Fu un infanzia bizzarra.

Fu un infanzia bizzarra.
I bambini imparano la paura col buio, con la favola del lupo o con il mistero del bosco e si rifugiano nelle braccia del padre.
Io avevo paura di mio padre e trovavo sollievo nel buio, nell’idea di essere parte di un branco protettivo di lupi o scappando nel bosco.
Era una prospettiva completamente diversa che mi faceva sentire strano.
Quando i miei compagni di scuola smisero di credere a Babbo natale io continuai a predicarne l’esistenza al costo di inventarmi di averlo spiato una notte mentre poneva i regali sotto l’albero.
Non ero stupido, sapevo che non esisteva ma non potevo sopportare lo svanire di una favola per avere in cambio una realtà fredda e incapace di far volare la mia fantasia.
Costruivo una tenda con le lenzuola fissandole alla spalliera del letto e mi nascondevo dal polverone delle parole dei grandi costruendomi un mondo protetto popolato da una tribù di personaggi fantastici con i quali parlavo raccontando la mia voglia di scappare.
La fuga è stata la mia ossessione di bambino.
La pianificavo sui banchi di scuola, il migliori orario per scappare, dove andare e come sopravvivere.
Mi scontravo sempre con la difficoltà nel gestire la mia condizione di bambino con la mia voglia di libertà.
Quanto ci avrebbero messo a trovarmi?
Chi non avrebbe notato un bambino vagare da solo per la città?
Che scuse avrei potuto inventare per giustificare la mia mancanza da scuola?
Ero in un vicolo cieco, spalle al muro.
Imprigionato in una età fragile e paradossalmente costretto a sopportare la noncuranza di chi avrebbe dovuto proteggermi.
Imparai a contare il tempo facendo esercizio sui giorni che mi separavano dal diventare grande.
Pensavo che a 10 anni sarei stato pronto ad affrontare il mondo da solo.
Ma a 10 anni dovetti arrendermi all’evidenza che era ancora troppo presto.
A 15 anni feci la mia prima fuga.
Me ne andai non sapendo dove andare.
Ma ricordo come fosse ora quella sensazione di libertà che mi invase il corpo e l’anima.
Fu come ritrovarsi di fronte alla scoperta di un filone di smeraldi dopo aver scavato per anni una miniera senza trovare nulla.
Assomigliavo a un inconsapevole marinaio che avesse scoperto il mare e mi resi conto che la libertà poteva rendermi schiavo del suo potere.
Tornai e scappai di nuovo tante di quelle volte che ne persi il conto al punto da avere il dubbio che ogni ritorno a casa non fosse altro che il cercare una nuova motivazione per fuggire.
Poi arrivò la libertà.
O quella che gli uomini chiamano libertà.
Un lavoro, dei soldi, una casa mia e un futuro rassicurante.
Durò qualche anno fino a che non sentii la frustrazione di essere prigioniero di una libertà convenzionale e condizionata adatta ad addomesticare gli uomini e a tenerne a freno gli istinti.
Mi ritrovai adulto e nuovamente prigioniero come un bambino nel grembo di un sistema di regole che dettano il percorso e ti precludono ogni genere di deviazione.
Soldato semplice di fronte a un Generale che senza spiegarti il perchè ti ordina di combattere per vincere una guerra di cui non te ne frega un cazzo.
E scappai di nuovo.
Questa volta senza nessuno che mi venisse a cercare.
Scappai da una porta aperta e mi inoltrai nell’incertezza di un mondo che ignora i fuggitivi troppo impegnato nel prendersi cura dei suoi prigionieri.
Oggi nulla è cambiato.
Sono ancora in fuga, ho attraversato il tempo cercando un rifugio dove fermarmi ed ogni volta che pensavo di averlo trovato ho fatto i conti con la noia e con l’istinto predatore che mi porta ad azzannare al collo la vita.
Non importa come andrà a finire, sono ancora in divenire e tutto quello che conta è lo scorrere del sangue nelle vene che si fa più impetuoso quando durante il viaggio non ci sono strade da seguire ma solo orizzonti verso cui cavalcare.

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