Birra e cortisone

Posso bere una birra se ho preso il cortisone?
Faccio una ricerca su internet e i pareri sono discordanti.
Me ne fotto.
Prendo dal frigo quel che resta di una birra aperta tre giorni fa.
E’ schifosamente liscia ma mi serve per bagnarmi la bocca di qualcosa che non sia acqua.
Poi metto su Transformer di Lou Reed e lascio che la musica mi invada il cervello come un esercito di Greci alla conquista di una banda di Troiani ormai sicuri di aver vinto.
Spengo la luce e rimango con il computer che mi illumina il viso, imposto uno sfondo che raffigura una collezione di foglie autunnali cadute al suolo bagnate dalla rugiada.
Penso che mi sarebbe piaciuto fare il falegname e passare la vita a piallare il legno, annusandone il profumo.
E poi tornare a casa e vedere i miei figli dormire su letti fatti con le mie mani, mentre mia moglie ha apparecchiato sul tavolo che abbiamo disegnato e costruito insieme.
Tutto cio’ che sento mancare alla vita è la semplicità.
Ringraziare il betametasone per avermi ridato l’equilibrio mi costringe ad ammettere di aver accettato mille compromessi per restare in piedi.
Riuscirò un giorno ad aprire quella finestra all’ultimo piano di questa casa ed urlare con tutto il fiato che posso che ho bisogno di essere salvato.
Che sotto di me ci sono due piani che stanno andando a fuoco, che in questa soffitta c’è tutto quello a cui tengo di piu’, e che se non riescono a salvare me almeno salvino le mie cose, i miei quaderni, i miei disegni e le mie mille piccole statue che ho intagliato per ricordarmi di quei momenti che andandosene hanno portato via la parte migliore di me.
Senza più tempo da dedicare ai miei progetti mi rimane un disperato bisogno di diventare nomade, un disperato bisogno di vivere dovunque perchè vivo di partenze e ritorni e muoio di arrivi.
Perchè scrivere tutto questo?
Perchè accendere questo fuoco sulla riva di quest’isola deserta.
Ho imparato a parlare con gli scogli e conosco la lingua di chi parla con il silenzio, ci diamo del tu io e la paura, sono cosi’ in confidenza con l’orizzonte che se gli chiedo di arrossire lui lo fa ogni sera.
Sera, preludio del buio in cui prendono forma le ombre.
Quelle ombre che ho scoperto sono più vive delle luci che le creano, capaci di muoversi sfruttando il vento, le tende e chiunque osi mettersi in mezzo.
Che poi a ripensarci non significa nulla.
Quel nulla che da una vita cerco di scolpire per renderlo impugnabile per poterlo scagliare contro il muro e distruggerlo nella speranza di trovare sul pavimento un milione di schegge che dimostrino che il nulla non esiste.


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