Lei sapeva tutto di me

lei sapeva tutto di me, e tutto è poco a vent’anni, sapeva che me ne volevo andare e sapeva che non avevo idea di dove sarei potuto scappare, conosceva i luoghi dove andavo a dormire e la mattina mi portava un caffè e la focaccia, e sapeva come avevo fatto a comperare gli strumenti per la band e non l’avrebbe mai detto a nessun commissario, nemmeno sotto tortura, lei sapeva di essere stata la prima e mi aveva detto che io ero stato il primo, lei aveva imparato a non dire nulla quando vedeva i lividi sul mio corpo, lei aveva scoperto cosa tenevo sotto il cuscino e ne aveva preso uno anche lei da tenere sotto il suo cuscino quando dormivo da lei, lei aveva diciotto anni e mi insegnò come si cambia diventando donna e dimenticando tutto ciò che sapeva di me per andare a scoprire mondi dove nessuno sa niente degli altri e ci si ama per sentito direieri sera c’era una luna meravigliosa sulla strada che porta dalla Madonna della Quercia verso il paese, mi sono fermato a fotografarla per non correre il rischio di pensare che fosse stata la mia immaginazione a farla cosi’ bella

popolino di merda

popolino di merda
che si indigna nel vedere una ragazza giovane e bella stare con un uomo ricco e anziano per il semplice motivo che essendo 
popolino e di merda 
trova insopportabile pensare che a lui simili fortune non capiteranno mai
e invecchierà
perchè si invecchia tutti
uomo del popolo
con una moglie inciabattata 
e culona
che gli spadella quattro fagioli e una cotoletta giustificando lo squallore 
con la convinzione che sia eticamente corretto 
che i vecchi non si lascino tentare 
dal frequentare i giovani
dimentico dei suoi idoli marxisti 
nelle loro dacie incantate
che posavano le loro barbe bianche e fetide
su giovani figlie del comunismo
che a differenza delle giovani capitaliste
non avevano la possibilità di scegliere
perchè o ci stavano
o non mangiavano
popolino di merda
che ha invidia di ciò che i soldi
possono conquistare
e lecca il culo al sovrano
che non ha bisogno di conquistare
perchè dal potere prende
il penoso diritto di abusarne

popolino
[po-po-lì-no]
s.m.
1 Dim. di “pòpolo”1
2 spreg. Popolo minuto; lo strato più basso delle popolazione, caratterizzato da ignoranza e superstizione: ignoranza, ciance, pettegolezzi del p.
SIN. volgo, plebe

Lei non sapeva fare l’amore.

Lei non sapeva far l’amore.
Lo confido’ cosi’ come si dice che non si sa come guidare un automobile.
Cominciamo toccandoci le mani. Le dissi.
Cos’è che manca a questa vita? Mi chiese.
Manca l’improvvisazione, e sai cosa intendo io per improvvisazione?
Intendo la capacita’ di creare emozioni senza pensarci.
Spiegami perche’ nelle previsioni del tempo quando si prevede pioggia si dice che fara’ brutto tempo.
Io la amo la pioggia, quindi che cazzo di senso ha parlare di “brutto” tempo.
Stanotte era bellissimo camminare sotto la pioggia, era meraviglioso mettersi le cuffie e ascoltare della musica mentre l’acqua mi bagnava i capelli.
E’ che si danno per scontate troppe cose.
Riascoltando vecchie canzoni d’amore degli anni settanta con dei ragazzini degli anni duemila ho scoperto che le parole d’amore non hanno piu’ alcun significato.
Gira il mondo, gira lo spazio senza fine….un mondo soltanto adesso io ti guardo, nel tuo silenzio io mi perdo e sono niente accanto a te…
E i giovani coglioni ridono, mi guardano come se fossi un folle perche’ cerco di spiegare che una volta su queste canzoni si ballavano i lenti, ci si abbracciava, poi ci si staccava un attimo per guardarsi negli occhi….e poi di nuovo abbracciati.
No, io non mi ci metto nel ruolo di vecchio rincoglionito solo perche’ ho vissuto un epoca dove ci si emozionava sfiorandoci una mano.
Io nel ruolo di vecchi rincoglioniti ci metto questi giovani che spesso non sanno nemmeno riconoscere il sentimento amoroso.
L’identificazione dell’amore con la sofferenza e’ cosa dei tempi contemporanei ed e’ una stronzata stratosferica.
L’amore e’ felicita’.
L’amore e’ la capacita’ di rendere speciale qualcosa di banale, l’amore e’ una specie di cuscino su cui appoggiare i nostri pensieri, e’ quel rifugio dove ci si nasconde in due, è quel posto dove non si e’ guardati e dove e’ possibile essere se stessi senza la paura di essere giudicati.
Non esiste quasi piu’.
L’amore e’ un oggetto d’antiquariato.
Per questo me ne sto solo sulla collina a ricordare quel tempo passato quando l’autobus numero 33 ci portava a casa e noi ce ne stavamo abbracciati in piedi con la fronte appoggiata al finestrino guardando il mondo scorrerci di fianco.
Sai che ricordo?
Ricordo che non si chiedeva cosa fai ma ci si domandava cosa sogni.
Ricordo che non si chiedeva da dove vieni ma dove vuoi andare.
E ricordo che non c’erano cellulari ma solo la cabina telefonica, e ci si dava appuntamento la mattina per la sera e non c’era piu’ la possibilita’ di cambiare idea.
Nessun messaggino del cazzo a dire; stasera non posso facciamo domani.
L’amore era un impegno a cui tenere fede, e quando non si era piu’ in grado di esserne fedeli ci si lasciava guardandosi negli occhi e magari piangendo.
E ricordo che spesso piangeva piu’ chi lasciava di chi era lasciato.
Non ricordo nessuna ragazza che cedeva al ricatto sentimentale del “senza te non vivo”, ci si mollava e basta.
Non si declinava il verbo amare all’imperativo.
Si accettava la sconfitta senza tirare fuori il maschio patetico che prega un ritorno o il maschio dominante che lo esige.
La ragazza era un icona, un mito, un isola da raggiungere cercando di attraversare l’oceano piu’ veloce e piu’ abilmente di altri.
Una sera in campagna dopo tre anni di tentativi andati a vuoto lei disse “si” e ci incamminammo sulla strada che andava verso il cimitero mano nella mano.
Lei aveva dei boccoli neri e degli occhi blu notte, abitava a 40 chilometri da casa mia.
Percorsi quella strada in motorino tutti i giorni per un estate.
Ma ne era valsa la pena per quella camminata notturna al cimitero, quel sedersi di fronte al cancello del paese dei morti, quei baci che parlavano di vita, quel contrasto tra la fragilita’ di due esistenze e la forza di un sentimento.
Avevo sedici anni, magari manco ci pensavo a tutte queste cose, ma avvertivo che c’era qualcosa di magico in quel tempo passato in due, in quello scontro di umani che decidevano per una notte di allearsi contro la noia del mondo.
Ora sto solo a ricordare.
Stanco di uscire di sera a vedere donne lamentarsi del nulla e uomini in cerca di qualche femmina su cui mettere alla prova le loro tecniche di seduzione.
Sapete non credo che gli umani si possano dividere in giovani, uomini e anziani.
Non ci credo perche’ il tempo e’ cosi’ breve che i confini fra la varie stagioni della vita sono indefinibili, credo che la vita di un uomo si possa dividere in giorni vissuti e in giorni passati.
Tra il vivere e il passare del tempo c’è una differenza sostanziale che e’ inutile spiegare, chi sa di cosa parlo non ha bisogno di spiegazioni, chi non lo sa non capirebbe mai.

C’era un vecchio cowboy

C’era un vecchio cowboy che mi aspettava ogni giorno seduto sui gradini del suo ranch.Mi aspettava perchè ero io ad andare in città a comperare il tabacco.Oltre al tabacco gli portavo una birra e un pacchetto di gomme da masticare.Si chiamava Joe e raccontava sempre la stessa storia.Sua moglie si chiamava Martha, se ne era andata per colpa di un infarto del miocardio che l’aveva colpita mentre guidava verso Jackson Hole.La sua macchina era uscita di strada fermandosi a pochi metri dallo sguardo atterrito di un bisonte.Joe mi raccontò che la conobbe durante un rodeo, Martha era la più veloce a correre attorno ai barili e lui la guardava cavalcare con lo sguardo idiota del ragazzo che scopre l’amore.Per conoscerla si era fatto assumere nel ranch dove lei si prendeva cura di 250 mustang.Riuscì ad attirare la sua attenzione suonando l’armonica.Faceva sempre le solite dieci note, e quando lei gli chiese di chi fosse quella musica, lui le disse: è mia, l’ho scritta per te.Dieci note la fecero innamorare. Dieci semplici note e del fiato per suonarle.Finito di raccontare guardava verso l’orizzonte allungava il dito verso il sole e diceva:”Quando Martha tornava a casa la vedevo spuntare da quella collina, arrivava al passo lasciandomi il tempo di godermi il suo arrivo.Era un puntino in mezzo alla prateria e quel puntino era la mia felicità.”Poi prendeva il tabacco, si rollava una sigaretta, cominciava a fumare e prima che me ne andassi ripeteva sempre la stessa frase:”Mai più suonate quelle dieci note, mai più. Le orecchie di dio non meritano di ascoltarle. Cosi’ impara a portarmela via…”

Io mi ricordo


Io mi ricordo che voleva fare l’attrice, mi ricordo che aveva dei piani folli per la sua vita, ricordo che sorrideva pensando che stesse costruendo il suo futuro usando tutti i colori che aveva a disposizione.
Li mischiava senza nessun rispetto per l’estetica cromatica, esattamente come farebbe chi non ha importanza del giudizio ma solo del divertimento.
Ora sapere che se ne sta andando lasciandosi dietro quella scia di colori simili alla coda di una cometa, sapere che di tutti i sogni e’ rimasta una rana di peluche in bilico sulle sue mani di bambina, sapere che mentre io mi chiedo che fare a Natale lei non avra’ altri Natali, sapere tutto questo mi porta a ritrovarmi con le spalle al muro.
Quel muro me lo sono costruito giorno dopo giorno chiedendomi troppi “perche'”.
Da bambini viene naturale farlo: “Perche’ le nuvole volano?”, “Perche’ il mare non sta mai fermo?”, “Perche’ quando sbadiglio mi spuntano le lacrime?”
Perche? Perche? Perche?
Ma da grandi bisognerebba smetterla di porsi troppe domande, per il semplice fatto che le domande diventano sempre piu’ pericolose e le risposte possono svelare ingiustizie senza logica.
E invece ho continuato.
Non avevo interlocutori affidabili e ponevo le domande a me stesso cercando dentro di me le risposte.
Chiaro che non fossi mai soddisfatto delle spiegazioni.
Se ero io a avere dubbi come potevo io spiegarli?
Del resto anche scrivere questo diario a cosa credete che serva?
Serve a pormi seduto di fronte all’esistenza cercando di riprodurla nera su bianco per poi vederla da lontano e trovare qualche spiegazione.
Io non so se serve, forse no, rileggendo alcune cose mi accorgo che nessuna nebbia si e’ dissipata, ho sempre i fari accesi e procedo tenendo gli occhi fissi sulle linee gialle in mezzo alla strada.
Procedendo alla velocita’ minima, quella che mi consentirebbe di frenare di fronte ad un ostacolo improvviso.
Che cazzo di illusione, frenare in tempo……
Ma quando mai.
Non esiste una velocita’ di sicurezza nella vita, per quanto cauto procedi prima o poi ti accorgi che non sarai tu ad andare a sbattere contro il muro, ma sara’ il muro a colpirti frontalmente sbattendosene le palle del tuo andare a rilento.
Oggi scrivere mi costa fatica, non faccio altro che muovermi sulla sedia nervoso, sembra che il pensiero si ribelli a certi ragionamenti.
Lascia stare, mi consiglia, lascia stare….pensa ad altro.
E penso a Lei che se ne e’ andata.
Le ho scritto un messaggio: “Il vuoto riempe il tutto.”
Mi e’ venuto cosi’…come ti vengono quelle risposte che dette senza pensarci poi si rivelano vere.
Mi manca.
E prima in auto osservavo il posto di lato e cercavo di ricostruire la sua immagine di fianco a me.
Cercavo e la cercavo.
Ma niente, il posto era vuoto, con cosa avrei potuto consolarmi?
Con la certezza che Lei era seduta li’, o con la speranza che ci si sarebbe seduta ancora.
Ma l’attimo, visto che l’attimo e’ tutto, l’attimo era vuoto.
Sono strano?
C’è qualcosa che non va?
Sono un umano che ha qualcosa di particolare?
Chi lo sa?
Credo che in questo caso la stranezza c’entri poco.
Credo che per quanto ci si sforzi di resistere non si puo’ contrapporre nessuna volonta’ a quella cosa assurda chiamata amore.
L’amore non e’ sostanza, non si tocca, non si vede, l’amore e’ quello che c’è tra la calamita e il ferro.
Quel vuoto che contiene qualcosa che spinge due cose ad attrarsi.
E quando accade, accade che il mondo cambia.
C’è il sole quando piove.
O piove se c’è il sole.
Stare a parlarne troppo ora non servirebbe a nulla.
Si rischia di dire le solite cose.
A meno che non si decida di viverlo senza parole guardandosi attorno e sorprendosi in silenzio di tutti quei colori apparsi improvvisamente e di cui si ignorava l’esistenza.

quando ti penso


quando ti penso mi viene voglia di riprendere a fumare perchè ci sono pensieri che sono come bere e quando li pensi ti viene voglia di farti una sigaretta come fosse il gradino mancante che porta in paradiso e non me ne frega un cazzo se il paradiso non esiste ne ho intravisto l’atrio tenendoti per mano una notte che le tende si avvinghiavano seguendo le indicazioni del meltemi non c’entra l’amore è solo una questione di passione l’amore non ha la forza di farmi innamorare dei tuoi piedi la passione me li faceva desiderare come fossero le ultime due ciliegie sull’albero non ho mai preteso di insegnare qualcosa e ho imparato solo da chi non voleva insegnarmi nulla da te ho imparato a leggere le ombre sul muro guardando la tua finestra una notte che non riuscendo a smettere di pensarti decisi di parcheggiare sotto casa tua per addormentarmi il più vicino possibile alla tua lontananza

Io credo nell’innamoramento


Io credo nell’innamoramento.
L’amore tra uomo e donna e’ un invenzione.
Quando l’innamoramento si trasforma in amore, l’amore finisce e rimane un affetto reciproco, un amicizia fra persone di sesso opposto.
Certo chiamarlo amore e’ un ipocrisia che ci salva dal prendere coscienza che non ti desidero piu’ o che tu non desideri piu’ me.
Con la scusa dell’amore possiamo portare avanti la recita fino alla fine dei nostri giorni.
Qualche anno fa avrei fatto l’amore con te in ogni istante disponibile, oggi lo dobbiamo fare.
E’ una convenzione, mostrare un desiderio annacquato e’ sempre meglio che mostrarti che preferirei dormire o guardare la televisione.
Ma esistono innamoramenti che durano tutta la vita?
E’ come chiedersi se esistono frutti che non cadono mai dall’albero.
Forse esistono, ma certamente la loro esistenza e’ rara e non fa parte delle esperienze comuni.
Gli umani imparano presto le regole del vivere.
Sanno cosa e’ funzionale, hanno costruito rapporti di coppia per combattere la solitudine dimenticandosi che un rapporto di coppia non dovrebbe essere un metodo per farsi compagnia ma un moto involontario dell’animo che non ha nessun scopo se non quello di seguire un istinto di appassionata condivisione.
La mia cronica incapacita’ di adattarmi al terreno fa di me un animale incapace di mimetizzarsi per questo preferisco nascondermi nella mia tana sotterranea.
Se mi chiedete se so cosa vuol dire amare una donna rimango perplesso.
Forse non conosco la risposta, e se anche la conosco non ho certezze sul fatto che sia la risposta esatta.
Ma questi dubbi lasciano una scia di certezze.
Quando la vidi appoggiata a un albero mi innamorai, quando la vidi partire ebbi la certezza che non avrei mai smesso di essere innamorato di lei.
Le partenze sono eterne , i ritorni sono precari.
Saro’ per sempre innamorato di lei come saro’ per sempre riconoscente a chi mi ha insegnato come fare a non diventare mai troppo maturo.
Cosi’ maturo da cadere dall’albero e marcire in poco tempo.
Ora so che cercare non ha piu’ senso.
Che mi cerchino.
Che vengano a stanarmi.
Che grattanino con le loro zampette alle porte della mia tana.
Io sono la sotto, senza aspettare nessuno.
Non ho le capacita’, ne le caratteristiche di chi sa convivere con l’amore.
Lasciatemi al mio innamoramento perenne per chi non c’è.
Vi lascio al vostro amore ipocrita’ per chi c’è ma e’ come se non ci fosse.

La spalla fa male


La spalla fa male.
Ieri quella sinistra oggi quella destra.
E lo specchio rivela l’invecchiamento degli occhi smaltandoli di nostalgia.
Anastasia non fa altro che scrivere di dio e d’amore.
Mi intristisce una figa che si piega a novanta di fronte alle promesse di felicità di qualche guru che ha voglia di scopare.
Teste di cazzo i pessimisti, teste di cazzo gli ottimisti.
Il realismo richiede coglioni di acciaio in un mondo di testicoli di plastica.
Io mi aggrappo agli odori che mi riportano indietro ai tempi in cui essere selvatici era un fatto naturale.
Annuso i rami degli alberi e le foglie, annuso il cane, annuso il gatto, annuso l’erba e annuso le mie dita dopo averti toccato.
Romy dice che sto sul cazzo perchè ho troppo tempo vissuto in mezzo a uomini che hanno solo tempo perduto.
Devo prendere la medicina.
Non leggo il foglio illustrativo del Misofenac,c’è sempre bisogno di fidarsi di qualcuno.
Io mi fido dell’ortopedico.

Prima voi…


Quentin era felice.
Aveva avuto un idea fantastica.
Giunto sulla soglia dei settanta aveva pensato che non gli dispiaceva morire, ma trovava insopportabile l’idea di lasciare questo mondo prima di quelli che gli avevano reso la vita un inferno.
Non erano molte persone.
Forse quattro, stando larghi cinque ma non più di sei.
Aveva preso appuntamento per il giorno dopo per una tac total body a seguito di un linfonodo addominale ingrossato.
C’era qualche possibilità che il dottore non avesse buone notizie.
L’idea era questa.
Se ci fosse stata una malattia incurabile lui non sarebbe stato il bersaglio principale.
Avrebbe preparato una lista di alcune persone che non avendo più nulla da perdere avrebbe mandato all’inferno prima di lui.
Arrivato a casa Quentin va verso la scrivania, prende un foglio e una penna, poi va in cucina, apre il frigo, prende 4 polpette di maiale avanzate e la bottiglia di Jack Daniel.
Seduto sullo sgabello e con il foglio appoggiato al tavolo segna sul tavolo i primi quattro nomi.
Non ci deve nemmeno pensare.
Il primo lo aveva fregato in un grosso affare e l’aveva lasciato col culo per terra.
Lui se ne andrà prima di me.
Il secondo lo aveva colpito alle spalle con una spranga semplicemente perchè lui gli stava scopando la moglie. 
Da allora provava dolori alla schiena.
Lui se ne andrà prima di me.
Il terzo era un ragazzo che aveva trascinato sua figlia ad un party dandole un qualche cazzo di acido che l’aveva portata a un passo dal coma.
Lui se ne andrà prima di me.
Il quarto l’aveva portato in tribunale accusandolo di truffa quando il truffato era lui.
Lui se ne andrà prima di me.
C’erano altre due persone su cui era indeciso.
Decise di non decidere. Per ora poteva bastare.
Pensava sorridendo a cosa avrebbero pensato quei quattro figli di puttana se avessero saputo che domani avrebbero subito inconsapevolmente una tac total body dalla quale dipendeva la loro vita.
Quentin arrivò al punto della situazione.
Certe volte il problema non è andarsene, ma andarsene prima che la festa sia finita.
Si spostò sul divano e face partire un disco di Neil Young e si addormentò.
Sognò di essere a Kiev con Luba sopra di lui che lo guardava negli occhi ringraziandolo per averla fatta godere.