Rimanemmo chiusi all’interno del cimitero di Lewistown alla ricerca delle tombe del Giudice Somers e dell’ubriacone Chase Henry.
Passammo la notte nel van mentre dal finestrino si vedeva una enorme quercia rossa illuminata dai lumini incredibilmente ancora accesi dopo una giornata di vento e pioggia.
Tu mi dicevi che era un miracolo io sostenevo la tesi di una di quelle botte di culo che permettono agli uomini di sopravvivere dopo un incidente.
Ti faceva ridere l’idea che un lumino funerario potesse avere una botta di culo, oltre al fatto che ci misi mezz’ora a tradurre “botta di culo” in un inglese che ti fosse comprensibile.
Dormimmo fino al giorno dopo senza mai avegliarci e come accade quando si dorme in viaggio quando mi svegliai rimasi per un attimo indeciso sul luogo in cui mi trovassi.
Poi mi girai e appoggiato in fondo al letto c’era il libro di Spoon River e ricordai.
Tu stavi già preparando il caffè
Jackson stava facendo la cacca ai piedi della quercia e un corvo si era venuto a posare sul ferro che teneva in piedi la statua di bronzo barcollante di un bambino che orgoglioso si guardava il suo guanto da baseball.
Il bambino riposava a poche decine di metri dalle ruote della nostra casa viaggiante.
Si chiamava Charlie e c’erano fiori freschi a ricordare che qualcuno lo ricordava.
C’era una nebbiolina leggera di quelle che si arrendono facilmente all’arrivo del sole, camminammo scalzi sull’erba bagnata, eri tu che dicevi che camminare scalzi sull’erba bagnata faceva bene e a me piaceva crederti, crederti sempre, sopratutto se le cose che dicevi erano incredibili.
Alle otto una signora che teneva un gatto nero in una borsa aprì il cancello, ci vide ma fece finta di non vederci.
Tu raccogliesti un sasso e dopo averlo portato a Charlie mi dicesti che eri pronta per andare.
Lasciammo Lewinston, prendemmo la Route 97.
Direzione Sud.
Anzi Nord.
A dire il vero non sapevo.
Bastava andare.