Era già buio.

Era già buio.
Arrivammo al motel che sembrava chiuso.
No, non sembrava chiuso.
Era chiuso.
Parcheggiammo l’auto e decidemmo di passare la notte li.
Fuori dal motel, davanti alla stanza numero 117, dormendo all’interno della macchina.
C’era la luce dell’insegna di un distributore ad illuminare il cruscotto e tu mi guardavi.
Mi guardavi come se stessi chiedendoti perché avessi deciso di seguirmi.
Mi ami?
Mi hai chiesto.
Si.
Ho risposto.
Sei sicuro che questo sia un posto sicuro?
Credo di si.
Poi mi hai preso la mano e prima di girarti mi hai detto:
Non dimenticherò mai questo viaggio.
Nemmeno io l’avrei mai dimenticato.
Immaginavo la nostra auto inquadrata da un satellite nello spazio, un minuscolo punto in mezzo al deserto illuminato da una luce al neon.
E dentro quel puntino due corpi vivi che come lucciole nel bosco si nascondevano alla vista dei cacciatori di luce.
Ho solo una domanda da porre:
Dove finiscono gli attimi, in quale immenso deposito si accumulano i battiti del cuore, dove si trova l’oceano che raccoglie le lacrime di chi si è perduto, esistono navi che trasportano container pieni di promesse.
Dove sei?
Dove sono?
Dentro quale scatola sono finite le cartoline che abbiamo spedito a noi stessi per non dimenticarci dei luoghi dove ci siamo amati.
No.
Non puoi essere cosi’ diversa dalla ragazza che eri.
Ti ho visto ieri.
Da lontano, non mi sono fatto vedere, stavi camminando di corsa perchè cominciava a piovere.
Avevi un paio di jeans, delle scarpe da ginnastica e un impermeabile azzurro.
Tenevi per mano tuo figlio.
Siete entrati in macchina e ti ho visto scomparire nel traffico.
Eri davvero tu, distante migliaia di giorni e migliaia di chilometri da quel motel chiuso.
Non me ne faccio una ragione che le cose cambino cosi’.
Non riesco a rassegnarmi al tempo che insabbia il passato.
Ho solo una domanda da porre:
Si puo’ ricominciare daccapo?

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