Compilation

C’era una volta la possibilita’ di conquistare la persona amata attraverso una compilation.
Non si trattava solo di mettere in fila una serie di canzoni. No.
La compilation era qualcosa di piu’ complesso. Era il tentativo di raccontarsi e di dichiararsi attraverso musica e parole.
Funzionava cosi’.
Si prendevano tutti i dischi, poi si piazzava al fianco del giradischi un registratore di cassette e naturalmente una cassetta vergine.
Di solito era di 60 minuti, perche’ 48 erano troppo pochi e 90 troppo lunghi. (A parte il fatto che le cassette da 90 minuti spesso si inceppavano).
Fondamentale era avere un foglio su cui costruire la nostra scaletta. (Oggi si dice playlist, allora era la scaletta)
Prima di cominciare si rifletteva sulla persona a cui era indirizzata la compilation.
Perche’ fare una compilation per conquistare una persona significava non solo cercare di esprimere noi stessi ma anche cercare di andare incontro ai gusti della persona che avrebbe ascoltato la cassetta.
Se la persona era una rivoluzionaria la scaletta poteva prevedere canzoni di Guccini, Lolli, De Gregori e Finardi e poi Rolling Stones, Who e Led Zeppelin.
Se la persona era una conservatrice romantica si faceva affidamento tra gli altri su Baglioni, Venditti, Concato e poi Cat Stevens, Lionel Ritchie e i Bee Gees.
A parte i classici era poi fondamentale trovare una canzone di un cantante sconosciuto.
L’effetto sorpresa in una cassetta era fondamentale.
Perche’ quella canzone sconosciuta sarebbe stata la prova provata che quell’amore avrebbe riservato sorprese.
Bene. A questo punto, dopo aver scelto le canzoni si passava al misurare la durata delle canzoni, si faceva la somma nel tentativo di riempire quasi tutta la cassetta senza lasciare troppo spazio vuoto fra il lato A e il lato B.
La scaletta era virtualmente stata creata.
Si passava a una delle fasi piu’ creative e piu’ belle dell’intero processo creativo: la copertina.
La copertina era quel cartoncino che si trovava all’interno della cassetta vergine.
Andava rovesciato e sulla parte vergine c’erano alcune righe sulle quali scrivere i titoli delle canzoni.
Ma non ci si poteva limitare a una anonima compilazione di titoli.
Quella copertina andava riempita, erano centimetri quadrati da riempire di passione, interesse, creativita’ e amore.
Per far questo non bastava una penna, ci voleva un pennarello. A volte piu’ pennarelli, di colori diversi.
Prima di tutto bisognava scrivere la data esatta in cui la compilation era stata creata.
Di solito si usava un corsivo dove le lettere ingrassavano e dimagrivano creando un effetto palloncino.
Alla data seguiva il luogo in cui quella cassetta era stata registrata.
E poi la dedica.
Si stava ore a pensare a cosa scrivere.
Si cercava ispirazione nelle canzoni che stavamo registrando ma spesso l’intero processo di registrazione terminava e noi eravamo li, con la penna in mano, a non sapere cosa scrivere.
Le ragazze se la potevano cavare con una serie di cuoricini rossi ma noi maschietti eravamo obbligati a trovare soluzioni piu’ originali.
Si andava dalla frase ad effetto al disegnino, ma il top era ritagliare immagini o fotografie e incollarle con precisione certosina.
Questo “decoupage” adolescenziale andava fatto sul frontale del cartoncino e quindi i titoli della canzoni rimanevano all’interno, questo creava un effetto sorpresa.
Si dava la cassetta sperando che la persona potesse rimanere colpita dalla copertina che noi avevamo creato.
Alcune cassette avevano un cartoncino che si apriva a fisarmonica.
In quel caso la superficie su cui esprimere il nostro messaggio triplicava.
Finita la copertina mancava solo la parte meccanica del processo creativo.
La nostra concentrazione era su tra piccoli tasti neri.
Play, Rec, Pause.
Play e Rec schiacciati insieme facevano partire la registrazione.
Sembra facile, in realta’ ci voleva un abilita’ particolare a mettere la puntina sospesa sul disco proprio nel punto di pausa tra un pezzo e l’altro, poi si avviava la registrazione e quasi contemporaneamente si faceva appoggiare la puntina sul vinile.
La coordinazione era fondamentale.
Se tutto andava bene partiva la registrazione, la puntiva toccava il disco e due secondi dopo cominciava la canzone.
Se tutto andava storto partiva la registrazione e la puntina cadeva sul disco in un punto dove la canzone era gia’ iniziata o, peggio ancora, stava finendo la canzone che la precedeva.
E tutto era da rifare.
Il tempo di realizzazione di una cassetta da 60 minuti poteva arrivare fino a quattro ore.
Una volta finito il lavoro la sensazione era di avere materializzato un sentimento.
La cassetta era pronta ma bruciava tra le nostre mani.
Bruciava come brucia la paura e la speranza.
La paura che non piacesse, la speranza che quelle canzoni la convincessero ad amarci.
Come consegnarla?
A mano?
Con un l’aiuto di un amico nelle vesti di incolpevole postino amoroso?
Magari spedirla?
O farla trovare sul banco di scuola?
Passava qualche giorno prima della decisione.
E una volta consegnata si fantasticava sul momento in cui fosse stata ascoltata.
Si immaginava il nostro desiderato amore aprire la cassetta, infilarla nel lettore e poi ascoltarla.
Chissa cosa avrebbe pensato.
Magari potevo non mettere quella canzone.
E quella di Baglioni e’ troppo melensa.
Finardi….magari non sa nemmeno chi sia Finardi.
E quella di Venditti che parla della ragazza incinta che va a scuola…non e’ che poi pensa male?
Nascevano mille pensieri per dieci canzoni, intanto si aspettava.
Il verdetto sarebbe prima o poi arrivato.
Aspetta!
Ma ho messo il mio telefono sulla cassetta?
Si, si , l’ho messo.
Allora perche’ non chiama?
Magari c’è sua madre in casa e non puo’ chiamare.
Magari e’ cosi’ colpita che non sa cosa dire.
Il “magari” ci salvava e ci condannava.
Non restava che aspettare. Prima o poi quella cassetta avrebbe dato il suo verdetto.
Poteva essere la scintilla avvicinata alla benzina o un bicchier d’acqua sulla cenere.
Poteva essere fuoco o fumo.
E quel dubbio ci faceva sentire piu’ vivi, quel dubbio era forse il vero motivo per cui avevamo fatto quella cassetta.
C’era una volta un tempo in cui nelle certezze si annegava e nei dubbi si nuotava.
Era il tempo della “scaletta” al posto della playlist.