Due lupi

Fondamentalmente cerco da sempre una donna che mi veda.
E vedendomi abbia voglia di chiedermi cosa faccio dopo, e qualsiasi cosa io faccia dopo lei mi dica: posso farlo con te?
Di tutto l’amore di cui si parla io vorrei quell’amore che non si puo’ dire, quello che si annusa, si tocca, si ascolta e si gusta.
Un branco di due lupi che attraversano una tempesta di neve, due macchie di grigio in uno sfondo bianco.
Condividendo la preda, il freddo, la grotta e il futuro.
Ti basterà guardarmi per conoscere la mia storia, conosci il linguaggio dei miei sguardi, della mia pelle e del mio passo.
Mi basterà guardarti per capire che ci sono ferite che hai vegliato guarire in silenzio, sola, senza avere il coraggio di mostrarle per sfuggire a domande a cui non avresti voluto rispondere.
Io non sarò mai tuo, e tu non sarai mai mia, saremo nostri.
Padroni solo della volontà di proseguire insieme e insieme lottare per sopravvivere all’inverno.
Guido Prussia

Mezz’ora di follia

Nulla
Non c’è nulla che mi tenga legato alla ragione
Se non la ragione stessa
Una catena
Che impedisce al cane
Di azzannare chiunque si avvicini.
Potrei impazzire
Nel tentativo di impazzire
Ubriacarmi annusando
Il vino degli altri
Andare fuori di testa
Aspirando l’alito
Di una donna
Che ha appena finito di farsi
Tre canne
Di maria,
Di quella buona.
La follia della ragione
Salva la rispettabilità delle scelte
Di fronte al giudizio
Di tutti i cosiddetti
Sani di mente
Che ogni pomeriggio
Si rimettono in auto
Per tornare a casa
Ascoltando le ultime notizie alla radio
Sapendo che ogni giorno
Messo in saccoccia
È un punteggio positivo
Nel gioco della resistenza.
Prendo a calci
Una cabina telefonica
Stando attento che
Nessuno mi guardi
fino a quando il vetro crolla a terra.
Circondato
dai cibi in scatola,
dalle scarpe da ginnastica,
dai marciapiedi,
dai vigili,
dagli orari di lavoro,
dalle partite di calcio,
dalla musica commerciale,
dalle cene fuori,
dai tentativi di conquista,
dalle paure,
dalle gioie,
dalla fantasie
e poi penso all’arte.
Penso a tutte queste cose
Che si autodefiniscono
Con la forza di penetrare le menti.
Miti indistrittubili
Insieme a milioni di altri miti,
capaci di giustificare ogni domani,
perché comunque l’inverno finirà e verrà
il momento dei saldi.
A me non me ne frega un cazzo
Se ora si mette a piovere,
anzi se mi bagno tanto meglio.
E se fa freddo
Vorrà dire che moriro’ di freddo,
sempre meglio che patire
questo mal di schiena
seduto su questo sgabello traballante
a scrivere pensieri
cosi’ piccoli
da colare dal sacchetto di plastica
che mi sono infilato in testa.
Ma cosa vorrei?
Interessa?
Mettiamo che interessi.
Vorrei la comunicazione sincera
Al di là di qualsiasi conformismo.
Vorrei la totale mancanza di filtri
Fra me e te
Chiunque tu sia,
vorrei la fine del concetto di colpa
per chi non ha colpe,
vorrei l’inizio del senso di colpa
per chi non prova sensi di colpa.
Vorrei un inferno
Provato
Che bruci il culo
Ai bastardi.
Vorrei amare
La donna dei miei sogni
Senza attendere che la donna dei miei sogni
Finga di essere reale.
E poi vorrei
Che tra l’inizio e la fine
Ci fosse un attimo
In cui qualcosa, qualcuno
Dia un senso
A tutto quello che è stato prima e verrà dopo.
E un calumet della pace
Sotto una tenda
In mezzo ad un deserto dell’Arizona,
A fumare
Per far pace con me stesso.

Superficiale

Io sono superficiale
e cerco di non nuotare mai dove non vedo il fondo
sono cosi’ superficiale che posso giocare con i piedi nel fango
sentendomi pulito.
Non ti chiederò mai il significato di nulla.
Sono così maledettamente superficiale
che mi annoio subito di quasi tutto,
e dico quasi per non togliermi la speranza che esista qualcuno
capace di appassionarmi per almeno una settimana.
Sono superficiale da sempre
persino da bambino
non mi interessava cosa c’era dentro il pozzo
preferivo salire sugli alberi e vedere cosa c’era dentro il nido.
Quando lei mi disse
Come fai a non porti domande?
io già ero distratto dalla sua amica che portava una canottiera senza reggiseno.
Perché dovrei interessarmi a cose che non mi cambiano la vita?
L’esistenza degli alieni non influisce sul mio conto in banca
L’esistenza di Dio non mi fa passare il male di testa
Concentrarmi sull’anima non mi sgonfia la pancia.
Sono ancorato alla terra
come una nave pirata all’isola del tesoro
e dopo essermi fatto tutto questo culo
per arrivare finalmente ad essere un superficiale
che non si pone e non pone piu’ domande
baratterei l’eternità
con un lento invecchiamento senza fine che mi permetta
di godermi senza fretta la mia filmografia preferita.
Confidando nella demenza senile per poter rivedere
mille volte il Grande Lebowski
come fosse la prima volta,
poter fare l’amore con la stessa donna
mille volte
come fosse la prima,
poter addormentarmi sotto le stelle
del deserto australiano mille volte
come fosse la prima,
poter riascoltare sei o sette canzoni
mille volte come fosse la prima.
Capisci
sono cosi’ superficiale
che qualsiasi cosa pensi di me
mi stai sopravvalutando.
Quando vieni a casa mia
vai a vedere come tengo il mio dentifricio
non lo vedrai mai tappato
tengo aperta qualsiasi cosa
che debba riaprire
per non avere il fastidio di aprirla di nuovo.
Sono cosi’ superficiale
che l’unica cosa in cui credo
è che nemmeno il diavolo
sarebbe capace di riscaldare
quel pavimento di marmo
sotto i portici di Piazza del Duomo
dove Giuseppe dorme ogni notte
sentendo il ghiaccio sotto il culo
nascondendo il volto sotto le coperte
perchè quelle cazzo di strisce luminose
scorrono su un monitor della vetrina di Bloomberg
per informare 24 ore su 24
sull’andamento delle borse mondiali.
Fanculo.

Oggi poca poesia

Oggi poca poesia, andiamo sulle cose vere.
Ci sono uomini che per mascherare la loro nullità usano il metodo di distruggere le loro donne.
Avete presente quelli che sostengono di essere pieni di fighe nonostante siano dei cessi apocalittici e che poi rivolgendosi alla loro donna trovano sempre scuse per screditarle.
Quegli uomini che avendo avuto “successo” nella vita e potendosi permettere di mantenere una donna la trattano come se l’avessero comperata al mercato.
Quelli che si creano il loro impero privato all’interno della casa e qui regnano come dittatori dettando regole orari e comportamenti.
Esistono.
Cazzo se esistono.
Eppure ogni volta che ne sento raccontare non posso fare a meno di rimanere meravigliato di fronte alla loro esistenza.
Mi domando dove sia la soddisfazione nel tenersi una donna al guinzaglio.
Pero’ due cose ve le devo dire a voi donne che avete avuto la sfiga di innamorarvi di uomini che hanno l’hobby di distruggervi.
Dovete piantarla di creare degli alibi alla vostra dipendenza e alla stronzaggine dei vostri uomini.
Fatevene una ragione, vi siete innamorate di un uomo di merda e non riuscite piu’ a liberarvene.
Avete scelto una comoda schiavitu’ a una scomoda libertà.
Vi siete fate abbracciare dal vostro aguzzino e fate salti mortali per trovare in lui giustificazioni psicologiche in traumi da abbandono, esaurimenti nervosi, depressioni o stress da lavoro.
Ma sono cazzate.
La merda è merda a prescindere.
Non esistono disturbi mentali che trasformano un uomo in una merda.
Merde si nasce.
Quello che posso dirvi con certezza è che ogni volta che vi dice che siete dei cessi è perchè lui è piu’ cesso di voi.
E quando vi dice che siete ignoranti è solo perchè lui è piu’ ignorante di voi nel capirvi.
E se vi dice che è pieno di donne pronte ad amarlo, è perchè è solo come un cane abbandonato.
Del resto non c’è solitudine peggiore che convivere con una persona che sogna di fuggire.
Tutto questo accade sopratutto nelle piccole città, la mentalità di paese incatena le persone ai loro ruoli, la madre faccia la madre, il padre faccia il capofamiglia, il prete faccia il prete e la puttana sarà sempre puttana.
E se qualcuno cerca di togliersi la maschera verrà preso per pazzo.
Credetemi, non esiste uomo cosi’ fortunato che possa vantarsi di essere amato da tutte le donne che vuole.
Puo’ essere usato, ma non amato.
Va già di culo che abbia trovato voi.
Non esiste legge che permetta a un uomo di sentirsi padrone di una donna.
E qualsiasi uomo usi la sua cultura per discriminare chi è culturamente meno preparato è talmente stupido che la sua cultura serve come puo’ servire una falce per raccogliere i fiori.
Pero’ io ogni volte ci rimango di merda nell’ascoltare storie di donne prigioniere in casa, faccio una fatica tremenda a capire come sia possibile resistere.
Quanti uomini di merda ci sono in giro e quante donne sono cosi’ abituate alla loro prigione da essere terrorizzate dalla libertà?

Compilation

C’era una volta la possibilita’ di conquistare la persona amata attraverso una compilation.
Non si trattava solo di mettere in fila una serie di canzoni. No.
La compilation era qualcosa di piu’ complesso. Era il tentativo di raccontarsi e di dichiararsi attraverso musica e parole.
Funzionava cosi’.
Si prendevano tutti i dischi, poi si piazzava al fianco del giradischi un registratore di cassette e naturalmente una cassetta vergine.
Di solito era di 60 minuti, perche’ 48 erano troppo pochi e 90 troppo lunghi. (A parte il fatto che le cassette da 90 minuti spesso si inceppavano).
Fondamentale era avere un foglio su cui costruire la nostra scaletta. (Oggi si dice playlist, allora era la scaletta)
Prima di cominciare si rifletteva sulla persona a cui era indirizzata la compilation.
Perche’ fare una compilation per conquistare una persona significava non solo cercare di esprimere noi stessi ma anche cercare di andare incontro ai gusti della persona che avrebbe ascoltato la cassetta.
Se la persona era una rivoluzionaria la scaletta poteva prevedere canzoni di Guccini, Lolli, De Gregori e Finardi e poi Rolling Stones, Who e Led Zeppelin.
Se la persona era una conservatrice romantica si faceva affidamento tra gli altri su Baglioni, Venditti, Concato e poi Cat Stevens, Lionel Ritchie e i Bee Gees.
A parte i classici era poi fondamentale trovare una canzone di un cantante sconosciuto.
L’effetto sorpresa in una cassetta era fondamentale.
Perche’ quella canzone sconosciuta sarebbe stata la prova provata che quell’amore avrebbe riservato sorprese.
Bene. A questo punto, dopo aver scelto le canzoni si passava al misurare la durata delle canzoni, si faceva la somma nel tentativo di riempire quasi tutta la cassetta senza lasciare troppo spazio vuoto fra il lato A e il lato B.
La scaletta era virtualmente stata creata.
Si passava a una delle fasi piu’ creative e piu’ belle dell’intero processo creativo: la copertina.
La copertina era quel cartoncino che si trovava all’interno della cassetta vergine.
Andava rovesciato e sulla parte vergine c’erano alcune righe sulle quali scrivere i titoli delle canzoni.
Ma non ci si poteva limitare a una anonima compilazione di titoli.
Quella copertina andava riempita, erano centimetri quadrati da riempire di passione, interesse, creativita’ e amore.
Per far questo non bastava una penna, ci voleva un pennarello. A volte piu’ pennarelli, di colori diversi.
Prima di tutto bisognava scrivere la data esatta in cui la compilation era stata creata.
Di solito si usava un corsivo dove le lettere ingrassavano e dimagrivano creando un effetto palloncino.
Alla data seguiva il luogo in cui quella cassetta era stata registrata.
E poi la dedica.
Si stava ore a pensare a cosa scrivere.
Si cercava ispirazione nelle canzoni che stavamo registrando ma spesso l’intero processo di registrazione terminava e noi eravamo li, con la penna in mano, a non sapere cosa scrivere.
Le ragazze se la potevano cavare con una serie di cuoricini rossi ma noi maschietti eravamo obbligati a trovare soluzioni piu’ originali.
Si andava dalla frase ad effetto al disegnino, ma il top era ritagliare immagini o fotografie e incollarle con precisione certosina.
Questo “decoupage” adolescenziale andava fatto sul frontale del cartoncino e quindi i titoli della canzoni rimanevano all’interno, questo creava un effetto sorpresa.
Si dava la cassetta sperando che la persona potesse rimanere colpita dalla copertina che noi avevamo creato.
Alcune cassette avevano un cartoncino che si apriva a fisarmonica.
In quel caso la superficie su cui esprimere il nostro messaggio triplicava.
Finita la copertina mancava solo la parte meccanica del processo creativo.
La nostra concentrazione era su tra piccoli tasti neri.
Play, Rec, Pause.
Play e Rec schiacciati insieme facevano partire la registrazione.
Sembra facile, in realta’ ci voleva un abilita’ particolare a mettere la puntina sospesa sul disco proprio nel punto di pausa tra un pezzo e l’altro, poi si avviava la registrazione e quasi contemporaneamente si faceva appoggiare la puntina sul vinile.
La coordinazione era fondamentale.
Se tutto andava bene partiva la registrazione, la puntiva toccava il disco e due secondi dopo cominciava la canzone.
Se tutto andava storto partiva la registrazione e la puntina cadeva sul disco in un punto dove la canzone era gia’ iniziata o, peggio ancora, stava finendo la canzone che la precedeva.
E tutto era da rifare.
Il tempo di realizzazione di una cassetta da 60 minuti poteva arrivare fino a quattro ore.
Una volta finito il lavoro la sensazione era di avere materializzato un sentimento.
La cassetta era pronta ma bruciava tra le nostre mani.
Bruciava come brucia la paura e la speranza.
La paura che non piacesse, la speranza che quelle canzoni la convincessero ad amarci.
Come consegnarla?
A mano?
Con un l’aiuto di un amico nelle vesti di incolpevole postino amoroso?
Magari spedirla?
O farla trovare sul banco di scuola?
Passava qualche giorno prima della decisione.
E una volta consegnata si fantasticava sul momento in cui fosse stata ascoltata.
Si immaginava il nostro desiderato amore aprire la cassetta, infilarla nel lettore e poi ascoltarla.
Chissa cosa avrebbe pensato.
Magari potevo non mettere quella canzone.
E quella di Baglioni e’ troppo melensa.
Finardi….magari non sa nemmeno chi sia Finardi.
E quella di Venditti che parla della ragazza incinta che va a scuola…non e’ che poi pensa male?
Nascevano mille pensieri per dieci canzoni, intanto si aspettava.
Il verdetto sarebbe prima o poi arrivato.
Aspetta!
Ma ho messo il mio telefono sulla cassetta?
Si, si , l’ho messo.
Allora perche’ non chiama?
Magari c’è sua madre in casa e non puo’ chiamare.
Magari e’ cosi’ colpita che non sa cosa dire.
Il “magari” ci salvava e ci condannava.
Non restava che aspettare. Prima o poi quella cassetta avrebbe dato il suo verdetto.
Poteva essere la scintilla avvicinata alla benzina o un bicchier d’acqua sulla cenere.
Poteva essere fuoco o fumo.
E quel dubbio ci faceva sentire piu’ vivi, quel dubbio era forse il vero motivo per cui avevamo fatto quella cassetta.
C’era una volta un tempo in cui nelle certezze si annegava e nei dubbi si nuotava.
Era il tempo della “scaletta” al posto della playlist.

Il tuo culo

Perché pensi
Che ci sia qualcosa di male
Se dico che la parte migliore di te
È il tuo culo.
Non è vero che non ho notato
La tua intelligenza,
e mi sono soffermato anche sui tuoi occhi
e su tutto il resto.
Persino i tuoi pensieri
Circolano ancora tra i miei.
Ma non è colpa mia se il tuo culo
È cosi’ bello
Da rendere superfluo tutto il resto.
Amandoti
Passero’ ore a guardarti sdraiata
A pancia in giu’
Ascoltando tutto cio’ che avrai da dire.
Ti ascoltero’ per ore
E poi ascoltero’ per tutta la notte
La risposta silenziosa
Che solo il tuo culo
Sa dare al mistero
Della vita.

Photo da Internet

Amitola

Mi chiamo Amitola, il mio nome significa arcobaleno.
C’è un luogo nascosto dove mi rifugio quando voglio stare da sola.
Mi sdraio su un tappeto e guardo verso l’alto l’intreccio di rami da cui spunta un angolo di cielo.
C’è un piccolo specchio nell’angolo e sdraiandomi faccio in modo di vedere i miei occhi riflessi.
Mi guardo come se guardassi un estranea con la curiosità di conoscermi.
Tengo dell’acqua a portata di mano perchè il caldo a volte è insopportabile bevo dalla bottiglia perchè non so bere dal bicchiere.
C’e’ una formica che in qualche modo e’ riuscita ad arrampicarsi fino alla mia mano, l’ho guardata percorrere la distanza dal polso all’indice e poi l’ho posata per terra.
E’ scomparsa in un piccolo buco nel terreno, ho avuto la tentazione di riempire qual buco d’acqua ma non l’ho fatto.
Non so se le formiche sanno nuotare.
Da grande vorrei andarmene da qui, ma non conosco nessuno che l’abbia fatto e poi non sia tornato.
Se c’è un solo posto al mondo dove puoi permetterti di non nasconderti, in quel posto sentirai il bisogno di tornare.
Mia nonna mi parlava di un tempo in cui suo nonno parlava agli animali, oggi non ci si parla nemmeno fra umani.
Ci sono cose che non capisco. Troppe cose.
Credete che sia possibile espiare la pena prima di aver compiuto il reato?
Ottenere un buono per un delitto.
Uccidere il destino ed essere liberi.
A 17 anni il futuro comincia a svestirsi.
Fino a ieri sembrava un bellissimo invincibile guerriero.
L’ho seguito fino al fiume, si è tolto l’armatura e sono spuntate cicatrici, ferite, lacerazioni.
Il fiume si è fatto rosa.
Sono scappata sotto la tenda, mi sono sdraiata sul tappeto e ho girato lo specchio per non guardare i miei occhi diventare adulti.

Davvero mi vuoi conoscere?

Schermata 2017-05-18 alle 21.39.44.pngDavvero mi vuoi conoscere?
Ne sei convinta?
Ti avverto che non sono capace di fare salti mortali, sono un principiante sui giochi di prestigio, cammino e mi stanco velocemente, e se mi chiedi dove abito non saprei dove risponderti.
Io tutta questa curiosità non la capisco.
Ti lascerei abitare dentro di me per un po’, sono sicuro che cambieresti idea.
Ci vedresti un casino assurdo, piatti da lavare nel lavello della cucina, un tavolo ricolmo di libri, di hard disk, di anelli, plettri, monete, souvenir, e cuffie.
Ogni tanto mi vedresti vagare per le stanze cercando di mettere a posto, pronto a distrarmi non appena lo sguardo finisce sul titolo di un libro, sulla chitarra o sul telecomando.
E poi non ci sono mai.
Non ci sono nemmeno quando ci sono.
Sono un eterno planante sempre a caccia di qualche raffica di vento che mi permetta di non sbattere le ali, non dico mai vado perchè dovunque vada è come se tornassi, amo solo i miei cani, e certamente li amo piu’ di me stesso.
Poi non ti abitueresti mai ai mucchi di lettere che accumulo senza mai aprire.
Se vuoi conoscermi perchè sei attratta dal mio lato selvaggio devi sapere che non fumo, non bevo e l’unico vizio che mi concedo sono un mucchio di integratori sotto forma di pastiglie.
Saresti costretta a vedermi ogni giorno ingoiare compresse di ortica selvatica, zenzero, curcumina, omega 3, cannella, artiglio del diavolo e papaya.
E nonostante questo mangio senza pensarci quello che capita come se nutrirmi fosse un problema da risolvere il piu’ velocemente possibile.
C’è di buono che non mi porto dietro nessun fantasma, sono diventato cinicamente assente, cosa che imparai da piccolo durante una lunga militanza nell’ultimo banco della classe.
E mi stanno sul cazzo un sacco di cose e persone.
Mi stanno sul cazzo le religioni, gli ignoranti, i razzisti, gli idealisti, i romantici, gli ipocriti, gli ignavi e gli avidi e potrei continuare.
Potresti vedermi inveire contro un ospite televisivo, contro un libro o un articolo, per non parlare della rabbia che mi prende quando vedo qualcosa che assomiglia a un papa o a un prete.
E se per caso vuoi conoscermi perchè ti piacciono le cose che scrivo devi sapere che quando scrivo, io scompaio e chi prende il mio posto è un piccolo essere alto circa 25 centimetri con la pancia gonfia e due zampe da caprone.
Ha un sorriso orribile e uno sguardo marpione, saltella sulle mie spalle come un pazzo parlandomi a un centimetro dalle mie orecchie e ogni tre parole dice:
“Scrivi, dai scrivi, come sei lento, non ti distrarre e scrivi.”
E detta.
Ammetto che a volte riesce anche a scrivere qualcosa di carino, una volta gli chiesi come mai un essere orribile come lui potesse avere pensieri carini e lui mi disse:
“ Compensazione, è solo una questione di compensazione, la fisica dell’anima tende a tenersi in equilibro neutralizzando gli opposti.”
No, lui non lo vedrai mai. Ma se ammiri me sappi che devi ammirare lui.
E se vuoi conoscermi perchè sono in eterno movimento io ci penserei bene.
E’ paradossale voler avvicinare chi inevitabilmente tende ad allontanarsi.
Quanto sei abituata agli addii per potermi sopportare?
Ora vado.
Sono stufo.
Mi stufo presto, di tutto tranne che delle raffiche di vento che mi permettono di planare senza mai atterrare.
Guido Prussia

Forse non ho capito il sud

17883617_10212429924599907_4274388764547369204_nForse non ho capito il sud.
Ho attraversato il Luoisiana e il Mississippi come se avessi un fuoco dentro.
Correndo verso Sud perche a Sud cominciava la via verso l’Ovest.
Il Blues mi è scivolato sopra , l’ho confuso con una attrazione turistica , ma devo essermi sbagliato.
C’era qualcosa in quei posti che si è infilato sotto pelle , come spine invisibili e dolorose.
C’era l’odore di campi che così verdi non ne ho visti mai , c’erano le facce incazzate e allo stesso tempo disilluse di chi ha guadagnato un dollaro al giorno per tutta la vita.
C’erano i giovani delinquenti in piedi contro i muri delle case sfatte delle periferie , giovani di colore che ti guardano come il cacciatore guarda il fagiano.
C’era il sapore di un tempo di gloria e crudeltà , la memoria che il nulla separa il lusso dalla disperazione.
Decadenza ,
e la decadenza di un luogo è la sua malinconia ,
è il volto triste ,
sono occhi di fantasmi che fluttuano nel vuoto ,
appaiono nell’aria ,
sui muri ,
sulla terra ,
sulla pelle della gente.
Non ho capito nulla del Sud , correndo via come un matto per arrivare il prima possibile alle praterie. Pauroso della tristezza perchè ero in fuga , e si fugge sempre in direzione della luce.
Guido Prussia