Se avessi ascoltato l’istinto avrei abbandonato lo zaino continuando il viaggio senza pesi sulle spalle.
Ma l’istinto non sa cosa portavo con me dentro lo zaino, lui semplicemente ne sentiva il peso e suggeriva di eliminare tutto ciò che è superfluo.
Eccedente rispetto al bisogno.
I tuoi occhi erano superflui e davano luce alla mia stanza.
Le tue mani erano superflue e davano valore alla mia pelle.
Il tuo corpo era superfluo ma dava un senso al mio.
Scalchiamo la definizione classica di “necessità” e rendiamo necessario tutto ciò che non è essenziale per sopravvivere ma è essenziale per dare un senso alla vita.
Educhiamo l’istinto a sottomettersi al piacere di vivere.
E come per magia mi sei apparsa come cibo, acqua, aria e spazio.
E lo sei stata fino al momento in cui hai deciso di cambiare vita andando a vivere dove fa sempre caldo.
Mi hai chiesto se volevo venire sapendo che non potevo.
L’essenziale se ne andò e rimase l’essenza.
L’essenza era dolore e solitudine, una palestra quotidiana per resistere al nulla.
Una sera in un bar sui Navigli ho incontrato Claudia e mi sono ritrovato a scherzare con me stesso su quanti tipi di cibo, aria e spazio ci fossero nel mondo.
Se avessi ascoltato l’istinto sarei fuggito mille volte e mille volte non avrei avuto tra le labbra quel sapore indimenticabile della vittoria e della sconfitta.
Penso a tutto questo guardando un cavallo solitario su una collina mangiare l’erba mentre all’orizzonte non c’è una nuvola e oggi avevano previsto pioggia.