Favoletta

Favoletta camminava sulla strada che dal paese portava alla cascina portando un cesto di frutta e un cappello in testa.
Favoletta amava la sua cascina perchè c’era la frutta fresca le mucche i cavalli e le galline che lei chiamava per nome, dava il nome anche alle uova che non raccoglieva.
Alle uova che raccoglieva mostrava comprensione che pensava fosse di consolazione al fatto che da li a poco sarebbero diventate la sua colazione.
La nonna faceva l’uovo sbattuto.
Il nonno guidava il trattore.
Il papà era fuori in battaglia e la mamma stava ad aspettare seduta in cucina e stava li a cucire quello che era iniziato come un piccolo fiore e ora era una coperta d’amore.
Favoletta pensava che suo papà fosse un generale perchè prima di partire lo vide sull’attenti con un fucile e quando lei gli chiese: cosa vai a fare? Lui rispose vado a comandare.
E non comandava nessuno, nemmeno la sua paura di non tornare, dicono che la guerra sappia insegnare, ma a cosa serve imparare se devi morire.
C’è chi la guerra la decide, e chi la guerra la deve fare e non si devono incontrare.
Perchè lo sguardo del presidente ha paura dello sguardo del soldato come lo sguardo del serpente ha paura dello sguardo di chi ha morsicato.
Favoletta conosceva una canzone che cantava per non pensare.
Diceva che se persino le nuvole diventano pioggia non c’è motivo per non sperare che chi è partito possa tornare.
Favoletta vide suo padre tornare, sua madre smise di cucire e la guerra fu dimenticata, ci sono storie che sono fatte per continuare e storie che ti chiedi come sarebbero andate a finire e favole che devi raccontare per far credere ai bambini che i grandi sono meno peggio di quel che possono immaginare.

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