Sul treno che portava da Berlino a Minsk fui svegliato nel mezzo della notte dalle martellate che adattavano le ruote motrici alle rotaie polacche.
Dormivo in una cuccetta con un vecchio Bielorusso che tornava a casa, aveva una valigia di cartone dal quale usciva un odore di salsicce.
Mi rimisi a dormire pensando a Viktoria che mi aspettava a Baranovichy.
Inutile negare che la ricerca dell’amore ci porta a fare cazzate meravigliose senza le quali la vita non avrebbe senso.
Vissi una settimana mangiando patate e pollo, facendo l’amore cinque volta al giorno in un vecchio appartamento arredato come una casa italiana nel dopoguerra, passeggiando per parchi deserti e cercando disperatamente qualche ragione che giustificasse quel senso di squallore che il comunismo regala ai suoi regni.
Volevo che Viktoria tornasse con me, andammo in un luogo misterioso dove si potevano richiedere i visti per l’espatrio, un burocrate pezzo di merda mi disse che le bellezze Bielorusse erano equiparate ad opere d’arte e come le opere d’arte non potevano lasciare il paese.
Lasciai Viktoria a Baranovichy e tornai sentendomi più solo di quando fossi partito.
Venni a scoprire anni dopo che era riuscita ad arrivare in Italia e che si era sposata, era diventata mamma e viveva in una piccola città nel Nord Italia.
Ed io sono ancora qua a ricostruire i viaggi con la memoria, cercando un senso in ogni amplesso, motivando un addio con la scusa di aver bevuto ogni bicchiere che mi è stato offerto, qui in una città che sembra l’ombra di se stessa, e come un ombra sembra seguirti senza lasciarti nessuna possibilità di sfuggirgli.
Forse spegnendo le luci.
Forse spegnendo le luci posso cercare qualcosa nel buio, trovare uno sguardo che pensa di non essere visto, magari gli occhi della libraria che sono l’unica cosa di lei che conosco a parte i fiori che abbelliscono la sua mascherina nascondendole il viso.
Dal piano sotto al piano sopra è un viaggio, dalla cucina al cesso è un viaggio, da casa al supermercato è quasi un volo intercontinentale, ridotto a dare ai centimetri il valore dei chilometri per non sentirmi immobile e inutile.
Ne sa qualcosa il gatto che non ho mai accarezzato tanto, o i cani che non ho mai abbracciato tanto, ne sanno i libri che apro e chiudo in continuazione, lo sa persino la pipa che non veniva fumata da anni e ora mi regala il decollo di un filo di fumo che si va a schiantare contro lo schermo del computer.
Togliete il guscio a una tartaruga e datele un attico a Manhattan, non la vedrete felice, togliete le ali all’aquila e regalatele il cielo, non la vedrete felice, togliete il tempo all’uomo e regalategli l’eternità, solo gli imbecilli ringrazieranno.
Solo, seduto accanto al tappeto gioco con un camion, fingo di portare cemento per costruire una casa tutta mia, mia madre entra in camera e mi dice che è ora di mangiare.
Parcheggio il camion accanto al piede del letto, nascondo l’omino che lo guida sotto il cuscino e vado in cucina.
Mia madre mi chiede cosa stavo facendo io le dico che stavo costruendo una casa e che l’avrei fatta abbastanza grande per darle una camera enorme dove avrebbe potuto anche nuotare.
Nuotare? Mi chiese.
Certo, le dissi. Sapevo che le piaceva il mare.
Poi senza opporre resistenza dal nulla mi lascio catturare, mi dichiaro colpevole a chi mi accusa di non aver saputo amare.
Sappiate che lo faccio solo perché sono stufo di nascondermi e scappare.
Mese: Gennaio 2021
Joshua e lA FALENA
Joshua e la falena non possono fare a meno uno dell’altra.
Joshua porge il fiore e la falena deponendo al suo interno le uova ne diffonde il polline.
Una vita in simbiosi.
La mia idea dell’amore?
L’albero e l’animale notturno, sperduti e soli nel deserto.
Inconsapevoli dell’universo sfidano il caldo torrido e il freddo improvviso regalandosi la possibilità di creare vita dalla vita.
Io non cerco l’amore, cerco una falena.
UNA VOLTA
una volta vivevo in un auto
al casello di Bereguardo
ottima posizione per vedere le stelle
auto accesa e riscaldamento al minimo
la radio accesa al minimo del volume
sembrava il capolinea di tutte le mie corse
la sveglia era il sole che mettevo a tacere
infilando la testa sotto la giacca
una volta invitai nella mia casa parcheggiata
una ragazza norvegese scappata di casa
mangiammo due pizze prese all’autogrill
passammo una serata meravigliosa
osservando il volo di un cormorano
e baciandoci come liceali
rifugiati nell’auto del padre
passammo la notte nella Volvo Station Wagon
separati dal cambio con le mani unite
e una coperta da dividere in due
una volta ero cosi’ disperato
che pensavo di meritarmelo
e nel cercare le mie colpe
incontrai chi mi amò davvero
condividendo con me un auto
e la ricerca di monetine sotto i sedili
poi lei tornò in Norvegia
io trovai un lavoro
vendetti la Volvo di mio padre
comperai un Suv nuovo
trovai una casa
e smisi di cercare le monetine
sotto il sedile dell’auto
una volta sono stato felice
oggi
non lo sono piu’
HO SMESSO DI CREDERE IN DIO
Ho smesso di credere a dio quel giorno che lo vidi per strada.
Lo chiamai e lui dopo essersi girato l’unica cosa che seppe dirmi è che si dispiaceva ma era solo uno che gli assomigliava.
Ho smesso di credere all’amore quando dopo averlo visto che mi seguiva mi sono fermato per farmi raggiungere e anche lui, bastardo, si è fermato.
E’ li’, a qualche metro da me, che mi segue come un detective che vuole scoprire chi sono sperando di non essere visto.
Ho smesso di credere alle donne da quando ho capito che quello che vogliono da me non è ciò che sono ma ciò che pensano io sia.
Ho smesso di chiedermi se andrà bene o no da quella volta che andò benissimo e non bastò a rendermi felice perché il successo alla fine non è altro che la malinconica fine di un viaggio.
Ho smesso di bere, di fumare e di sperare di essere amato, mi è rimasto il sospetto che la solitudine sia un dono che nessuno apprezza perché viene regalato senza che si sappia cosa ci sia da festeggiare.
Ho smesso di aspettare, aspettare qualsiasi cosa, lascio che la vita mi venga incontro, possibilmente che sbatta contro di me, come due bambini che giocano a mosca cieca sbirciando dalla benda.
Ho smesso quasi tutto ma non di credere che ci sia un treno, un aereo o una strada che porti in quel luogo dove tu mi stai aspettando con uno zaino consumato dalla vita che non hai mai avuto paura di vivere.
Prenderò te per mano, raccoglierò il tuo zaino e ce ne andremo via dove le strade non hanno un nome, i luoghi non hanno coordinate e ci si può perdere senza il rischio di venire trovati.