Ora ti racconto una storia

Ora ti racconto una storia.
Inizia con un pensiero in testa ossessivo:
non devo pensare, non devo pensare, non devo pensare
ma come si fa a non pensare ?
decise di vestirsi ed uscire
camminò per le strade della città fino ad arrivare al mare
a volte si sentiva sbandare e sapeva che cadere avrebbe comportato una figura di merda ma non aveva voglia di prendere il lexotan, poteva farcela senza, bastava fare un passo alla volta
di fronte al mare passava un binario, c’era un ponte per attraversarlo, ma lei decise di non usarlo
guardo’ a destra e poi a sinistra, tutto libero, attraversò il binario e si ritrovò sul lungomare
era bellissima, lo era davvero non per licenza poetica, ma sperava che nessuno se ne accorgesse, per questo si infilo’ sulla testa il cappuccio della felpa e comincio a camminare verso nord, verso la parte di spiaggia che sembrava non finire mai
era consapevolmente dedita all’esercizio di nascondere la fine di ogni cosa
cammino’ fino a che divenne pomeriggio, poi si sedette a pochi metri dal mare e decise di guardare l’orizzonte come se si trovasse a teatro, trasformando qualsiasi cosa accadesse in una volontaria rappresentazione del destino
cercava messaggi
qualsiasi cosa potesse dare un senso a quella giornata
a quella camminata cosi’ faticosa
a quella mancanza di equilibrio
a quella paura di non farcela
a quella voglia di essere amata senza essere toccata
a quel desiderio di appoggiare la sua testa sulla spalla di un gigante che gli giurasse con lo sguardo di difenderla per sempre
e vide onde
una dopo l’altra
e per quanto si sforzasse di coglierne le differenze gli sembravano tutte uguali
come i suoi anni
come i suoi giorni
fino a quando arrivò lei
lei bambina
ferma di fronte al suo sguardo
immobile dandogli le spalle
scomparve il pensiero
dissolto dalla forza esplosiva del ricordo,
di quel giorno in cui a otto anni scappò di casa per il semplice motivo di scappare
come se scappare fosse suonare uno strumento
dipingere un quadro
saltare un ostacolo
e scoprì in un istante come si fa a non pensare
ma quel segreto se lo volle tenere ed aspettò che il sole scomparisse
che “lei” bambina si allontanasse
che il buio gigante la nascondesse
prendendola dolcemente in mano e infilandola nel suo taschino gigante
per poi correre nella direzione dove finisce il mare
e dove nessuno la potrà mai piu’ trovare.
A Virginia, Sylvia, Antonia, Anne e a tutte quelle donne che nessun dio è riuscito a salvare.

Non rompermi il cazzo

Non rompermi il cazzo.
Non vedi che sto sognando.
Sono sulla strada, direzione Monowi, Nebraska.
Popolazione: 1
Con me diventeranno 2.
Dicono che l’unica abitante si chiami Anne Sexton e scriva poesie.
Ho portato la chitarra.
Potrei musicarle.
Il resto non mi interessa.
Fondamentalmente spero solo di vederla con la bocca sporca di latte e gli occhi fissi a scrutare un ferro di cavallo per decidere se è il momento di cambiarlo o no.
Qualunque cosa decida l’amerò.

come un ape intrappolata

mi sentivo come un ape intrappolata all’interno di un bicchiere di birra che osserva al di la del vetro lo sguardo cinico e rabbioso di una donna di mezza età che non si capacità di come sia possibile che l’uomo della sua vita si scopi da anni un altra donna e il povero cristo di fronte a lei non trova parole consolatorie consapevole del fatto che lui l’avrebbe mandata a fare in culo molto prima di quanto non abbia fatto l’altro perchè fondamentalmente le coppie hanno questo piacere di ingannarsi riuscendo ad unire sadismo e masochismo come se il fine ultimo di un amore sbagliato sia quello di avere la soddisfazione di lamentarsi mentre noi solitari veleggiamo sulle nostre barchette a vela verso isole remote con l’unica consolazione di una vela, del vento e della consapevolezza di essere inattaccabili dalle menzogne e ogni tanto ci scappa anche qualche scopata come fosse una breve tempesta che poi se ne va e finalmente torna la bonaccia il mare calmo e una navigazione tranquilla verso l’ignoto

Kimimela

Kimimela sapeva poche cose.
E quelle poche gliele aveva insegnate suo nonno Tika.
Sapeva che l’amore non deve fare male.
Sapeva che lei era un fiore e la felicità una farfalla.
Sapeva che doveva diffidare da chi ostenta ricchezza perchè avrebbe cercato di comperarla.
Ma sopratutto sapeva che l’uomo di cui era giusto innamorarsi doveva infiammargli il cuore con la sua bellezza e aprirgli il cervello con la sua saggezza.
E non avrebbe accettato compromessi.
Kimimela, ragazza Lakota, viveva di cose semplici, suonava un flauto e disegnava sulla terra.
Visse fino a 92 anni, si innamorò una volta e durò per tutta la vita, e prima di andarsene schiuse le mani e disse: “Vola via farfalla, cerca un altro fiore, per me è venuto il tempo di capire dove vanno le aquile quando scompaiono dietro la montagna.”
Fuori dalla camera d’ospedale la figlia della nipote di Kimmela abbracciata al suo fidanzato panzone si faceva un selfie mostrando le dita in segno di vittoria, tutti e due pieni di brufoli e birra convinti che l’unica cosa degna di essere condivisa sia una sfacciata idiozia.

non

Non farti addomesticare mai.
Non cedere alla tentazione della ciotola di cibo quotidiana.
Non lasciarti tentare dalle false carezze.
Non credere alla comodità delle regole prestabilite.
Non farti convincere che il guinzaglio serva ad evitare incidenti.
Non farti addomesticare mai.
Rimani selvatica come sei.
Siamo due animali cresciuti nella tribù degli umani.
Ma noi sappiamo che quando siamo da soli tu miagoli ed io rispondo ruggendo alla luna.
Non ci siamo fatti addomesticare mai e ci siamo riconosciuti e trovati seguendo le nostre orme nel deserto.

Conosciamo la strada

Conosciamo la strada.
Salita, discesa, ancora salita e poi discesa fino a casa.
Conosciamo le piante, il luogo dei fiori e dove si trova il cavallo.
Come se fosse una vita da percorrere in fretta un milione di volte.
Ogni volta è diverso grazie ai dettagli che ogni giorno cambiano.
Sono le piccole pietre, i rami che crescono o i fiori recisi a rendere nuovo le stesso percorso.
Come il fiume che conosce una sola via ma cambia colore a seconda delle foglie che trasporta al mare.
Si perde la vita chi avendolo visto una volta sola pensa di averlo conosciuto senza aver capito che si può trasformare.
È percorrere mille volte la stessa strada che ti insegna che per quanto impari avrai sempre da imparare.

Paula

Paula cantava una canzone irlandese ed io l’ascoltavo con la testa appoggiata su un cuscino che profumava di ginepro e salvia.
Il tedesco raccontò di quando prese a martellate il muro insistendo sulla convinzione che non sono le ideologie ad essere brutali ma sono gli uomini che se ne servono per giustificare il loro amore per l’odio.
Love for hate.
Amore per l’odio.
Alzai la testa dal cuscino per scrollarmi dai pensieri quel paradosso ipnotico e quando Paula smise di suonare le chiesi di accompagnarmi alla piccola chiesa bianca ortodossa di San Nicola a Molos.
Andammo col motorino, lei con la chitarra sulla spalla e io con una mano sul manubrio e l’altra sul suo ginocchio.
Arrivammo che la chiesa era illuminata da un quarto di luna.
Ci sedemmo sui gradini.
Le dissi che invertendo i fattori il significato non cambiava.
Lei non capiva.
Le dissi che avevo l’impressione che l’amore per l’odio e l’odio per l’amore si nutrissero a vicenda.
Lei prese la chitarra e ne tirò fuori una canzone improvvisata.
Love for Hate
hides your desire to be loved
hatred for love
show your desire to be loved
Camminammo fino al piccolo ristorante chiuso, ci sedemmo a un tavolo mentre il vento sollevava le tovaglie di cartone, da uno zaino tirai fuori due birre e una piccola scatoletta rossa che conteneva dell’erba.
Fumammo e bevemmo sotto un portico d’uva.
Io le raccontai di quando vidi per la prima volta degli indiani in una Riserva Navajo, lei mi raccontò di quando vide per la prima volta la neve durante un viaggio in Russia.
E fu un susseguirsi di prime volte raccontate come fosse l’ultima occasione per farlo.
Restammo svegli fino all’alba che ordinò al vento di calmarsi.
Il sole sembrava un occhio spuntato per spiare il nostro sonno su una spiaggia deserta.
Un ragazzo, una ragazza, una chitarra, uno zaino, e una nuova prima volta da potersi raccontare.

Il gol più bello

Il gol più bello della mia vita lo feci senza volerlo.
Ma questo non tolse un grammo al peso della mia gioia.
L’amore più grande lo incontrai grazie a una serie fortunata di combinazioni.
E i viaggi migliori non sono mai stati organizzati.
Per questo ho deciso da tempo di affidarmi al caso, lasciando che gli Dei decidano sul mio destino.
Ho fiducia nell’eternità come una piuma ha fiducia nel vento.
Ora è tempo di andare a dormire, e prima di addormentarmi so già che penserò alla foto sul comodino chiedendo al Grande Spirito di prendersi cura di te che ti sei presa cura di me quando nessuno era in grado di farlo.

Cara

Ti scrivo queste poche righe consapevole del valore che dai al tempo.
Voglio che tu sappia che me ne sono andato guardando un orizzonte e non un muro.
Voglio che tu sappia che la notte ha smesso di farmi paura da quando ad occhi chiusi vedo te.
Voglio che tu sappia che non ho nulla da lasciarti se non una miriade di oggetti raccolti durante mille viaggi.
Ogni oggetto racconta una storia ed ogni storia è una moneta d’oro che potrai spendere al mercato dei sogni avverati.
Se potessi esaudire un ultimo desiderio chiederei di saper volare per farti un ultima sorpresa mostrandomi capace di virate e incredibili e atterraggi perfetti.
Ora vado.
Ricordati della pietra che ti regalai.
Ha un potere speciale.
Ricorda a chi la mette in tasca di avere una tasca.
Un giorno capirai cosa vuol dire.
Addio amore mio