneva che tenerselo?
Questa è una domanda seria, meglio controllare.
1964. Boots, un’azienda farmaceutica inglese, inizia la vendita in Gran Bretagna dell’ibuprofene, il primo Fans su prescrizione medica, con il nome commerciale Brufen. L’ibuprofene, due volte più potente dell’aspirina, allevia il dolore dando minori disturbi gastrici.
Bene, essendo nato nel 1963 posso dire che mi è andata di culo, a un anno già avevo a disposizione il mio antidolorifico preferito.
Ne ho approfittato, o meglio abusato,per almeno un decennio, quel decennio di discoteche, bevute, notti da leone e giorni da coglione.
Oggi l’uso di ibuprofene è saltuario, ma fa piacere sapere che esiste, piu’ rassicurante di qualsiasi donna, amante o conoscente.
Un farmaco per amico.
Perchè il mio cane si addormenta sul tappeto e poi di notte si sposta sulla mia testa?
Devo capire questo comportamento bizzarro.
Sembra che si alzi a notte inoltrata, mi lanci uno sguardo e decida che la mia guancia è piu’ comoda del suo cuscino.
Nulla di male.
Io provo un piacere primordiale nel sincronizzare il mio respiro con il suo brontolio, me lo abbraccio come fosse un figlio appena nato, lui stira le sue zampe contro il mio collo.
Credo che il risultato sia di donarci una consapevolezza reciproca di esserci.
Miracolo degli animali che raramente riesce agli umani.
La cervicale mi rompe i coglioni, ho capito, ho capito che c’è una testa in bilico su questo corpo, non ci sarebbe bisogno di ricordarmelo ogni volta che i muscoli si contraggono.
Tra le cose interessanti che riguardano il futuro c’è la prospettiva di un viaggio nel passato.
Sto mettendo a punto una macchina del tempo, mi da ancora qualche problema, ma presto sarà pronta per il primo volo.
Vi faro’ sapere.
Favoletta
Favoletta camminava sulla strada che dal paese portava alla cascina portando un cesto di frutta e un cappello in testa.
Favoletta amava la sua cascina perchè c’era la frutta fresca le mucche i cavalli e le galline che lei chiamava per nome, dava il nome anche alle uova che non raccoglieva.
Alle uova che raccoglieva mostrava comprensione che pensava fosse di consolazione al fatto che da li a poco sarebbero diventate la sua colazione.
La nonna faceva l’uovo sbattuto.
Il nonno guidava il trattore.
Il papà era fuori in battaglia e la mamma stava ad aspettare seduta in cucina e stava li a cucire quello che era iniziato come un piccolo fiore e ora era una coperta d’amore.
Favoletta pensava che suo papà fosse un generale perchè prima di partire lo vide sull’attenti con un fucile e quando lei gli chiese: cosa vai a fare? Lui rispose vado a comandare.
E non comandava nessuno, nemmeno la sua paura di non tornare, dicono che la guerra sappia insegnare, ma a cosa serve imparare se devi morire.
C’è chi la guerra la decide, e chi la guerra la deve fare e non si devono incontrare.
Perchè lo sguardo del presidente ha paura dello sguardo del soldato come lo sguardo del serpente ha paura dello sguardo di chi ha morsicato.
Favoletta conosceva una canzone che cantava per non pensare.
Diceva che se persino le nuvole diventano pioggia non c’è motivo per non sperare che chi è partito possa tornare.
Favoletta vide suo padre tornare, sua madre smise di cucire e la guerra fu dimenticata, ci sono storie che sono fatte per continuare e storie che ti chiedi come sarebbero andate a finire e favole che devi raccontare per far credere ai bambini che i grandi sono meno peggio di quel che possono immaginare.
Un bel gioco
Bel gioco inventò dio quando creò l’uomo
deve averci pensato un bel po’ per riuscire a costruire
questo fragile pupazzo capace di impazzire
pregare
bestemmiare
odiare
amare
uccidere
salvare
leggere
scrivere
cancellare
suonare
ascoltare
e mille altre funzionalità
che ti lasciano sempre col dubbio di cosa accadrà
non sapendo bene cosa aspettarsi da questo pupazzo
che a volte è animalista a volte razzista a volte comunista
a volte fascista ed è sempre convinto che sia lui
lui a decidere
e se ci pensi bene
qualsiasi bianco è bianco per caso
qualsiasi nero è nero per caso
decide piu’ la logistica che la volontà
e siamo tutti quà ad essere convinti
che siamo noi a decidere.
E se ti senti perso
fidati
è buon segno
sei sfuggito al controllo
e se stai male
perchè non sai dove andare
è buon segno
sei senza guinzaglio
se non ti sai decidere
è perchè puoi decidere
e se non sai cosa pensare
è perchè sai ancora pensare
e dio ti cerca e non ti trova
e lo farai impazzire
fino al punto che deciderà di chiudere la playstation
e si metterà a leggere.
Diffida di chi ha certezze
perchè non sono sue
le possiede come il cane possiede l’osso.
Mai pensato che sia l’osso a possedere il cane?
Premesso che questo gioco mi fa abbastanza schifo
e che dio assomiglia a un ragazzino
che si eccita nello schiantarsi con una macchinina virtuale
contro un muro digitale
a me non resta che la libertà di essere un musulmano
che mangia il salame
un cattolico che desidera la donna d’altri
un comunista che si compra una porsche
e un rivoluzionario alla corte del re.
A volte mi sorprendo
nello scoprire che il poliziotto
guardando la mia patente
non capisca
che quello non sono io.
Non sono io.
dio fottiti
ti ho fregato anche questa volta.
Guido Prussia
Foto di classe
No, la foto della mia classe al Ginnasio non me la posso bruciare in un attimo.
Prima di tutto ci vuole una musica adatta ed è per questo che metto su un disco di De Gregori, quello con Generale e Renoir, anno 1978.
Più o meno ci siamo.
Poi guardo la foto.
Vediamo se ricordo i nomi. Sono passati 40 anni.
Li ricordo tutti tranne due che ho sulla punta della lingua.
Vedete la foto.
E’ stata scattata nel campetto dove si giocava a pallone.
Dietro c’è quella che dovrebbe essere una porta, un giorno tirai una bomba da centrocampo e il pallone che sembrava destinato ad uscire si abbasso improvvisamente e ando’ a infilarsi nel set a destra.
Fu il gol piu’ bello che feci in vita mia.
La mia prima fidanzatina venne un pomeriggio a vedermi giocare, mi fecero un fallo e lei entro’ in campo per accertarsi delle mie condizioni.
Sono cose che non si fanno le dissi.
Rischio di essere preso per il culo per tutto l’anno scolastico.
E cosi’ lei imparo’ che se fanno un fallo al tuo ragazzo si puo’ urlare un vaffaculo al difensore scorretto ma non si puo’ entrare in campo a soccorrere il fidanzato.
Il prete era il Preside della scuola.
Padre Bassotti.
Il Preside entrava nelle foto di tutte le classi e si regalava un eternità relativa nei ricordi infantili di migliaia di ragazzini.
Era un bravo Preside.
Possibile che non ricordi una volta in cui ebbi paura di lui.
Non la ricordo.
Nella foto c’è anche Tixi, era il mio migliore amico, e forse manco lo sa.
Accade che a volte si è migliori amici senza saperlo.
E se ci fate caso i migliori amici non si assomigliano mai.
Mentre io passavo i pomeriggi in discoteca lui leggeva libri e suonava i cantautori.
Diciamocelo io ero il tamarro e lui l’intellettuale.
Ma ogni intellettuale ha bisogno di un tamarro per sentirsi piu’ intellettuale e ogni tamarro ha bisogno di un intellettuale per sentirsi piu’ tamarro.
Nessuna delle ragazze nella foto mi ha mai preso in considerazione, in classe gli ormoni erano nascosti, si mandavano avanti le truppe dell’indifferenza.
Una compagna di classe era a quei tempi un po’ come una cugina.
Non si esce con le cugine….
Cioè a dire il vero qualche anno dopo cambiai idea.
Ora quel campetto di calcio è diventato un parcheggio.
Dio sa dove fanno ora le foto di classe.
Ma quando mi sono affacciato al cancello e ho visto la fine ingloriosa del mio campetto di calcio trasformato in parcheggio non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai sembra sempre che le cose tendano a peggiorare.
Pensate se invece di farlo diventare un parcheggio ci avessero messo un fondo di erba sintetica.
Quella si che sarebbe stata un sorpresa.
Magari sarei entrato a fare due palleggi e avrei riprovato quel tiro da centrocampo.
Magari.
E ora compagni di classe che non vi vedo piu’ da quasi 40 anni se ci siete battete un colpo.
Quelli che hanno ancora i capelli giuro che li riconoscerei uno per uno, sugli altri non garantisco…
Gli anni dell’albero
La bambina mi chiede:
Veramente posso sapere gli anni dell’albero
contando gli anelli concentrici?
Si che puoi.
E come mai?
La pianta produce un legno chiaro in primavera
e un legno scuro in inverno.
Veramente?
Si.
E le sue dita lentamente contano
1,2,3,4,5,6,7,8,9.
Questo albero ha 9 anni, come me.
Perché l’hanno tagliato? Non era troppo giovane?
Era troppo giovane. Hai ragione.
Perché l’hanno tagliato?
Piccola gli uomini fanno cose che non si possono spiegare.
Povero albero. Ma secondo te io posso decidere di essere una bambina albero?
Preferisco essere una bambina albero che una bambina che taglia gli alberi quando sono bambini.
Tu puoi decidere di essere quello che vuoi.
Allora ho deciso. Io sono una bambina albero e ho un papà lupo e una mamma orsa.
Abbiamo lasciato il bosco e siamo tornati a casa sentendoci migliori di quando arrivammo.
Ti ricordi
Ti ricordi quei giorni quando la salita ci modellava le gambe ed eravamo bambini con polpacci d’acciaio.
Spuntava il mare tra la galleria e il pennone della bandiera, sembrava cosi’ lontano ed era cosi’ vicino che arrivarci era una via di mezzo tra un miracolo e uno scherzo.
Le regole della casa erano cosi’ certe che era facile pensare che fossero le regole del mondo, e se erano le regole del mondo erano piu’ facili da sopportare.
Eravamo bambini con l’istinto che permetteva di conoscere in anticipo quello che era permesso e quello che non era permesso.
Incredibile vedere come il Duemila ci ha portato una generazione di figli che fanno da genitori ai loro padri e alle loro madri.
E come genitori senza pietà i figli inchiodano i padri alla loro incapacità di essere autorevoli.
Non scambierei mai le botte di mio padre con la melliflua amicizia che unisce i genitori moderni ai loro bambini viziati.
Erano giorni in cui per le scale non esistevano ascensori e per le salite non esistevano seggiovie.
Era tutta una questione di gambe.
Per fuggire e per tornare.
L’uomo e la donna si insegnano da bambini.
Preparatevi a un futuro senza uomini e senza donne.
Battitore di tasti
se lasci andare le dita sulla tastiera senza pensarci scopri che gli spiriti non amano usare gli apostrofi e trovano superflua la punteggiatura e se hai voglia di toglierti le scarpe si innervosiscono perchè stai solo togliendo tempo al loro breve tempo di ispirazione e naturalmente le stringhe fanno fatica a sciogliersi e vorresti strapparti dai piedi le scarpe a forza ma sai che devi stare calmo e dopo aver cercato l’estremità della stringa finalmente liberi il piede dalla prigione e cosi’ posso tornare a far scorrere le dita senza sapere nemmeno cosa stiano andando a cercare
se evito di pensare vedo tutti i portoni delle case in cui ho vissuto che si aprono con una chiave sola e quella chiave mi è scivolata da una tasca mentre correvo a capofitto giu per una discesa che portava verso la stazione e gli anni scorrono all’indietro come le pagine di un quaderno sfogliate per ritrovare quel numero di telefono che di sicuro dovevi aver segnato da qualche parte e da qualche parte non sai dove sia, lei era bionda e veniva dalla svezia, rivista in una foto molti anni dopo non la vedi piu’ cosi’ bella e ti chiedi come sia possibile che ti abbia fatto perdere il sonno, se nevica esco e non me ne frega nulla che sia notte, anzi meglio, poi col pollice nascondo la luce del lampione e vedo solo mille fiocchi cadere, anzi precipitare, anzi atterrare, anzi coprire questo sudicio pavimento di asfalto per la gioia dei bambini che domani mattina potranno credere a qualcosa di magico senza attendere le spiegazioni monotone dei meteorologi forse la cosa che piu’ manca alle nostre anime è l’istinto del corpo, forse per questo l’anima ha paura di uscire dalla tana, sa che non sopravviverebbe molto in una foresta dove lo scatto conta piu’ della meditazione e quando guardo gli altri scopro che sono maledattemente io e loro sono maledettamente loro, e ognuno di noi è maledettamente lui, imprigionati al nostro essere come la tartaruga al suo guscio, c’è poco da fare è ridicolo fare esercizi di comprensione, per quanto tu possa camminare con le scarpe di un altro i piedi saranno sempre i tuoi e allora chiedendo allo spirito che ama volare sui tastini che senso ha tutto questo non posso fare altro che vedere un dito alla volta sorvolare l’oceano di lettere per poi vedere che in fondo è scritto solo un lungo aforisma che come tutti gli aforismi vuol dire tutto e non vuol dire un cazzo, dice cosi:
tutto cio’ che so l’ho imparato vivendo, e ora non faccio altro che ricordare, quindi il senso è nel ricordo, per questo fai attenzione a cio’ che fai perchè ogni cosa che fai si trasforma in ricordo, il ricordo è grazia e condanna, è sollievo e dolore, il ricordo è l’eterno, il ricordo è la pianta che raccoglierai dopo aver seminato, il ricordo ti assolverà e ti condannerà, siamo ricordi che vagano in se stessi come viaggiatori nel tempo a caccia dei piccoli particolari che ci sono sfuggiti, l’amore che cerchi lo troverai nell’amore che dai
e buonanotte a chi sta andando a dormire, buongiorno a chi si è appena svegliato
approfitta del tempo per arredare al meglio la stanza in cui vivrai per sempre
Guido Prussia, battitore di tasti
Piccolo Cowboy
Il bambino la mattina si alza e corre verso la finestra per scoprire se è nevicato.
Sogna di essere un uomo cowboy con il cavallo che lo aspetta fuori.
Accartoccia la realtà e ci gioca a pallone simulando calci di rigore in una finale mondiale.
Ed è normale fare salti mortali sul letto riuscendo a cadere in piedi.
La bambina che scende le scale che portano al mare da un occhiata veloce verso la spiaggia per vedere se lui è già arrivato.
Il bambino finge di non vederla ma un sorriso lo smaschera.
Tu sai che nella scatola di latta ci sono tanti di quei ricordi che cominci a pensare che il tempo trasformi lo spazio in piccole fotografie appoggiate una sull’altra, a volte incollate una all’altra che a staccarle si rischia di rovinarle.
E se anche fosse che di quello che sei stato non rimane nulla.
Quel nulla è qualcosa.
Quel nulla è un ciuffo biondo che il vento spinge sugli occhi, quel nulla è una piccola mano che si attacca alla scaletta della piscina e ti fa sentire al sicuro.
Quel nulla è il ricordo dell’odore dell’asciugamano steso sulle pietre su cui rimaneva impressa l’impronta del tuo corpo bagnato.
Corre il tempo, come un lupo che ha paura di perdere il contatto con il cervo, corre con la testa abbassata poco interessato al panorama, tutto concentrato sulla fame.
Se fossi davvero un cowboy prenderei il tempo al lazo, afferrandolo per le corna e facendolo stramazzare nella sabbia.
Se fossi davvero un cowboy smetterei di chiedermi cosa pensa la gente nel vedermi con questo cappello.
Se fossi davvero un cowboy smetterei di pormi domande stupide e camminerei con lo sguardo rivolto al cielo perchè sento odore di pioggia.
Se fossi davvero un cowboy avrei figli che giocano nel fienile e una moglie che si fuma una sigaretta sotto il pergolato annusando un fiore che spunta da un vaso pensile.
Se fossi davvero un cowboy chiederei scusa agli indiani e inviterei i loro figli a giocare con i miei.
Quanto di ciò che siamo è ciò che decidiamo di essere?
Io sono un cowboy.
Su tutto il resto mi sto organizzando.
E me ne fotto di quello che pensate del mio cappello.