Lui

E’ vero.
E’ burbero.
Ma non con me.
E lo considero un privilegio.
Sapete ieri mi è venuta in mente una cosa.
Pensavo ad una chitarra e al suo destino.
Una volta arrivata in negozio chiunque può comperarla.
Può finire nelle mani di Eric Clapton o nelle zampe di un chitarrista incapace che dopo aver improvvisato due giri di do l’abbandona in cantina, o peggio ancora può essere acquistata dal chitarrista di una banda polacca che sa suonare solo mazurche.
Lo stesso accade a noi cani.
Quando nasciamo non sappiamo con chi passeremo il resto della nostra vita.
Potevo finire in una famiglia con due piccoli mocciosi che giocavano con me due settimane e poi si rompevano le palle, o magari diventare il compagno di vita di un artista depresso che mi accarezza piangendo parlandomi di un amore finito, o forse potevo essere il regalo di un imprenditore alla sua amante che rassegnata al fatto che le pellicce non vanno piu’ di moda si consola accarezzandomi il pelo.
O invece…
O invece potevo finire col diventare il compagno di viaggio di un tizio strano che quando mi vide penso’ non fossi quello giusto perché ero troppo calmo e poi…
E poi dopo aver visto quanto casino facevano i miei fratelli decise di prendere me.
Mettiamo in chiaro una cosa.
Io facevo finta ad essere calmo.
Me ne stavo rintanato sull’angolo del divano perché conosco gli umani.
Se sono nevrotici scelgono cani nevrotici, se sono calmi desiderano cuccioli calmi.
E io volevo un padrone poco nervoso.
Anche perché sapevo che non avrei potuto trattenere subito la pipi’ per tutta la notte, e so che a volte, quando mi prendono i cinque minuti mi piace mangiucchiare qualcosa di proibito.
Conoscendo i miei difetti di cane e volendo evitare le botte desideravo un compagno di vita pacifico.
A dire il vero la prima impressione non è stata delle migliori.
Aveva un cappello da cowboy che mi ha lasciato perplesso e poi voleva a tutti i costi prendermi in braccio quando io odio dare confidenze agli sconosciuti.
Pero’ mi ha scelto.
Noi cani abbiamo molte cose in comune con gli umani.
La prima è che non siamo noi a sceglierci il nostro nome.
Ero terrorizzato.
Potevo diventare un Fuffi, un Bibo’, un Pippo o un Biscotto per fortuna sono Jackson.
Il mio nome ha una storia, se lo dividete in due diventa Jack Son.
Figlio di Jack.
E Jack era il cane che lui aveva prima di me.
Io so che lo amava moltissimo, lo so perchè quando mi guarda a volte è come se cercasse lui.
E l’ho visto piangere guardando una sua fotografia.
E quindi io sono Jack Son.
Il figlio di Jack.
E’ crudele pensarlo, ma se io e lui ora siamo insieme è perché Jack non c’è piu’.
E poi Jackson è anche il nome di una città del Wyoming dove lui Jack e Baby hanno vissuto tre mesi facendo meravigliose camminate sul dorso di una montagna.
Ed arrivati sulla cima si sedevano a guardare un immensa prateria piena di bisonti.
Mi ha raccontato tutto proprio la Baby.
Chi è Baby?
Baby è Baby.
Baby è la “staffina” che quando mi ha visto arrivare non mi ha degnato nemmeno di uno sguardo.
E ogni volta che io mi avvicinavo a lei lui le urlava: Baby, FAI LA BRAVA!
E lei abbassava lo sguardo e se ne andava, era chiaro che mi vedeva come un intruso, e detto fra noi lei pensava ancora a Jack e non era disposta a scambiare il suo amore per Jack per un affetto imposto verso di me.
Insomma me la sono dovuta conquistare, giorno per giorno.
Mordendole la coda, morsicchiandole le orecchie e dormendo per terra lasciando a lei il privilegio di dormire da sola sul letto.
Lei è troppo anziana per viaggiare, per questo on the road ci sono solo io.
A proposito sono appena arrivato a Los Angeles attraversando tutta l’America.
Siamo partiti da New York, città assurda.
Sono stato costretto a fare pipi sull’asfalto per due giorni.
Nemmeno un centimetro quadrato di erba.
E puzzavo di metropoli.
Un cane che puzza di metropoli è un paradosso olfattivo.
Io voglio puzzare di cane non di città.
Quindi quando ce ne siamo andati ero felice come un cucciolo di fronte ad una vita di avventure.

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