Paula

Paula cantava una canzone irlandese ed io l’ascoltavo con la testa appoggiata su un cuscino che profumava di ginepro e salvia.
Il tedesco raccontò di quando prese a martellate il muro insistendo sulla convinzione che non sono le ideologie ad essere brutali ma sono gli uomini che se ne servono per giustificare il loro amore per l’odio.
Love for hate.
Amore per l’odio.
Alzai la testa dal cuscino per scrollarmi dai pensieri quel paradosso ipnotico e quando Paula smise di suonare le chiesi di accompagnarmi alla piccola chiesa bianca ortodossa di San Nicola a Molos.
Andammo col motorino, lei con la chitarra sulla spalla e io con una mano sul manubrio e l’altra sul suo ginocchio.
Arrivammo che la chiesa era illuminata da un quarto di luna.
Ci sedemmo sui gradini.
Le dissi che invertendo i fattori il significato non cambiava.
Lei non capiva.
Le dissi che avevo l’impressione che l’amore per l’odio e l’odio per l’amore si nutrissero a vicenda.
Lei prese la chitarra e ne tirò fuori una canzone improvvisata.
Love for Hate
hides your desire to be loved
hatred for love
show your desire to be loved
Camminammo fino al piccolo ristorante chiuso, ci sedemmo a un tavolo mentre il vento sollevava le tovaglie di cartone, da uno zaino tirai fuori due birre e una piccola scatoletta rossa che conteneva dell’erba.
Fumammo e bevemmo sotto un portico d’uva.
Io le raccontai di quando vidi per la prima volta degli indiani in una Riserva Navajo, lei mi raccontò di quando vide per la prima volta la neve durante un viaggio in Russia.
E fu un susseguirsi di prime volte raccontate come fosse l’ultima occasione per farlo.
Restammo svegli fino all’alba che ordinò al vento di calmarsi.
Il sole sembrava un occhio spuntato per spiare il nostro sonno su una spiaggia deserta.
Un ragazzo, una ragazza, una chitarra, uno zaino, e una nuova prima volta da potersi raccontare.

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