La tenda col lenzuolo.

Il tempo si diverte a dividere i cuori, il futuro è l’unica risorsa che ci rimane.
Il bambino gioca con un contagocce a disegnare cerchi nella pozzanghera mentre il suo amico incrementa la sua collezione di tappi dei pneumatici, perché una volta i pneumatici avevano i tappini e il rubarli era una sfida troppo bella per non accettarla.
La chiesa stava in cima alla salita, all’interno sotto l’altare c’era un sarcofago di vetro che conteneva il corpo di un frate.
A sette anni mi chiedevo se conservare un corpo servisse a conservare la vita, quando lo chiesi al prete lui mi rispose di si, mentendo, e io andai avanti per un anno a salutare il morto aspettando che mi facesse almeno un cenno con la testa.
Quando mi chiedo che cosa sia la vita io rimango in silenzio ad aspettare una risposta.
Una volta ho sentito un urlo, era una foglia che staccatasi dal ramo precipitava verso terra disperatamente aggrappandosi a un filo di vento che le diede l’illusione di riportarla in alto.
Una volta ho sentito un sussurro, era la voce di una bambina che all’orecchio di un bambino raccontava di quella volta che aveva visto suo padre fare l’amore con sua madre e gli giuro’ che lei non avrebbe mai fatto quella cosa orribile.
Una volta era una canzone che usciva da una finestra e si intravedeva solo un ombra ballare, rimasi ad ascoltare e a guardare.
Poi la canzone finì e l’ombra si fece immobile diventando una macchia sul muro.
Quando mi chiedono: “Cosa vuoi?”
Io abbasso lo sguardo e rispondo che vorrei non aver mai finito il libro più appassionante che ho letto.
Vorrei non aver mai smesso di guardare gli occhi piu’ belli che ho visto.
Vorrei aver stretto per sempre la sua mano che si rifugiava nella mia.
Insomma vorrei liberarmi dal tempo come il prigioniero si libera dalla catena.
E nel caso ti incontrassi e ti riconoscessi vorrei dirti “per sempre” non sapendo di mentire.
Ed è tutto un caso e una scoperta.
Ho imparato a contraddirmi da piccolo quando promettevo di fare il buono per avere una scusa per restare da solo e combinare qualche guaio.
Poi aspettavo la punizione come se fosse inevitabile ricevere dei pugni quando ci si arroga il diritto di fare della vita un gioco meraviglioso.
Andavo a dormire costruendo una tenda con il lenzuolo infilato nella sponda nel letto e nel buio parlavo da solo di tutto quello che sarebbe dovuto essere, dalla neve che non si scioglie all’indiano che diventa amico del cowboy.
Mi addormentavo.
Al risveglio la tenda era caduta ed era tornata ad essere un lenzuolo.

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