Dimmi cosa sai fare

“Dimmi cosa sai fare.”
Mi chiese la bambina una sera che si guardava la televisione tutti insieme su un grande divano bianco.
Io rimasi un attimo in silenzio, poi la guardai e dissi.
“Cosa ti piacerebbe che io sapessi fare?”
Lei si alzo in piedi sul cuscino e nell’orecchio mi disse:
“Suonare qualche cosa per la mamma.”
“Lo so fare.” Risposi.
Ai tempi portavo sempre con me una piccola custodia di pelle all’interno della quale tenevo una preziosa armonica a bocca fatta di vetro.
La tirai fuori e cominciai a suonare qualcosa.
La mamma , che non aveva capito che io e la bimba stavamo organizzando qualcosa, si girò sorpresa e si mise a ridere.
E rise anche la bambina come di fronte ad un gioco di prestigio.
Sapete qual’è la cosa bella di tutta questa storia?
La cosa bella è che io non so suonare l’armonica e riflettendo sulla domanda della bambina: “Dimmi cosa sai fare?” mi viene da pensare che forse le raccontai una bugia spacciandomi per un suonatore.
O forse no.
Forse non dissi nessuna bugia, semplicemente non c’è nulla che non si è capaci di fare se non si ha paura di apparire ridicoli, principianti, approssimativi o incapaci.
Alla fine non conta quanto sei bravo, quello che conta è che funzioni, che il suono non faccia rimpiangere il silenzio e che la bambina si sia messa a ballare sul divano.

 

Basterebbe

Basterebbe leggere le istruzioni per capire come funziono.
Le puoi trovare dentro la scatola in cui mi hai trovato.
Non fare la bambina che ha troppa fretta di giocare e poi si mette a piangere perchè il gioco smette di funzionare.
E nel caso le istruzioni siano andate perdute te le scrivo qui, avessi mai voglia di giocare di nuovo.
Sono un uomo.
E come uomo non mi accendo e non mi spengo con un pulsante, e nonostante vada a dormire c’è sempre qualcosa dentro di me che non smette di funzionare.
Non cercare leve che mi diano una direzione, sono un giocattolo tecnologicamente avanzato che decide quale strada prendere, quando andare e quando tornare.
Pensa decido persino quanto restare.
Puoi farmi ridere o piangere ma senza dovermi schiacciare la pancia o riempiendomi gli occhi di acqua del rubinetto, lo puoi fare semplicemente parlandomi di te, di quello che hai visto e di quello che avresti voluto vedere.
Puoi sederti accanto a me e osservarmi mentre ti osservo, vedere la mia mano stringere la tua e persino baciarti.
Tutto questo accade senza che tu faccia nulla, funziono senza fili, uso un wi-fi primitivo chiamato emozione, sono un gioco che si scalda al fuoco e si raffredda al gelo e se mi lasci mi allontano da solo.
Se vuoi sentirmi più’ forte non c’è un volume da alzare, se vuoi che resti zitto non c’è il tasto “mute” da schiacciare.
Puoi semplicemente dirmi che non mi senti o che non mi vuoi sentire, ho un chip nel cuore che mi dice quando il silenzio fa troppo rumore o quando le parole non hanno più niente da dire.
Ma la cosa piu’ importante che devi sapere è che sono un gioco un po’ speciale.
Uno di quelli che non si possono comperare.
Se non sai spiegarti come sia arrivato fra le tue braccia pensa che sia stato un vecchio che cerca storie nel buio con un accendino, un uomo che tutti chiamano il “Signor Destino”.
Ma non c’è nessun scontrino che provi la mia cessione, sono un gioco che sceglie da chi farsi giocare solo per passione.
Tu giocami, buttami per aria e riprendimi al volo, spogliami e rivestimi e coprimi di baci, io ti dirò un milione di volte quanto mi piaci.
Sono un gioco ma ho un meccanismo chiamato dignità, l’unica vera istruzione è che mi accendo quando voglio.
A questo gioco si vince se riesci ad essere felice perchè decido di restare e si perde quando si è tristi per la paura che me ne possa andare.
Sai se avessi letto sulla scatola c’era scritto in grande che puoi buttarmi in acqua, gettarmi per terra e resisto senza lamentarmi agli urti, c’era solo una cosa capace di togliere a questo giocattolo la sua affidabilità ed è cercare di privarlo della sua libertà.

Poesia per la notte di Natale

Poesia in Rima per la notte di Natale
semplice da recitare
Prima cosa da ricordare
come è stupido barattare
Dio per Babbo Natale
Il primo sa solo comandare
Il secondo sa regalare
Per questo quando mi han detto
che Babbo Natale era un invenzione
io mi sono rifiutato
di credere a questa stupida rivelazione
ho ceduto ogni tipo di religione
per credere a quel vecchio capellone.
Seconda cosa da ricordare
non esiste Natale se non c’è un bambino
per questo oggi mostro indifferenza
per non pensare che quel bambino
prendendo da me la dote della disubbidienza
decise di ribellarsi alla vita
e di vivere anche senza.
Terza cosa da ricordare
Natale per tutti è un ricordo passato
ricorda qualcosa che è stato
e se dici che non lo puoi sopportare
probabilmente vuoi solamente dire
che lo vorresti riguardare
con i tuoi occhi capaci di sognare.
Quarta cosa da ricordare
prima di andare a dormire
a chi mi vuole spiegare
che in fondo stanotte
è successo qualcosa di divino
io rispondo come risposi alla maestra
quando mi chiese se sapevo la storia
di Gesu’ Bambino
le dissi che un bambino è troppo piccolo
per avere una storia
e che praticamente la cosa speciale
è che Gesu’ Bambino
era un bambino normale
e anche lui aspettava i regali
di Babbo Natale.

Una domanda stupida

Non chiedetemi se sono felice.
La risposta crea comunque imbarazzo.
Non è bello rispondere di no.
E non è consigliabile rispondere di si conoscendo il carattere effimero della felicità.
Fate domande più intelligenti.
Chiedetemi se sono tranquillo.
O piuttosto non chiedete un cazzo.
Vi voglio bene lo stesso.
Anzi ve ne voglio ancor di più se avete la sensibilità di evitare domande la cui risposta può creare invidia o imbarazzo.

L’amore è un animale selvatico

L’amore è un animale selvatico.
Molti ne parlano ma pochi l’hanno visto.
C’è chi dice che sia enorme, chi racconta di essere fuggito per evitare di affrontarlo, c’è chi si vanta di averne visti a migliaia e chi si domanda come sia fatto.
Alcuni pensano di averlo visto negli occhi dei genitori o nello sguardo dei figli, ma quello è un amore domestico, niente a che vedere con l’amore selvatico.
L’amore selvatico non si fa vedere facilmente, c’è chi vive tutta la vita senza mai incontrarne uno, devi avere il coraggio di camminare al buio, devi conoscerne le tracce, sentirne l’odore e saper dominare l’inevitabile paura.
Se se sei fortunato lo incontrerai.
E quando l’avrai davanti non farti venire nemmeno per un istante l’idea di provare a catturarlo.
L’amore selvatico non si deve catturare.
La si osserva e ci si fa osservare quasi come se si fingesse di non esserci accorti uno dell’altra fino ad attendere quello sguardo che ti da il permesso di entrare nella sua tana.
E poi amarla.
Lei femmina di amore selvatico che finalmente ha scoperto cosa significa essere libera per poter donare la sua libertà a chi cazzo vuole.
Si sparga la voce nel bosco che se ci fosse qualche bracconiere intenzionato a catturarla se la dovrà vedere con me.

Una pozza d’acqua

Mi sono immerso in una pozza d’acqua calda mentre fuori nevicava.
All’interno del Diamond Fork Canyon nello Utah tirava un vento che avrebbe spezzato un ramo spoglio.
Lo feci credendo fosse un ottimo sistema per dimenticare.
Un vecchio indiano mi aveva raccomandato di costruirmi un disagio per dimenticare un dispiacere.
Credetti che spogliarmi sulla neve per tuffarmi in una pozza d’acqua calda potesse esserlo, fino a quando una volta immerso, il mio corpo entrò in uno stato di beatitudine tale che il dolore per la perdita dell’amico si fece ancora più forte.
La bellezza del paesaggio mi costrinse a fare un giro sulla montagna russa della vita avendo come compagni di corsa a destra un senso di pace e a sinistra l’inferno di un addio senza possibilità di ritorno.
Ci sono momenti in cui vorresti rimanere ubriaco per sempre, stordito dall’incapacità di capire o dalla capacità di comprendere che non capirai mai.
Mentre un mondo zoppicante balla intorno una danza della pioggia senza accorgersi di essere sul punto di affogare.
Al Diamond Fork Canyon mi dissero che qualche giorno prima era stato visto un branco di lupi grigi, non riuscirono a spaventarmi, risposi che non avere nulla da perdere è un ottimo motivo per giocarsi tutto.
Rimasi in quell’acqua a bollire il tempo necessario per capire che non serviva a nulla.
Uscii’ e prima di rivestirmi camminai per vedere l’effetto che facevano le orme dei miei piedi nudi sulla neve.
Tornai alla macchina costretto ad ammettere che nulla era cambiato.
Il mio amico era morto e non avevo trovato nessuna ragione per quella scomparsa.
Mentre guidavo verso Spanish Fork si stava facendo buio, ebbi il tempo di vedere volare sopra di me un gabbiano della California, probabile che stesse migrando verso le Coste del pacifico.
Lo vidi perché, un attimo dopo che sul vetro mi piombo’ una cagata di uccello, alzai lo sguardo verso il cielo per individuarne l’artefice.
Volava a pochi metri d’altezza dalla mia auto e sembro’ seguirmi per un po’, il tempo di farsi notare e poi virò verso sinistra.
Verso la California.
Mi chiesi se una cagata di gabbiano potesse nascondere qualche significato nascosto, magari un messaggio dall’aldilà.
Come a voler dire: “Tu sei ancora nella merda, io no.”
Arrivai a Spanish Fork sorridendo.
Tutto qua.

Non so volare

Non so volare e per recuperare il pallone mi tocca salire sull’albero.
Arrivato in cima mi fermo un attimo a guardare il campo da calcio dall’alto.
Vedo i miei amici accalcati sotto la pianta che urlano: “Buttala giù. Guido buttala giù.”
Io attendo un attimo poi urlo:
“Ma lo sapete che visti da qui siete proprio piccoli.”
“Butta sta palla invece di dire stupidaggini.”
“No, non la butto. La porto giù io. Sono venuto io a prenderla e ora la porto giù.”
E scendendo vedo i miei amici diventare più grandi, sempre più grandi, fino a diventare così grandi da non essere più interessati alla palla.
Hanno smesso di giocare e mi ritrovo qui con questa palla in mano in un campo vuoto con gli spalti sostituiti da una discarica di televisori, frigoriferi e lavatrici.
Ma la porta è ancora lì ed è troppo invitante.
Conto nove passi dalla linea al centro dell’area.
Qui doveva esserci il dischetto.
Appoggio il pallone per terra.
Guardo a destra della porta per far credere all’invisibile portiere di aver deciso la direzione.
E dopo una breve rincorsa colpisco il pallone di piatto cercando la precisione più che la forza.
Il portiere fantasma si butta sulla destra, il pallone va verso l’angolo sinistro.
Scheggia il palo ed entra in porta.
Io alzo le braccia esultante, mi giro e li vedo tutti li.
Tutti i miei amici che mi vengono incontro per festeggiare.
Sul campo comincia a nevicare mentre l’anima si gode il replay del gol e il telecronista commenta parlando di una finta che avrebbe spiazzato chiunque, persino il tempo non avrebbe potuto parare un rigore calciato con cosi’ tanta precisione.
Tornando a casa, sull’autobus osservo la neve attecchire sui marciapiedi e dopo aver alitato sul vetro scrivo:

Ho fatto cose

Ho fatto cose.
Perchè fare cose era l’unico modo di non pensare.
Venivano fuori dall’istinto di sopravvivenza nel tentativo adolescenziale di guadagnarmi da vivere con la creatività.
La maggior parte di loro erano fatte di legno.
Smisi quando l’operatore al taglio del legno di un Brico Center si amputo’ quattro dita tagliando delle assi che mi sarebbero servite per fare una lampada.
Ebbi sensi di colpa per mesi e a volte questi sensi di colpa ritornano.
Vado in quel Brico ogni tanto solo per chiedere come sta il ragazzo che mi tagliava il legno.
Mi dicono sempre che sta bene ma gira con un guanto per non mostrare la mano, quando mi chiedono se voglio che lo chiamino rispondo di no, ringrazio e me ne vado.
Io non so cosa sia il destino ma so che passai un periodo della mia vita facendo cose.
E ora sapete anche perché non faccio più cose e sono tornato a pensare troppo.
Ecco le cose di cui parlo…

Vorrei vedere te

Vorrei vedere te a far finta che vada tutto bene mentre sei aggrappato a una pianta di rosmarino che ti salva dal baratro.
E sai che faccio?
A volte stacco una mano e me l’annuso.
Adoro il profumo del rosmarino.
Vorrei vedere te sperare che un domani accada qualcosa che non è mai accaduto in una moltitudine di ieri.
Non c’è attore migliore di chi ha deciso di recitare un se stesso in ottima forma con il desiderio di tranquillizzare chiunque chieda: “Come va?”.
Potrò dire di aver visto la tristezza vestirsi come per una festa, bambini parlare come adulti e fogli riempirsi da soli di parole, ma nulla di questo mi sorprese più di quanto lo fece ascoltare un marinaio raccontarmi con le lacrime agli occhi che dopo essere sopravvissuto all’ultima tempesta si accorse di non avere più paura di nulla.
“C’è la paura della morte che poco a poco si trasforma nella morte della paura. La paura era un amica che mi avvertiva del pericolo. Era la mia amante nelle sere in cui all’orizzonte si vedevano nubi nere addensarsi minacciose. La paura era la porta che attraversavo per entrare dentro di me ed uscirne più forte.”
Ripenso al marinaio ogni volta che mi chiedo se mai riuscirò a vincere la paura di non farcela.
Nel mentre continuo ad aggrapparmi al rosmarino con la soddisfazione di alternare la presa per godermene il profumo.