Ho frequentato anni fa cene di gala, festival del cinema, eventi speciali e cazzate varie provando sempre un certo imbarazzo.
L’imbarazzo nel partecipare a ridicoli incontri di privilegiati agghindati come coglioni e imbarazzo nel vedere folle di persone che ammiravano i privilegiati come se assistessero adoranti a una parata di Dei dell’Olimpo.
Si esponevano i pass come lasciapassare per il paradiso godendo degli sguardi invidiosi di chi si credeva destinato all’inferno.
Trovavo patetiche le passerelle sui Red carpet con i mille flash dei fotografi che alimentavano l’ego di coloro che calpestavano quel tappeto rosso con l’indole di un generale che va a combattere una guerra già vinta.
Ho sempre sognato un popolo di umani che spernacchiasse i potenti, tutti i “potenti” compreso quegli artisti che usano l’arte per ingrossarsi l’uccello.
Ma ho sempre vissuto in un mondo di genoflessi di fronte alla celebrità, gente che vive la sua condizione di persona normale come una scusa per alzare lo sguardo verso un palcoscenico popolato da paraculati, affaristi, politici e creativi genoflessi al successo.
Sogno, consapevole che sia solo un sogno, un genere umano tenuto unito dal concetto di tribù, dove ogni appartenente alla tribù ha il suo scopo sociale e la sua dignità.
Senza tappeti rossi ma solo la dura terra su cui sedersi attorno a un cerchio per guardarsi negli occhi e raccontarsi storie rimanendo tutti alla stessa altezza.