Teresa mi disse di aspettarla in fondo alla strada


Teresa mi disse di aspettarla in fondo alla strada del seminario dove c’era una vecchia casa abbandonata che aveva una porta aperta sul lato che dava sul bosco.
A far ombra sulla casa c’era un enorme albero di nocciole abitato da una famiglia di scoiattoli che non avevano paura di nulla tranne che di un gatto color rame che non aveva ancora capito la differenza tra un topo e uno scoiattolo.
Quando Teresa arrivò verso il mare si erano addossate nuvole nere ed era facile prevedere che in pochi minuti sarebbe venuta giù tanta acqua.
Corremmo dentro la casa. Andammo in cucina, unica stanza che sembrava non pericolante.
Teresa tirò fuori dalla sua borsa di tela due panini al salame e due birre.
Le appoggiò su un tavolo di legno dove si potevano ancora contare gli anni dell’albero da cui era stato rubato.
Seduti su due sedie di vimini io e Teresa mangiammo parlando di cose che non ricordo.
Non c’erano i vetri alle finestre e il rumore della pioggia accompagnava i nostri discorsi.
Lei sapeva che l’amavo, io sapevo che mi amava.
Non c’era bisogno di altre domande o di altre risposte.
Bisogna avere il coraggio di accettare il fatto che la felicità è un eccezione, un attimo in un tempo lungo, un lampo in un pomeriggio di pioggia, il sogno perfetto in mille notti senza sogni.
Solo così alla felicità verrà riconosciuto il suo valore e non la si svenderà per due soldi.
Teresa mi baciò sulla bocca, e io cercai di ricordarne il sapore come si cerca di ricordare il gusto di un frutto estivo durante un inverno infinito.