Non rompermi il cazzo

Non rompermi il cazzo.
Non vedi che sto sognando.
Sono sulla strada, direzione Monowi, Nebraska.
Popolazione: 1
Con me diventeranno 2.
Dicono che l’unica abitante si chiami Anne Sexton e scriva poesie.
Ho portato la chitarra.
Potrei musicarle.
Il resto non mi interessa.
Fondamentalmente spero solo di vederla con la bocca sporca di latte e gli occhi fissi a scrutare un ferro di cavallo per decidere se è il momento di cambiarlo o no.
Qualunque cosa decida l’amerò.

come un ape intrappolata

mi sentivo come un ape intrappolata all’interno di un bicchiere di birra che osserva al di la del vetro lo sguardo cinico e rabbioso di una donna di mezza età che non si capacità di come sia possibile che l’uomo della sua vita si scopi da anni un altra donna e il povero cristo di fronte a lei non trova parole consolatorie consapevole del fatto che lui l’avrebbe mandata a fare in culo molto prima di quanto non abbia fatto l’altro perchè fondamentalmente le coppie hanno questo piacere di ingannarsi riuscendo ad unire sadismo e masochismo come se il fine ultimo di un amore sbagliato sia quello di avere la soddisfazione di lamentarsi mentre noi solitari veleggiamo sulle nostre barchette a vela verso isole remote con l’unica consolazione di una vela, del vento e della consapevolezza di essere inattaccabili dalle menzogne e ogni tanto ci scappa anche qualche scopata come fosse una breve tempesta che poi se ne va e finalmente torna la bonaccia il mare calmo e una navigazione tranquilla verso l’ignoto

Kimimela

Kimimela sapeva poche cose.
E quelle poche gliele aveva insegnate suo nonno Tika.
Sapeva che l’amore non deve fare male.
Sapeva che lei era un fiore e la felicità una farfalla.
Sapeva che doveva diffidare da chi ostenta ricchezza perchè avrebbe cercato di comperarla.
Ma sopratutto sapeva che l’uomo di cui era giusto innamorarsi doveva infiammargli il cuore con la sua bellezza e aprirgli il cervello con la sua saggezza.
E non avrebbe accettato compromessi.
Kimimela, ragazza Lakota, viveva di cose semplici, suonava un flauto e disegnava sulla terra.
Visse fino a 92 anni, si innamorò una volta e durò per tutta la vita, e prima di andarsene schiuse le mani e disse: “Vola via farfalla, cerca un altro fiore, per me è venuto il tempo di capire dove vanno le aquile quando scompaiono dietro la montagna.”
Fuori dalla camera d’ospedale la figlia della nipote di Kimmela abbracciata al suo fidanzato panzone si faceva un selfie mostrando le dita in segno di vittoria, tutti e due pieni di brufoli e birra convinti che l’unica cosa degna di essere condivisa sia una sfacciata idiozia.

non

Non farti addomesticare mai.
Non cedere alla tentazione della ciotola di cibo quotidiana.
Non lasciarti tentare dalle false carezze.
Non credere alla comodità delle regole prestabilite.
Non farti convincere che il guinzaglio serva ad evitare incidenti.
Non farti addomesticare mai.
Rimani selvatica come sei.
Siamo due animali cresciuti nella tribù degli umani.
Ma noi sappiamo che quando siamo da soli tu miagoli ed io rispondo ruggendo alla luna.
Non ci siamo fatti addomesticare mai e ci siamo riconosciuti e trovati seguendo le nostre orme nel deserto.

Conosciamo la strada

Conosciamo la strada.
Salita, discesa, ancora salita e poi discesa fino a casa.
Conosciamo le piante, il luogo dei fiori e dove si trova il cavallo.
Come se fosse una vita da percorrere in fretta un milione di volte.
Ogni volta è diverso grazie ai dettagli che ogni giorno cambiano.
Sono le piccole pietre, i rami che crescono o i fiori recisi a rendere nuovo le stesso percorso.
Come il fiume che conosce una sola via ma cambia colore a seconda delle foglie che trasporta al mare.
Si perde la vita chi avendolo visto una volta sola pensa di averlo conosciuto senza aver capito che si può trasformare.
È percorrere mille volte la stessa strada che ti insegna che per quanto impari avrai sempre da imparare.

Paula

Paula cantava una canzone irlandese ed io l’ascoltavo con la testa appoggiata su un cuscino che profumava di ginepro e salvia.
Il tedesco raccontò di quando prese a martellate il muro insistendo sulla convinzione che non sono le ideologie ad essere brutali ma sono gli uomini che se ne servono per giustificare il loro amore per l’odio.
Love for hate.
Amore per l’odio.
Alzai la testa dal cuscino per scrollarmi dai pensieri quel paradosso ipnotico e quando Paula smise di suonare le chiesi di accompagnarmi alla piccola chiesa bianca ortodossa di San Nicola a Molos.
Andammo col motorino, lei con la chitarra sulla spalla e io con una mano sul manubrio e l’altra sul suo ginocchio.
Arrivammo che la chiesa era illuminata da un quarto di luna.
Ci sedemmo sui gradini.
Le dissi che invertendo i fattori il significato non cambiava.
Lei non capiva.
Le dissi che avevo l’impressione che l’amore per l’odio e l’odio per l’amore si nutrissero a vicenda.
Lei prese la chitarra e ne tirò fuori una canzone improvvisata.
Love for Hate
hides your desire to be loved
hatred for love
show your desire to be loved
Camminammo fino al piccolo ristorante chiuso, ci sedemmo a un tavolo mentre il vento sollevava le tovaglie di cartone, da uno zaino tirai fuori due birre e una piccola scatoletta rossa che conteneva dell’erba.
Fumammo e bevemmo sotto un portico d’uva.
Io le raccontai di quando vidi per la prima volta degli indiani in una Riserva Navajo, lei mi raccontò di quando vide per la prima volta la neve durante un viaggio in Russia.
E fu un susseguirsi di prime volte raccontate come fosse l’ultima occasione per farlo.
Restammo svegli fino all’alba che ordinò al vento di calmarsi.
Il sole sembrava un occhio spuntato per spiare il nostro sonno su una spiaggia deserta.
Un ragazzo, una ragazza, una chitarra, uno zaino, e una nuova prima volta da potersi raccontare.

Il gol più bello

Il gol più bello della mia vita lo feci senza volerlo.
Ma questo non tolse un grammo al peso della mia gioia.
L’amore più grande lo incontrai grazie a una serie fortunata di combinazioni.
E i viaggi migliori non sono mai stati organizzati.
Per questo ho deciso da tempo di affidarmi al caso, lasciando che gli Dei decidano sul mio destino.
Ho fiducia nell’eternità come una piuma ha fiducia nel vento.
Ora è tempo di andare a dormire, e prima di addormentarmi so già che penserò alla foto sul comodino chiedendo al Grande Spirito di prendersi cura di te che ti sei presa cura di me quando nessuno era in grado di farlo.

Cara

Ti scrivo queste poche righe consapevole del valore che dai al tempo.
Voglio che tu sappia che me ne sono andato guardando un orizzonte e non un muro.
Voglio che tu sappia che la notte ha smesso di farmi paura da quando ad occhi chiusi vedo te.
Voglio che tu sappia che non ho nulla da lasciarti se non una miriade di oggetti raccolti durante mille viaggi.
Ogni oggetto racconta una storia ed ogni storia è una moneta d’oro che potrai spendere al mercato dei sogni avverati.
Se potessi esaudire un ultimo desiderio chiederei di saper volare per farti un ultima sorpresa mostrandomi capace di virate e incredibili e atterraggi perfetti.
Ora vado.
Ricordati della pietra che ti regalai.
Ha un potere speciale.
Ricorda a chi la mette in tasca di avere una tasca.
Un giorno capirai cosa vuol dire.
Addio amore mio

L’ignorante ti fotte

L’ignorante ti fotte.
La cultura impone un comportamento etico che gli ignoranti ignorano e ignorandolo ti fottono.
La poesia della bandiera bianca si erge altissima mentre alla base del pennone i coglioni che non si sono arresi ancora combattono per riempirsi le tasche di un tesoro fatto di monete false.
Mi sono ubriacato di spazio, mi sono drogato sniffando il profumo delle sue cosce e ho conosciuto cosi’ bene l’amore che è diventato impossibile fingere a me stesso che sia ancora amore.
La vita è un gioco di prestigio cosi’ perfetto che non mi sorprenderei nello scoprire che il trucco sia cosi’ banale da non averci mai pensato pur avendolo davanti agli occhi.
Nel susseguirsi dei giorni oltrepasso ogni giorno la stessa ombra sulla meridiana confondendo il tempo come i bambini confondono le biglie.
Mi affascina la fine come elemento essenziale di qualsiasi storia, osservo la fine come si osserva una bellissima donna straniera che parlando una lingua sconosciuta cerco di conquistare a gesti.
Immaginando che l’ultima parola del libro sia lasciata a metà per non darle la soddisfazione di lasciarmi dopo avermi avuto.

Non sono complice

Non sono complice di questa decadenza, io non c’entro.
Sono fermo al tempo delle battaglie per la libertà, bloccato con il naso contro il vetro dell’autobus guardando la strada scorrere e portarmi lontano da lei.
Sono immobile di fronte al letto dove abbiamo fatto l’amore e dove ti guardai ore mentre dormivi cercando di indirizzare i tuoi sogni verso un futuro insieme.
No, io non c’entro con la ricerca della scopata veloce, non cedo spazio nel letto in cambio di un orgasmo, me ne fotto della libidine, io sono fermo alla mia mano nei suoi capelli e il mio naso sul suo collo nel tentativo impossibile di catturare per sempre il suo odore.
Pensate che io sia qua, ma io non ci sono, sono altrove, lontano dal tentativo di piacervi, distante dalla ricerca di una comprensione, malinconico nel ricordo delle emozioni che come incantesimi ti regalavano un senso e quel senso era amarsi.
Vi lascio al vostro scambiarvi foto, vi abbandono all’attesa del riscontro positivo, vi osservo cercatrici forsennate di amore perdervi tra le braccia di piccoli ominidi idioti che nutrono il loro ego con le vostre insicurezze.
Io appartengo al tempo delle fughe di casa, al tempo dei gettoni che non bastavano mai per dirti tutto quello che avrei voluto dirti, appartengo ai giorni degli appuntamenti presi da una settimana all’altra nella certezza che lei sarebbe venuta.
Era il tempo dove un nome diventava una formula magica che ti donava la felicità, bastava pensarlo per vedere i suoi occhi e sentire la sua voce.
Nessuna confusione, solo l’essenza dell’amore, nulla a che vedere con questi sentimenti diluiti e corrotti dalla paura di rimanere soli.
Io rimango la, su quell’ascensore che mi portava al settimo piano dove sua madre mi apriva la porta e lei mi aspettava in camera sua.
Chiudevamo la porta a chiave per poterci baciare.
Poi tornavo a casa annusandomi il maglione che sapeva di te.
E tutto il resto era solo una cornice distratta alla nostra felicità.