Una storia per voi

Una storia per voi.
C’è il fumo della sigaretta che avvolge il suo volto, un attimo, e il fumo scompare.
Qualche secondo, un altro tiro e il fumo lo avvolge di nuovo.
Sta fumando di gusto, ogni boccata da un piacere strano.
Non e’ solo il sapore del tabacco, e il senso ritmico della vita, ritmo lento.
Apre il tetto della macchina e si concentra su quel grigio fumoso che sale verso il cielo.
La musica che esce da un amplificatore portatile e una bottiglia d’acqua per pulirsi la bocca.
Lei e’ li di fianco che lo guarda e non dice una parola.
C’è un silenzio che dura una playlist, il nome della playlist e’ “Quello che piace a me.”
Poi Lei si gira e dice: Me la rimetti?
Quale? Chiede Lui.
Quella dei Rem.
Poi lo guarda e sussurra: Te la dedico.
Num 13 della compilation. 
Play. 
Everybody hurts. 
Capisci le parole? Chiede Lei.
Non tutte.
Ascolta, e io te le traduco.
Con una voce sottile parla sulla canzone ripetendo ogni frase tradotta in italiano.
Quando il giorno è lungo e la notte 
La notte è tutta tua
Quando sei sicuro di averne avuto abbastanza 
Di questa vita, beh, stringi i denti
Non lasciarti andare Tutti piangono
E tutti stanno male a volte 
A volte è tutto sbagliato 
Adesso è il momento di cantare insieme
Quando il tuo giorno è solo notte, tieni duro, tieni duro
Se ti sembra di star mollando, tieni duro
Quando pensi di averne avuto abbastanza 
Di questa vita, beh, stringi i denti
Tutti stanno male
Approfitta dei tuoi amici
Tutti stanno male 
Non mollare la presa, oh no
Non mollare la presa 
Se ti senti come se fossi solo 
No, no, no, non sei solo
Se te la cavi da solo in questa vita
I giorni e le notti sono lunghe
Quando sei sicuro di averne avuto abbastanza
Di questa vita per stringere i denti 
Beh, tutti stanno male a volte
Tutti piangono E tutti stanno male a volte
Quindi tieni duro, tieni duro
Tutti stanno male
Non sei da solo.

Quando finisce la canzone il silenzio si impadronisce della scena.
Momenti in cui Lui e Lei guardano davanti verso una strada vuota.
Lui sta pensando a quando attraverso’ il Texas e il
New Mexico in moto sotto la neve, faceva molto freddo, si era coperto bene ma fece un errore. 
Decise di fermarsi a meta’ del viaggio per fumarsi una sigaretta e si tolse il casco.
Si bagno’ la testa. 
Poi rimise il casco e si rimise in viaggio.
Qualche chilometro dopo senti’ i brividi di freddo invadergli il corpo.
La neve cadeva fitta e si attaccava alle scarpe i piedi erano ghiacciati.
Era buio. Doveva arrivare a Santa Fe. Non poteva fermarsi, attorno non c’era nulla.
Comincio’ a respirare in maniera ritmica. Inspirare ed espirare concentrandosi sul movimento dello sterno.
Dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori.
Le mani erano ghiacciate, tenere l’acceleratore tirato era un dolore continuo.
Dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori. Non si sentiva piu’ le dita dei piedi e le formiche sembravano invadergli la testa.
Dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori. Non ce la faccio…non ce la faccio…
Dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori. Non ce la faccio …., no ce la….,n ce la….., ce la faccio….
Ce la faccio….ce la devo fare….Ce la faccio…. E arrivano le luci della citta’ in lontananza. Non appena le vede non sente piu’ nulla.
Ne freddo, ne caldo, solo una forza dentro che bilancia temperatura e fatica.
La potenza del traguardo intravisto, la fine del dubbio, il traguardo e’ laggiu’ e fino la ci arrivo. Cazzo se ci arrivo.

Lei sta pensando alla sua mattinata in tribunale e firmare la causa di separazione da suo marito.
La sera prima pensava di non farcela. Dieci anni di vita insieme cancellati da una firma.
Le scale del tribunale, l’attesa. Non ce la faccio, non ce la faccio. 
Poi arrivano gli avvocati e lui.
Si salutano con un sorriso. Nessun rancore, e’ solo la fine di un amore.
Non ce la faccio, non ce la faccio.
Poi una voce chiama. Tocca a voi.
La stanza e’ squallida, come deve esserlo la stanza che sancisce la fine di qualcosa.
Il giudice la chiama. 
Firma leggibile mi raccomando.
Non ce la faccio. Non ce la faccio.
La mano sul foglio. Dove devo firmare?
Datemi ancora un secondo, un secondo di illusione.
Firmi li’. Su quella riga.
Non ce la faccio…, no ce la faccio…n ce la faccio… Ce la faccio…ce la devo fare…ce la faccio
E sul foglio appare se stessa, se stessa in uno scarabocchio, il traguardo e la ripartenza sanciti da un milligrammo di inchiostro nero.
Lui e Lei in quella macchina in quella sera di Febbraio a rivivere la confusione che c’è tra un inizio e una fine.

Era da tempo che non si vedevano, mesi, forse un anno, e il caso e le circostanze li avevano riportati li’, a pochi centimetri di distanza.
Sai cosa mi piace di te? Disse Lei.
Cosa?
Mi piace che sei come un albero. 
E sai cosa mi piace degli alberi? 
Che stanno li’. 
Con le radici nel terreno. 
E io so che quando ho bisogno di appoggiarmi o di trovare un riparo, o dell’ombra, io so che sei li’. 
Come un albero. 
Strano. 
Con tutti i viaggi che hai fatto, nonostante la tua vita in movimento, io ti vedo cosi’.
Ma se non sto fermo un attimo. Disse Lui.
Scrolli i tuoi rami, muovi le tue foglie, ti lasci facilmente piegare dal vento ma rimani li’. 
Sei un albero.
Lui rimase perplesso. Un albero?
Poi ripenso’ a quel viaggio verso Santa Fe’.
Era in movimento, ma in realta’ riuscì ad arrivare dove voleva perché’ era immobile.
Immobile su quella moto che si muoveva.
Lei si muoveva, non lui.
Lui strinse le mani sul manubrio ed erano radici piantate nel terreno. 
Teneva i piedi fissi sulla pedaliera, ed erano radici piantate nel terreno. 
Persino il suo sguardo sulla strada era una radice. 
Non ci avevo mai pensato. Le disse.
Lo so. Rispose Lei.
Sai cosa mi piace di te? Disse Lui.
Dimmi.
Mi piace di te che fai sentire quest’albero vivo, quando ti appoggi per riposarti o quando cerchi dell’ombra sotto i miei rami. 
Cosi’ io capisco di avere un motivo di essere li’. 
Di essere. 
Sai noi alberi a volte abbiamo quest’idea di essere inutili. 
Certo a volte possono pisciare contro il nostro tronco e siamo perfetti per marcare il territorio. 
Ma questo non e’ quello che gli alberi sognano.
Lei si avvicino’. Gli prese la mano.
Poi disse.
Mi e’ venuta in mente una cosa.
Cosa? Chiese Lui.
Avevo cinque anni, ero in campagna, in giardino c’era un albero di noce, decisi di scalarlo.
Un ramo dopo l’altro, sempre piu’ in alto. 
Arrivai in cima. 
Non dimentichero’ mai quel giorno. 
Era la prima volta in vita mia che vedevo il mondo dall’alto. Era la prima volta che i particolari mi sembrarono cosi’ piccoli e il mondo mi apparve cosi’ grande. 
Ero troppo piccola per dare un significato a quella sensazione ma col tempo il significato venne fuori. E’ inutile che te lo spieghi vero?
Si. E’ inutile. Perche’ lo sappiamo. 
Ci fumiamo l’ultima sigaretta?
C’è il fumo della sigaretta che avvolge il loro volto, un attimo, e il fumo scompare.
Qualche secondo, un altro tiro e il fumo li avvolge di nuovo.
Stanno fumando di gusto, ogni boccata da un piacere strano.
Non e’ solo il sapore del tabacco, e il senso ritmico della vita, ritmo lento che passa veloce.
Troppo veloce.

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