Imparare a stare da soli è come imparare a camminare.
Prima ti appoggi a qualcosa, poi, poco a poco, abbandoni l’appoggio e cominci a fare brevi distanze dondolando come una nave nella tempesta.
Cadi.
Conosci il dolore.
Ti rialzi.
Cadi.
Conosci il dolore.
Ti rialzi.
E poi non cadi più.
Qualunque sia il punto di arrivo tu sai che ce la puoi fare ad arrivare
Durante il viaggio incontri persone, trovi amori, qualcuna prova a fermarti, altri ti porgono un appoggio, tu porgi il braccio per fare qualche passo insieme, scambi quattro chiacchiere, giusto il tempo di chiederti se durerà per sempre per poi scoprire che per sempre non esiste.
Ti rinchiudi nella tua esistenza come uno di quei ricci che tornando a casa in campagna di notte trovavo sul bordo della strada.
Lo raccoglievo e lui si chiudeva diventando una fortezza inespugnabile.
Il segreto era appoggiarlo con dolcezza sul palmo della mano e salvarlo portandolo dentro il bosco.
Una volta appoggiato restavo li a guardare fino a che non si riapriva, spuntavano i suoi occhietti che si guardavano un attimo intorno prima di fuggire.
L’avrebbe mai capito che aveva cercato di difendersi da chi voleva solo salvargli la vita?
Imparare a stare da soli è come imparare ad andare in bicicletta, come imparare a sciare.
Una volta che hai imparato non lo scordi mai più.
O forse si.
Forse esistono da qualche parte persone capaci di farti riprovare l’estasi del bambino barcollante che mentre sta per cadere trova un dito da afferrare con la sua piccola mano e alzando lo sguardo verso il cielo crede, per un attimo crede, che quel dito sarà li per sempre.