C’è un inconsapevole verita’ nascosta nella scaletta di un telegiornale.
La verità che tutto e’ relativo.
Si parte con un massacro e si finisce con i gol, passando attraverso la telepromozione di un materasso e la richiesta di aiuto per bambini che stanno morendo di fame.
E tutto accade in maniera naturale, come un orchestra che passa da un allegro a un adagio, con un direttore che gestisce a colpi di bacchetta tragedia e farsa, sport e spettacolo, morti e goleador.
Noi siamo spettatori di uno show, abbiamo poltrone più’ o meno comode e più o meno vicine al palco, ma ci sentiamo sempre estranei a ciò che accade sul palcoscenico.
Non saremo mai vittime e non saremo mai eroi.
Ma sempre e soltanto auditori distratti delle solite storie che l’uomo costruisce da millenni.
Odio e amore, guerra e pace, vittime e carnefici.
Un canovaccio cosi’ usato da apparire come una corda sfilacciata pronta a spezzarsi.
Poi improvvisamente appare un cane, un cane poliziotto, ucciso da dei coglioni terroristi.
Il cane viene trasportato fuori dal museo, senza vita, su una barella sporca del suo sangue.
Per un attimo si smette di raccontare la storia degli uomini e si racconta la storia di un cane.
E mi commuovo.
C’è un inconsapevole verita’ nascosta nella scaletta di un telegiornale.
Tutto e’ relativo quando si parla di uomini, ma tutto e’ così assoluto quando la vittima e’ un povero animale che dietro una maschera da poliziotto cela l’anima selvaggia della natura massacrata dall’arroganza e della stupidita’ umana.