Era l’Alabama e faceva freddo.
C’era da arrivare dall’altra parte nonostante la neve.
Ogni sera si cambiava stanza ed ogni stanza aveva un odore, un colore, una porta e mille storie.
Mi sdraiavo sul letto vestito e si fissavo il muro cercando le ombre del tempo passato e del tempo che verrà.
Bastava credere ai fantasmi per ritrovarsi a parlare da soli chiedendosi quanta strada bisognava fare per sentirsi davvero arrivati a destinazione.
Una voce dentro ti rispondeva che non esiste una destinazione, si gira in circolo come indiani intorno a un fuoco.
E il fuoco siamo noi.
Fino a quando esausto ti appoggi sulle ginocchia e guardi il cielo esplodere di acqua e il fuoco si spegne.
I capelli si bagnano.
Le impronte diventano minuscole vasche di fango.
E la vita si perde in un rigagnolo che cerca il fiume.
Di tutto questo vivere ti rimane il mistero irrisolvibile di quale fiore crescerà bagnato dalle tue lacrime, dalle tue speranze, dalle tuo sconfitte e dai tuoi dubbi.
Era la stanza numero 51 e al mattino guardai fuori dalla finestra.
Nella notte era caduta la neve e sulla finestra c’erano gocce di ghiaccio che il freddo aveva salvato dal precipizio.
Presi la valigia e prima di uscire salutai l’ombra sul muro e lei mi rispose: arrivederci…
Fu la cosa che mi diede piu’ speranza nel pensare che il tempo avesse un andata e un ritorno, insomma, un senso.