Volavo sotto le gradinate del palasport la sera del 17 Dicembre 1980 mentre Francesco Guccini cantava l’avvelenata e io trovai il coraggio di baciarti per la prima volta.
Eri la mia prima ragazza.
Non sapevo nulla, ero cosi’ ignorante che la prima volta che vidi il tuo seno rimasi cosi’ stupito dalla sua bellezza che quasi mi convinsi dell’esistenza di un Dio perfezionista.
Abitavi nella via piu’ ripida di Genova, naturalmente l’ultima casa in cima sulla sinistra, arrivavo a piedi con il fiatone.
Stavi al settimo piano.
L’ascensore faceva quei sette piani con una lentezza esasperante, poi tua madre mi apriva e mi diceva:
“Alessandra ti aspetta in camera. Non chiudetevi dentro.”
“Va bene signora.” Rispondevo.
Meno male che tuo padre era comandante su qualche nave e non c’era mai.
Sempre pensato fosse piu’ facile addolcire una madre che un padre.
Ti conquistai con un atto di teppismo.
Eravamo in una scuola di recupero che ci costringeva al doposcuola, tu non avevi voglia di farti quel pomeriggio a scuola e io ti promisi che non l’avresti fatto.
Presi della carta igienica e tappai il buco dei lavabi dei bagni e poi aprii i rubinetti.
Mezz’ora dopo la scuola era allagata e ci fecero tornare a casa.
La prima cosa che tu mi dicesti fu:
“Sei un pazzo.”
La seconda cosa:
“Andiamo a vedere Guccini?”
Ne io ne te avevamo mai fatto l’amore.
Ci addestrammo per qualche mese sfiorandoci e toccandoci.
L’occasione della prima volta arrivo’ quando tu rubasti le chiavi della tua casa di campagna.
Si trovava in una piccola frazione di Busalla chiamata Vaccarezza, il modo migliore per arrivarci era prendere il trenino Genova- Casella.
Quando arrivammo c’era un temporale.
Sedevamo in cucina con la finestra aperta quando un lampo entrò dalla finestra e si scarico su una pentola di rame attaccata al soffitto.
Fece un botto tremendo e ci rifugiammo in camera da letto.
Ci spogliammo e per la prima volta ci ritrovammo nudi sotto le coperte in un letto.
E facemmo l’amore scoprendo insieme il significato del verbo “fare l’amore”.
A te dava fastidio che io fossi di origini borghesi, da buona teen ager rivoluzionaria provavi dei sensi di colpa a stare con un “figlio di papa’”, poi ti addolcivi quando capivi che erano piu’ i giorni in cui scappavo di casa di quelli in cui tornavo.
I nostri luoghi preferiti erano i giardini di plastica, la panda di tua sorella che lei lasciava sempre aperta, i treni che portavano in riviera e una serra di cui avevamo le chiavi e potevamo chiuderci dentro senza che nessuno venisse a rompere i coglioni.
Poi venne l’estate.
Io venni a trovarti a Vaccarezza prima di andare a Berceto dove avrei passato luglio e agosto.
Due mesi senza vederci. Era una tragedia.
Ti salutai e tu mi presentasti i tuoi amici della campagna tra cui un tipo sulla trentina con capelli rossi e una barba rossa che sembrava uscito da una foto segnaletica.
Ci telefonavamo quando era possibile.
Tu mi scrivesti lettere in cui mi giuravi che non vedevi l’ora di rivedermi.
Poi a settembre ci ritrovammo, ero cosi’ felice che pensai di ridefinire il significato di felicità.
E qualche minuto dopo ero cosi’ triste che ridefinii il concetto di tristezza.
Ti eri fidanzata col tipo con la barba rossa, io ti chiesi come facevi a stare con un vecchio di trent’anni.
Tu rispondesti che lui aveva una coscienza di classe che io non avrei mai avuto.
“Coscienza di classe”. Non ho mai capito cosa cazzo volesse dire.
Passai il pomeriggio chiuso in bagno, sdraiato vestito nella vasca a piangere.
Ed è cosi’ che finì il primo amore della mia vita.
Convinto che fosse il primo e l’ultimo.
Ieri con la testa di oggi avrei ceduto a Marta che quell’estate mi chiese di fidanzarmi con lei, e alla quale dissi di no per rimanerti fedele.
Ieri con la testa di oggi avrei capito subito che quello stronzo con la barba avrebbe usato il suo aspetto da rivoluzionario per portarti a letto.
Ieri con la testa di oggi non appena tu mi avresti parlato di “coscienza di classe” sarebbe partito un vaffanculo a te e alla coscienza di classe.
Ieri con la testa di oggi di fronte al tuo seno meraviglioso sarei rimasto ugualmente stupito dubitando ancora dell’inesistenza di Dio.
Non mi manca l’essere giovane, mi manca quella voglia che avevo di sfidare chiunque provasse a convincermi che la vita era un gioco per adulti dove le regole servivano solo e indebolire chi fosse stato cosi’ stupido da volerle seguire.