Avevo un amico che passava il confine

Avevo un amico che passava il confine solo per uccidere più messicani che poteva.
Li odiava dal giorno in cui i messicani gli uccisero la moglie e i figli.
Un giorno di fronte a una bottiglia di acqua gasata mi disse che ne aveva fatti fuori almeno 700 e non si sentiva ancora soddisfatto.
Gli chiesi se tra quei 700 ci fossero stati anche gli assassini della sua famiglia.
Mi disse che non lo sapeva, ma la cosa non aveva importanza.
Erano messicani.
Poi divertendosi a sorseggiare bollicine mi si avvicinò e mi disse:
“Molti pensano che la vendetta sia una cosa ingiusta. Fidati di me, chi lo dice non è mai stato toccato nelle cose che ama di più. Se lo fosse stato avrebbe imparato che la vendetta è l’unica medicina che elimina il dolore della rabbia. Non guarisce, ma mi permette di andare avanti senza sentire il peso di quella catena che mi lega all’attimo in cui entrando nella tenda vidi i corpi dilaniati delle persone che amavo di più al mondo.”
Gli dissi che non tutti i messicani erano colpevoli di ciò che aveva fatto una banda di pochi messicani.
Mi afferrò il pizzetto e me lo tirò verso il basso facendomi male, mise la sua bocca a due centimetri dal mio naso e mi disse:
“Se un lupo mangiasse tua figlia e tu ne trovassi i resti dove la sera prima gli hai augurato la buonanotte tu, uomo moderno e civilizzato, saresti condannato per tutta la vita ad odiare ogni lupo che incontri e a desiderarne la morte.
E lo stesso fa il lupo quando trova i suoi cuccioli uccisi da un uomo.
Passerà tutta la vita a cacciare quelli come noi, trovando pace solo nel sapore del nostro sangue tra le sue fauci.
Solo che… solo che mi auguro tu non possa mai capire quanta ragione ho nel dirti quel che ti dico.”
Ordinammo un altra bottiglia di acqua minerale e ci fumammo del tabacco fino al momento dell’alba.
Io feci per andare verso la mia casa con gli spigoli lui fece per andare verso la sua casa rotonda ma si girò di scatto e mi chiese:
“Hai voglia di venire con me a caccia di messicani?”
Ci pensai un attimo e poi, non chiedetemi perché, gli dissi di sì.
E credetemi, non me ne sono mai pentito.

Divano e cuffie

Divano e cuffie.
Johnny Cash canta Hurt.
Poi magari mi riguardo i Goonies.
Sul comodino del letto ho un libro di Steinbeck e uno di Henry Miller.
Non ho mai il tempo di pensare alle cazzate su cui non ho nessun potere decisionale.
Ho abbastanza empatia per non farmi scivolare addosso la sofferenza altrui immaginando come sarebbe la vita se fossi io a dover sopportare quella sofferenza.
Ho della vita la stessa considerazione che il ragno ha della sua ragnatela e osservo con orrore tutti gli umani ossessionati dall’ordine che girano nevrotici con delle scope cercando di ripulire gli angoli nascosti.
Non credo a nulla che non sia capace di esprimere sensibilità, non mi lascio trascinare dalle correnti conoscendone l’indole incerta sul percorso da intraprendere.
Sono stupefatto dalla bellezza elegante e svestita degli animali al confronto con la bruttezza e la goffaggine di umani che girano firmati.
Nessun lupo giudicherà un altro lupo per la macchina che guida, nessuna aquila giudicherà un altra aquila per il brillante che indossa.
In tempi contemporanei dove l’identità di genere può finalmente essere decisa liberamente dall’individuo io decido di avere un identità animalesca e selvatica.
Sperando che la legge me lo consenta.

Il male minore

Alla fine mostrare il culo è il male minore.
Molto meglio che fare l’opinionista da Social esprimendo pareri su tutto.
Molto meglio che condividere stupidi aforismi su amori finiti o esistenzialismo da quattro soldi.
Un bel culo è rassicurante, le opinioni destabilizzano.
Milioni di umani che in una torre di babele priva di selezione all’ingresso abusano dell’ignoranza altrui per mettere in mostra le loro stronzate.
Io censurerei tutto tranne i culi, le tette e le gambe.
Per i piedi farei una mini censura preventiva per evitare di imbattermi in quel disgustoso alluce valgo oramai sdoganato da una dilagante mancanza di senso estetico.
In questa gara di idiozie condivise uscite dalla mischia mostrando il vostro corpo silenzioso.
Ne farò scorta per sopravvivere a un triste inverno fatto di cappotti, sciarpe e coglioni che si improvvisano filosofi o saggisti.

Jackson Hole

L’insegna al neon colorava di rosso la nebbia.
Entrai nel club per sentire della musica.
Mi sedetti a bordo pista.
Io, una birra e la solitudine a farmi compagnia.
Li guardai ballare ed era come osservare la spiegazione di cosa fosse l’amore.
Era una spiegazione che cancellava tutto ciò che pensavo di avere imparato.
Tutti gli amori che avevo vissuto, tutte le passioni in cui avevo creduto finivano in cenere di fronte al semplice ballo di un uomo e una donna che danzavano in quella pista deserta.
Non servono parole dolciastre, sono fuori luogo le promesse, è una bestemmia la gelosia, l’amore è semplicemente il piacere condiviso di ballare insieme fino a che la musica finirà.
Tutto il resto è contraffazione sentimentale.

Parlavo con Lei

Parlavo con lei che aveva il viso appoggiato sul cuscino.
Ci si guardava come se fossimo stati sdraiati nello stesso letto con un Pacifico o un Atlantico di mezzo.
Avevo appena goduto di un tramonto che persino io, non appassionato di tramonti, sono stato costretto a ricredermi.
Ero seduto su una roccia guardando il gigante rosso tuffarsi in mare e divincolarsi diventando di mille colori fino a soccombere stremato di fronte a un guerriero blu che apriva la strada all’imperatore nero.
Poi mi sono buttato nel letto nella parte posteriore del van e su Netflix ho cominciato a guardare un documentario sulla vita e la carriera degli Eagles.
Erano le otto e un quarto di sera.
E mentre Joe Walsh raccontava quanto erano belli quegli anni settanta io mi sono addormentato.
Sono le 22 e 36 e mi sono risvegliato da poco con una sensazione meravigliosa di felicità.
Sono nel van, ho sognato la storia degli Eagles, mi sono guardato intorno e ci ho messo qualche secondo a capire che non è mattina ma solo l’inizio della notte.
I cani dormono di fianco a me e sembra non abbiano nessuna intenzione di svegliarsi.
C’è qualcosa di magico in questo risveglio fuori orario, come se fossi tornato da una qualche avventura, come se non avessi dormito ma camminato su un sentiero che portava all’Hotel California.
Ora faccio una passeggiata sulla spiaggia e guardo l’oceano con la luce della luna e poi me ne torno a dormire e ricomincio a vedere il documentario sugli Eagles perché mi manca la fine della storia.
So già che mi addormenterò prima che la fine arrivi, ma questo fa parte dei privilegi concessi dal sonno.

In cosa credi?

“In cosa credi?”
Credo nella paura e nella gioia.
“Cosa ti fa credere nella paura e nella gioia?”
La paura ha sempre cercato di salvarmi. La gioia ha sempre dimostrato di volermi bene.
“E non credi in niente altro?”
Fammici pensare. Credo nello spazio e nel tempo. Più allo spazio che al tempo. E credo agli animali che mi hanno accompagnato nella vita. Credo alle lacrime che non si riescono a versare e ai sorrisi che non si riescono a fare. Credo alle cadute e alle mani che ti aiutano a rialzarti. Credo all’amore che non ti vuole possedere e alle carezze che sfiorano senza toccare come se la pelle fosse ali di farfalla che non si vuole smettere di veder volare.
“E in cosa non credi?”
Non credo a chi dice di conoscere la soluzione del mistero. E non credo a chi è sicuro che sarà per sempre. Non credo agli dei e non credo ai Re e agli Imperatori. Non credo a chi pensa di vedere cose invisibili e non credo a chi vuole imporre la sua idea di felicità.
“In cosa vorresti credere?”
Vorrei credere che un giorno possa innamorarmi di due occhi di ghiaccio perchè in quel ghiaccio scorgo un oceano che si è adattato al freddo che lo circonda.

La gioventù

La gioventù ci attraversa silenziosa
come camminasse in un bosco
impaurita dai lupi
e dalle trappole dei cacciatori
e ci abbandona
lasciando tracce
di foglie scompigliate
e di rami spezzati.
G.P.
Post Scriptum:
Mi sta sul cazzo la forma d’arte chiamata poesia, ritengo i poeti degli impotenti che usano le parole come fossero pastiglie di Viagra. Ma a volte mi accade di scrivere qualcosa di simile a delle poesie, me ne vergogno, ma anche i figli non voluti sono degni di essere amati anche se a volte assomigliano più all’idraulico che al presunto padre.

Mica la volevo comperare

Mica la volevo comperare.
Ero entrato per provarla.
Le pratiche burocratche mi avrebbero concesso il tempo necessario per impedirmi di fare una cazzata.
Entro, chiedo al venditore di poterci fare un giro, torniamo al concessionario e mentre faccio per rimetterla a posto il venditore mi dice: “Portatela a casa.”
“E come faccio a pagarla?”
“La paghi come vuoi.”
Potevo tornare a casa con la Camaro SS che avevo appena provato. Era come se il diavolo mi avesse proposto di dargli l’anima in cambio dell’eternità.
Senza accorgersi che una volta che fossi diventato eterno la mia anima non l’avrebbe riscattata mai.
Il venditore zoppicava e prima di accettare la sua proposta gli chiesi cosa fosse successo alla sua gamba.
Lui tranquillo mi risponde:
“Uno squalo mi ha divorato mezza coscia.”
Io sorrido e dico:
“Ma non è vero…”
Lui si toglia la cintura, si slaccia i pantaloni, li abbassa e mi mostra la sua coscia azzannata. Ne mancava almeno la metà e si vedeva chiaramente il segno del morso.
Si alza i pantoloni e mi dice:
“Allora te la porti via questa macchina?”
E io me la sono portata a casa.
L’avrei pagata in circa 15 anni.
E sapete perchè ho deciso di prenderla.
Perchè il venditore aveva mezza coscia divorata da uno squalo e nella mia fantasia era una sorta di Pirata che mi stava proponendo di portarmi via il suo tesoro in cambio di una promessa.
Poi accaddero cose.
Io e il Pirata zoppo diventammo amici.
La macchina non ho mai finito di pagarla.
La lasciai in un parcheggio a pagamento durante un viaggio in Italia e una sera ricevetti una telefonata da Los Angeles.
La polizia mi avvertiva che l’auto era stata rubata.
Fu ritrovata qualche giorno dopo ma ne rimaneva solo una carcassa vuota.
L’ho amata per quel che è durata.
Poi come tutte le storie d’amore ha fatto una fine imprevedibile.
Ma nonostante tutto non mi sono mai pentito di aver accettato l’offerta.
Per quel che ne so io un auto mi porta dovunque mentre l’anima al massimo ti porta in una chiesa o all’inferno.
Meglio l’auto.

Ora ti racconto una storia

Ora ti racconto una storia.
Inizia con un pensiero in testa ossessivo:
non devo pensare, non devo pensare, non devo pensare
ma come si fa a non pensare ?
decise di vestirsi ed uscire
camminò per le strade della città fino ad arrivare al mare
a volte si sentiva sbandare e sapeva che cadere avrebbe comportato una figura di merda ma non aveva voglia di prendere il lexotan, poteva farcela senza, bastava fare un passo alla volta
di fronte al mare passava un binario, c’era un ponte per attraversarlo, ma lei decise di non usarlo
guardo’ a destra e poi a sinistra, tutto libero, attraversò il binario e si ritrovò sul lungomare
era bellissima, lo era davvero non per licenza poetica, ma sperava che nessuno se ne accorgesse, per questo si infilo’ sulla testa il cappuccio della felpa e comincio a camminare verso nord, verso la parte di spiaggia che sembrava non finire mai
era consapevolmente dedita all’esercizio di nascondere la fine di ogni cosa
cammino’ fino a che divenne pomeriggio, poi si sedette a pochi metri dal mare e decise di guardare l’orizzonte come se si trovasse a teatro, trasformando qualsiasi cosa accadesse in una volontaria rappresentazione del destino
cercava messaggi
qualsiasi cosa potesse dare un senso a quella giornata
a quella camminata cosi’ faticosa
a quella mancanza di equilibrio
a quella paura di non farcela
a quella voglia di essere amata senza essere toccata
a quel desiderio di appoggiare la sua testa sulla spalla di un gigante che gli giurasse con lo sguardo di difenderla per sempre
e vide onde
una dopo l’altra
e per quanto si sforzasse di coglierne le differenze gli sembravano tutte uguali
come i suoi anni
come i suoi giorni
fino a quando arrivò lei
lei bambina
ferma di fronte al suo sguardo
immobile dandogli le spalle
scomparve il pensiero
dissolto dalla forza esplosiva del ricordo,
di quel giorno in cui a otto anni scappò di casa per il semplice motivo di scappare
come se scappare fosse suonare uno strumento
dipingere un quadro
saltare un ostacolo
e scoprì in un istante come si fa a non pensare
ma quel segreto se lo volle tenere ed aspettò che il sole scomparisse
che “lei” bambina si allontanasse
che il buio gigante la nascondesse
prendendola dolcemente in mano e infilandola nel suo taschino gigante
per poi correre nella direzione dove finisce il mare
e dove nessuno la potrà mai piu’ trovare.
A Virginia, Sylvia, Antonia, Anne e a tutte quelle donne che nessun dio è riuscito a salvare.