La liberta’ assomiglia a un paio di coglioni che finalmente si liberano dalla morsa delle mutande e sballonzano su e giu’.
Mese: Maggio 2018
La solitudine è una droga
La solitudine è una droga, la si inietta nello spirito attraverso serate passate sdraiati sul divano col cane addormentato sul petto, facendo zapping a caccia di una qualche notizia interessante, prende il sopravvento lentamente, si intuisce che si sta impadronendo di te perchè ti fai domande e ti dai risposte.
E non ti senti piu’ solo, nonostante la solitudine, cominci ad apprezzare la compagnia che fai a te stesso, poi socchiudi gli occhi e ripensi a quel negozio di giocattoli, e al suo padrone dalla faccia burbera che cercava i soldatini nell’ultimo scaffale in alto.
Tutto come fosse ora, solo che hai la consapevolezza fastidiosa che non ci sia piu’, una presenza assenza, un presente passato.
E sua moglie, quella morta una mattina di ottobre, e io che a cinque anni non capivo perchè il giocattolaio non aveva piu’ quella signora mora dietro la cassa.
Le scale che portavano al piano di sopra, scale ripide che portavano verso un mondo di pupazzi.
Con chi potrei parlare di quel negozio?
Con una donna?
Ma stiamo scherzando!
Si chiederebbe se sono pazzo, o semplicemente retorico, se non addirittura morbosamente malinconico.
Mi direbbe: “Cresci fanciullo. Il tempo passa.”
E invece no, brutta strega, il tempo non passa, ristagna nella memoria, come un fiume giunto in un lago senza sbocchi, il mio tempo rimane li, quantità industriale di acqua passata, non di certo limpido, non si vede il fondo, solo una distesa melmosa di emozioni.
Sabbie mobili in cui mi calo fino all’imboccatura del collo e rimango li’ indeciso se cercare di nuotare o invece lasciarmi inghiottire.
Lei si guarda allo specchio, si mette tre chili di rossetto poi mi torna accanto.
Io la guardo con tutto quel luccichio viscido che quasi le tocca la punta del naso.
Le dico che la preferivo senza trucco.
Senza trucco.
Cosa è rimasto senza trucco?
Nulla.
E’ un trucco la rivoluzione, un trucco la comunicazione, un trucco il nostro aspetto controllato nelle vetrine scure dei negozi, un trucco il nostro curriculum vitae.
Un trucco ogni marchio, ogni slogan, ogni certezza e ogni dubbio.
La solitudine è un tonico al propoli, naturale e perfetto per rimuovere tutto quello schifo che serve a rendere il nostro aspetto migliore.
Ci vorrebbe una donna che nonostante la sua compagnia lasci inalterati tutti i vantaggi dell’esser solo.
Per una bambina che ha vissuto piu’ a lungo di una farfalla.
Ho amato la neve, pur sapendo che si sarebbe trasformata in fango.
Ho amato la notte pur sapendo che sarebbe arrivato il giorno.
Ho amato ogni partenza pur sapendo il giorno del ritorno.
Ho amato la strada anche se era la strada sbagliata.
Ho amato bocche che non mi hanno mai baciato e occhi che non mi hanno mai riconosciuto.
Ho amato i miei cani anche se non siamo mai riusciti a scambiarci un opinione.
Ho amato il coraggio che si arrendeva alla paura.
Ho amato il tabacco che finiva in fumo.
E ho amato te come si amano i sogni che si ricordano al mattino
quelli dove incontri persone che non ci sono piu’
e per un attimo ti sembra di poterli chiamare
per dirgli che hai voglia di rivederli
perché hai un sacco di cose nuove da raccontare.
Kodak
Chissà da quanto tempo Kodak stava li immobile in quella vetrina sui Navigli aspettando che qualcuno lo comperasse.
Io ci sono passato davanti in bicicletta tutto l’inverno e ogni volta mi giravo velocemente a dargli un occhiata.
Era solo curiosità e il tentativo di capire di quali pezzi era costituito questo Frankenstein messo insieme con pezzi di vecchie macchine fotografiche.
Poi un giorno non c’era piu’.
E il suo posto era malinconicamente vuoto.
Entro nel negozio e chiedo che fine avesse fatto Kodak.
Il padrone mi dice che l’aveva riportato a casa perchè nessuno si era mai interessato a lui.
Gli chiesi quanto costasse adottarlo e lui mi disse una cifra astronomica.
“E’ un opera d’arte” concluse per avallare la sua richiesta.
Gli chiesi uno sconto.
Lui mi guardò e disse: “Va bene, passa domani che te lo faccio trovare.”
Ed è cosi’ che mi portai a casa Kodak, il suo mono occhio, le sue braccia a molla, le sue mani d’acciaio le sue gambe che sembrano minuscoli cavalletti.
E ogni volta che lo guardo io lo rivedo in quella vetrina e mi vengono in mente le pedalate sotto la pioggia e sotto la neve e quell’appuntamento con il suo sguardo che era sempre una meta intermedia tra l’inizio e la fine del viaggio.
Oggi Kodak vive sulla mia scrivania, guarda sempre verso l’alto e sulla schiena ha una chiave di carica che inspiegabilmente non serve a nulla non essendoci nessuna molla da caricare.
Ogni tanto cade e io lo rimetto in piedi lui sembra ringraziare facendo l’occhiolino nel tentativo di ricordare quel tempo in cui con l’occhiolino catturava fotografie.
Altrove
Altrove piove e una ragazzina si sta riparando sotto la tettoia sporgente di una casa.
Le viene in mente una domanda.
Ma la pioggia bagna l’anima?
Le viene in mente perchè nonostante sia al riparo sente che le gocce la stanno colpendo creando piccoli rivoli che dalla fronte colano fino a bagnargli il cuore..
Foto by Vivian Maier
Una storia
Lo specchio ribalta la situazione avvertendomi della presenza di un intruso che è entrato nella mia camera da letto.
Faccio finta di niente, attendo che si avvicini, poi, quando è a portata di braccio mi volto di scatto piantandogli lo spazzolino da denti sotto il collo.
Con una spinta lo sbatto sul pavimento, gli monto addosso.
“Chi cazzo sei?” Gli dico.
“Mmmmmm….”
“Chi cazzo sei?”
“Se noooon tttoooogliiii lo spazzzzzzolino….
Allento la pressione.
“Chi cazzo sei?”
“Sono Valter…”
“E chi cazzo è valter.”
“Sono io.”
“Chi cazzo sei tu…”
“Lasciami andare e ti spiego.”
Faccio per alzarmi e il bastardo mi salta al collo, gli do’ una gomitata nella stomaco, due calci nel culo mentre sta cadendo, poi gli sono di nuovo sopra.
“Vieni fuori.”
Lo prendo per il cappuccio della merdosa felpa che indossa e lo porto fuori.
“Come cazzo hai fatto ad entrare?”
“La porta era aperta.”
“Cazzo vuoi…”
“Tu…”
“Io cosa?”
“Tu sei un bastardo.”
Gli mollo un bel durone nella gamba.
“Chi è il bastardo?”
“Tu sei il bastardo, hai scopato la mia donna.”
Per un attimo mi chiedo chi sia la donna di questo coglione.
Poi cambio pensiero.
“Tua donna sto cazzo, cos’è le donne le compri al mercato? Hai un contratto d’acquisto? Nessuna donna è tua…capisci?”
“Mmmmm”
Calcio nel culo.
“Mi capisci ora.”
“Non dovevi chiavarti la mia donna…dopo sette anni che stiamo insieme.”
“E che cazzo volevi farmi.”
“Vederti.”
“E ora che mi hai visto.”
“Hai la faccia da cazzo che mi aspettavo.” E sorride.
Cazzo no, non doveva sorridere, quel sorriso ha allentato la mia presa, lo appoggio contro il muro, lui mi guarda, dice.
“Ma a te non è mai successo?”
“Cosa?”
“Che una stronza che sta con te si scopi qualcun’altro e tu vuoi vedere la faccia di questo bastardo che si è portato a letto la tua donna.”
“Ma io non so nemmeno chi sia la tua donna.”
“Barbara.”
“Barbara cosa?”
“Si chiama Barbara.”
“No, non ho trombato con nessuna Barbara, non almeno negli ultimi cinque anni. E come sarebbe questa Barbara?”
“Bionda, tipa un po’ fuori di testa, ha i capelli biondi….e due ciocche blu….”
“Silvia.”
“Chi è Silvia?”
“Una bionda, completamente fuori con due ciocche blu e….”
“E cosa???”
“Niente.”
“Cosa niente…cosa cazzo stavi dicendo.”
“Simpatica… è simpatica… e comunque si chiama Silvia.”
“Ti ha riempito di palle, si chiama Barbara. L’hai trombata?”
“Forse.”
“E i messaggini…”
“Quali messaggini?”
“Cazzate del tipo “sei bellissima”, “mi hai fatto impazzire”, “quando ti rivedo”.”
“Mai mandato messaggini a Silvia…che mi ricordi…”
“328 073…430, e’ il tuo numero?
“Si.”
“Sei una merda.”
“Senti, a parte il fatto che per quel che ne sapevo io Silvia non era fidanzata, ma cosa cazzo vuoi da me?”
“Vederti, vedere quale faccia di merda mi ha trombato la ragazza.”
“Bene, ora che hai visto questa faccia di merda puoi portare via i coglioni.”
“Tanto è tornata.”
“Bene.”
“E ora ci amiamo piu’ di prima.”
“Sono contento.”
” …e mi ha detto che con te è stata una scopata di merda.”
“Davvero?”
“Giuro.”
“Chi l’ha detto?”
“Barbara.”
“Beh,basta che non l’abbia detto Silvia.”
“Cazzo, Silvia è Barbara.”
“L’importante è che non l’abbia detto Silvia, se l’ha detto Barbara a me va bene.”
“E’ la stessa cosa.”
“No stronzo, non è la stessa cosa. Barbara è la tua fidanzatina, che vive con te da cinque anni…o sei……cazzo me ne importa, è quella che tu hai portato dai genitori, quella che hai promesso di sposare nel paesino dove sei nato, quella che ormai è piu’ un amica che un amante, quella che non vuoi che esca con le sue amiche, quella che è nella fotografia con te accanto a Cortina, tu in completo da sci azzurro, lei con quei paraorecchi rosa, quella che ti prepara le uova strapazzate….vai pazzo vero per le uova strapazzate? E’ quella a cui non l’hai mai leccata, quella che scopi velocemente perchè poi inizia la domenica sportiva e devi sapere quello che è successo all’inter, quella che ti viene a prendere in ufficio alle sette e mezzo e in macchina dall’ufficio a casa gli racconti come è andata la borsa e come è stato vantaggioso comprare le azioni Alitalia e rivenderle il giorno dopo, è quella che ti ha accompagnato sabato scorso a vedere quella specie di BMW che non si capisce se è un fuoristrada o una macchina da corsa, e tu le hai detto che è perfetta per portare bambini, i vostri futuri bambini. Barbara è quella che quando ti sei presentato le hai detto che non capisci come facciano le fighe a trombarsi i poveri, ed è sopratutto quella che lasci in camera quando sei in salotto a tirare coca con i tuoi amici.”
“Chi cazzo ti ha detto queste cose?”
“Me le ha dette Silvia. che è quella con qui ho fatto l’amore tre giorni fa, che è salita sulla mia cazzo di Volvo mezza scassata, e si è messa a ridere quando ha sentito che casino faceva la marmitta scassata, Silvia, che è quella che non ne puo’ piu’ dei fighetti che vanno a Cortina a mostrare i loro fuoristrada nuovi, Silvia, hai presente quella che tiene per il Milan e pensa che gli interisti siano tutti un po’ sfigati, quella che odia cucinare e che non capisce un cazzo di movimenti finanziari, azioni e investimenti, quella che dice che è troppo giovane per fare figli e che sopratutto mi ha confessato di essere prigioniera di un fidanzato violento, possessivo e rompicoglioni.”
Afferro lo stronzo per il collo.
“Siete tornati insieme…?” Gli chiedo.
“Si…..iiiii”
“Sei sicuro…rispondi…siete tornati insieme?”
“Veramente….io voglio che lei torni con me….”
“E lei?”
“Lei è da una amica…e’ una settimana che non la vedo.”
“E la chiami trenta volte al giorno minacciandola e rompendogli i coglioni.”
“Non è vero.”
Stringo.
“Si…e’ cosi’.”
“Come ti chiami?”
“Valter.”
“E’ vero…bene Valter se tu rompi ancora i coglioni a Silvia…”
“Barbara.”
“…se rompi ancora i coglioni a Barbara, o a Silvia io ti spacco in due.”
“Va bene.”
“Va bene, cosa?”
“Va bene, non la chiamo piu’.”
“Sicuro?”
“Giuro.”
“Giuralo sulla cocaina e sui soldi che sono la cosa a cui tieni di piu’ al mondo.”
“Lo giuro….”
“Su cosa?”
“Sulla cocaina e sui soldi.”
“Bravo.”
Gli lascio il collo.
Lui si rimette a posto la felpa, fa per dire qualcosa…
“Non ho sentito?” Dico.
“Comunque….”
“Comunque che cosa?”
“Niente”
“Ora fuori dai coglioni.”
Lo accompagno tenendolo per il braccio fino alla sua cazzo di BMW tirata a lucido.
“Bella macchina.”
“Lo so.”
“Sarebbe un peccato ritrovarla sfasciata.”
“Ho già capito, non c’è bisogno che sfasci la macchina.”
Valter sale sull’auto, mette in moto e se ne va.
Tutto questo un po’ di tempo fa.
Nei giorni dopo il fatto ho rivisto Silvia, che ho cominciato a chiamare Barbara, lui è sparito dalla sua vita, lei per un po’ ha abitato con una sua amica, a volte stava da me.
Poi una sera ad una festa all’old fashion ha incontrato un fighetto stile camicia inamidata e doppiopetto cucito su misura e naturalmente porsche parcheggiata fuori.
Si è fidanzata con lui.
“Almeno lui non tira.” Mi diceva.
Non me la faccio piu’ da quando me lo presento’ con un aria da gatta morta che tiene ben stretto un uccellino impaurito tra le zampe.
Aveva la faccia da bravo ragazzo, e non si trombano le fidanzate dei bravi ragazzi.
Lei aveva un sogno
Lei aveva un sogno
Del resto chi non ce l’ha
Ma il suo sogno era bello
era volare via di la’.
Volare sopra il cancello
E non atterrare mai
Vivere sopra un albero
Se mi ami mi seguirai.
Non farti domande
Se non ci sono risposte
Io volo a vista
Per non inciampare
Ed amo soltanto
Chi mi riesce a seguire.
In South Dakota
Anni fa mi trovavo in South Dakota.
Ero a Pine Ridge, cittadina dove regna la poverta’ assoluta.
Mi trovavo da quelle parti per andare a visitare Wounded Knee, luogo dell’ultimo massacro di indiani avvenuto nel 1890.
Feci un salto anche sulla tomba di Nuvola rossa, grande capo Oglala.
Una mattina mi trovavo a fare colazione in uno squallido ristorante.
Il caffe’ era annacquato, i biscotti erano duri come la pietra, la donna indiana che mi serviva mi guardava come per dirmi: “Che cazzo fai tu qui?”
Accanto a me si siede un tizio con i capelli lunghi, bianchi, legati dietro.
Ordina un uovo strapazzato, poi si gira e mi guarda.
Lo saluto.
Lui mi saluta:
Yellow bird. Mi dice.
Guido. Rispondo.
E ride.
Io rallento nella mia colazione.
Arrivano le uova.
Rimaniamo seduti al bancone per un quarto d’ora.
Poi si volta e mi dice:
Ti piacciono gli indiani vero?
Si. Rispondo.
E cosa ti piace degli indiani? Chiede.
Mi piace la loro filosofia di vita.
La nostra filosofia di vita…. e sorride mostrando i pochi denti rimasti.
Sorrido anche io.
La vuoi conoscere una storia. Mi chiede.
Certo.
Allora vieni con me.
Mi chiede di seguirlo.
Usciamo dal ristorante (chiamarlo ristorante e’ troppo, ma non saprei come altro chiamarlo), lo seguo, arriviamo davanti a una vecchia Jeep scassata.
Vuoi fare un giro?
Un giro con Yellow Bird?
Avrei voluto dire di no, ma ho detto si.
Salgo sulla Jeep. Faceva un freddo cane. Yellow Bird prende dai sedili posteriori una coperta e me la passa.
Copriti, mi dice e sorride.
Usciamo da Pine Ridge, dopo venti minuti arriviamo alle Black Hills.
Parcheggia.
Andiamo.
A piedi? Gli chiedo.
Lui non risponde e sorride. Io lo seguo.
Dopo qualche minuto arriviamo di fronte a una vecchia roulotte.
Yellow Bird bussa alla porta.
Nessuno risponde.
Non c’è nessuno. Dico.
E’ dentro. Risponde sorridendo.
Bene.
Mi ha detto di sedermi. Lui si e’ seduto di fianco a me.
Dopo un quarto d’ora la porta si apre.
Esce un vecchietto con un paio di ray ban da sole.
La prima cosa che mi sono chiesto e’: ma quanti anni avra’?
E non ho saputo darmi una risposta.
Poteva averne sessanta come duecento.
White Plume. Dice Yellow Bird.
Poi guardando il vecchietto dice: Guido.
Poi altre parole in dialetto indiano.
Il vecchietto ride.
Hai delle sigarette? Mi chiede Yellow Bird.
Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto.
Yellow Bird sorride, scrolla la testa, prende la sigaretta e me la infila tra l’orecchio e la testa poi prende l’intero pacchetto e lo passa a White Plume.
Il vecchietto ride e si inchina per ringraziarmi.
Poi fa segno di entrare.
Dentro c’è una confusione incredibile.
Una confusione di stronzate.
Bicchieri, taniche di aranciata, dreams cathers, penne, fogli di carta disegnati, portaceneri, cuscini colorati e una televisione che fa intravedere da un segnale pessimo un cartone animato.
White Plume mi fa segno con la mano di sedermi su una seggiola che secondo me se mi siedo si spacca.
Mi siedo.
Non si spacca.
Yellow Bird dice altre cose in una lingua sconosciuta al vecchietto.
Lui sorride.
White Plume mi guarda in silenzio per cinque minuti.
Non dice una parola. Sorride e basta.
Poi prende un bastone e me lo passa attorno come se disegnasse la silouetthe del mio corpo.
Poi prende della cenere e la lancia per aria.
Accende un ramoscello di qualche pianta che non conosco, ne esce del gran fumo che ci fa tossire tutti.
Sono avvolto da una specie di nebbia per qualche minuto, poi la nebbia si dissolve.
White Plume parla nella sua lingua e Yellow Bird traduce.
Oggi la gente cerca la conoscenza, non la saggezza.
La conoscenza è legata al passato, la saggezza appartiene al futuro.
Solo queste parole.
Poi inchina di nuovo la testa e sorride.
Yellow Bird mi fa segno di alzarmi.
White Plume ci accompagna alla porta.
Mentre andiamo verso la macchina White Plume rimane fermo sulla porta a guardarci.
Naturalmente sorride.
Arriviamo alla macchina.
E poi di nuovo a Pine Ridge.
Di fronte al ristorante Yellow Bird mi saluta, poi mi richiama indietro e mi dice:
Farai della strada oggi. Guida prudente c’è un luogo che ti aspetta, e quel luogo, qualunque sia, diventerebbe triste triste se non ti vedesse arrivare.
La saggezza appartiene al futuro.