Non so volare e per recuperare il pallone mi tocca salire sull’albero.
Arrivato in cima mi fermo un attimo a guardare il campo da calcio dall’alto.
Vedo i miei amici accalcati sotto la pianta che urlano: “Buttala giù. Guido buttala giù.”
Io attendo un attimo poi urlo:
“Ma lo sapete che visti da qui siete proprio piccoli.”
“Butta sta palla invece di dire stupidaggini.”
“No, non la butto. La porto giù io. Sono venuto io a prenderla e ora la porto giù.”
E scendendo vedo i miei amici diventare più grandi, sempre più grandi, fino a diventare così grandi da non essere più interessati alla palla.
Hanno smesso di giocare e mi ritrovo qui con questa palla in mano in un campo vuoto con gli spalti sostituiti da una discarica di televisori, frigoriferi e lavatrici.
Ma la porta è ancora lì ed è troppo invitante.
Conto nove passi dalla linea al centro dell’area.
Qui doveva esserci il dischetto.
Appoggio il pallone per terra.
Guardo a destra della porta per far credere all’invisibile portiere di aver deciso la direzione.
E dopo una breve rincorsa colpisco il pallone di piatto cercando la precisione più che la forza.
Il portiere fantasma si butta sulla destra, il pallone va verso l’angolo sinistro.
Scheggia il palo ed entra in porta.
Io alzo le braccia esultante, mi giro e li vedo tutti li.
Tutti i miei amici che mi vengono incontro per festeggiare.
Sul campo comincia a nevicare mentre l’anima si gode il replay del gol e il telecronista commenta parlando di una finta che avrebbe spiazzato chiunque, persino il tempo non avrebbe potuto parare un rigore calciato con cosi’ tanta precisione.
Tornando a casa, sull’autobus osservo la neve attecchire sui marciapiedi e dopo aver alitato sul vetro scrivo: