L’uomo che non credeva in nulla

PREFAZIONE:
Mi dicono che le storie che scrivo sono troppo lunghe ed è una rottura di coglioni arrivare alla fine.
Ed è per questo che scriverò storie ancora più lunghe, a chi piace quello che scrivo non importerà la lunghezza, anzi ne sarà felice, a quelli che vogliono storie brevi consiglio un libro di aforismi.
Ed ora andiamo con la storia:
Non credo alla giustizia, non credo all’anima, non credo che su Marte ci sia stata vita, non credo a popolazioni aliene, non credo a Dio, non credo alle promesse di chi governa, non credo alla chiesa, a nessuna chiesa, non credo alla fede, non credo ai fantasmi, non credo a chi dice di saperne qualcosa di piu’, non credo che rimarra’ qualcosa, non credo all’arte, non credo al destino, non credo al natale, non credo alla resurrezione, non credo alla reicarnazione, non credo alla forza del pensiero, non credo alla forza di volonta’, non credo a nulla.
E rimango qua’ con la moto parcheggiata sul ciglio della strada a sciacquarmi la faccia mangiando una mela rubata in un campo qua’ vicino. Sono l’uomo che non crede a nulla e tutti mi temono. Nessuno mi parla. Vogliono tutti mantenersi ancorati alle loro certezze.
Vogliono tutti continuare a guardare il cielo e pensare che le stelle siano punti luminosi, ed il sole una bella sfera calda e le nuvole macchie di bianco, vogliono continuare a pensare che l’azzurro sia azzurro, il rosso rosso ed il nero il colore piu’ scuro che ci sia.
Ed io mangio lasciando da parte solo i semi della mela che finiscono qua’ ai miei piedi ad un metro da questo fiume con l’acqua pulita.
Mentre attorno gli uccellini cantano ed il verde trionfa. Quel verde che forse non e’ verde.
Da quando non credo ho smesso di pormi il problema, il problema di avere certezze.
Tutto e’ cosi’ palesemente falso che mi sembra fin troppo facile smascherare tutte le bugie.
Non credo ai miei occhi ma mi adeguo a loro, non credo alle vostre parole ma mi adeguo al loro significato, non credo alla vita ma vivo.
Mio malgrado. Circondato da figli di puttana.
Me ne sono accorto solo ora. Sono in trappola.
Non posso tornare.
Devo aspettare il tramonto con la testa appoggiata alla ruota anteriore della mia moto pensando a tutto il viaggio e alla strada che mi rimane da fare.
Non faccio piu’ l’amore, non amo, parlo ma non scambio opinioni, sorrido ma non sono felice, vivo meravigliandomi di questo corpo, delle braccia, delle gambe, delle mani, della testa e del cervello.
Mi hanno annullato costringendomi a stare sveglio per tre anni di fila.
Piantandomi spilli sotto i piedi ogni volta che gli occhi mi si chiudevano.
Ma la stanchezza non uccide, la stanchezza consuma.
E l’uomo consumato non muore ma si lascia morire.
Io conosco i sorrisi delle persone, conosco i giudizi ed i pregiudizi, conosco tutte le loro facce, conosco le risate, i commenti, conosco ma quaggiu’ tutto sembra cosi’ distante che l’unico rumore che sento e’ quello dell’acqua che se ne va. Non e’ la paura che mi fa paura, e’ l’incertezza, il lento, inesorabile avvicinarsi della consapevolezza totale.
Ho un disperato bisogno di fuggire.
Devo andarmente, tornare laggiu’, voglio essere riconosciuto dall’aria e non dalle persone.
Passo molto tempo a guardarmi attorno cercando di trovare una spiegazione, ma lo so, lo so, lo so che non la trovero’ mai.
Il motore della moto e’ ancora caldo, appoggio la mia mano su di lui e mi scaldo il palmo.
Appoggio il palmo della mano bollente sul mio collo.
Loro dove sono. Tutte le labbra che mi hanno baciato. Tutte le braccia che mi hanno abbracciato. Tutte le mani che mi hanno accarezzato. Ora dove sono. Tutto finito. Cosa rimane di quegli spostamenti d’aria, nemmeno un ricordo.
L’uomo beve quest’acqua che forse non e’ buona, ma e’ pur sempre acqua.
Solo come un bastardo, forse bastardo.
Se mi guardo allo specchio vedo solo i miei occhi, ed i miei occhi guardano se stessi, incredulo chi guarda e chi viene guardato. Due persone una di fronte all’altra. L’io vero che dice all’io specchiato: “Che cazzo ci facciamo qui?”
Fiori, e api, mosconi, vermi con la testa piantata nella terra, serpenti, grilli, pietre, fango, erba. Migliaia, centinaia di migliaia di fili d’erba.
La mia testa che disegna la sua impronta sul prato, la mia mano che nasconde il sole agli occhi, l’attesa e la noia.
E’ ora di andare.
Il motore della moto si e’ raffreddato.
Non so dove andro’, so che andro’.
Solo come un bastardo che non ha capito quello che si dovrebbe capire: per vivere ci vuole un libretto di manutenzione in tasca.
Quel libretto che usai per accendere il fuoco una notte in cui il freddo si stava facendo insopportabile.
Guido Prussia

Il Viaggiatore

Avete anche voi visioni di luoghi e situazioni diverse da quelle in cui vi trovate?
Se la risposta e’ affermativa certamente vi ritroverete a fare i conti con un senso di non-appartenenza alla realta’ per sentirvi invece appartenere a un non-luogo della fantasia.
Le domande si affacciano come donne che sporgono i loro corpi dal condominio per appendere i panni ad asciugare.
E voi li ad osservarle chiedendovi quale vita nasconda ognuno di quei volti.
A fottere sono le certezze mai i dubbi.
Nei dubbi si nuota nelle certezze si annega.