La pace va cercata

La pace va cercata.
Non parlo della pace che si contrappone alla guerra.
Intendo la pace che si contrappone alla quotidiana occupazione di risolvere problemi.
Va cercata come fosse un luogo dove io possa trovare uno spazio per sdraiarmi e smetterla di pensare.
Le mani appoggiate sul cuore, l’odore dell’erba nelle narici, e la voglia di sentire il fresco della terra sotto un piede.
Sotto un piede?
Certo, sotto un piede. Ed è inutile che ti chiedi perché l’altro piede stia ancora nella scarpa.
Non esiste una ragione se non la piacevole sensazione di provare sotto la pianta del piede destro il fresco della libertà mentre a pochi centimetri il piede sinistro gode di una rassicurante e calda prigione.
Dimmi, secondo te chi sono?
Un lavoratore che si sta riposando tra un turno o l’altro?
O un uomo senza casa e senza lavoro che si scalda al sole di Manhattan.
Ho alternative?
Posso essere scalzo o comodamente calzato?
Hai notato il pizzo ben fatto, e la barba fatta, e anche la pettinatura non è da disperato.
Lo so il calzino è sporco, ma potrebbe essere colpa della scarpa.
Lascia stare la pancia, quella accomuna ricchi e poveri, liberi e prigionieri.
E’ vero ho l’iphone. Hai notato le cuffie?
Bravo.
Credo tu abbia indovinato.
Non sono un disperato, sono solo un uomo che non ha resistito alla tentazione di appoggiare il culo sulla sua giacca adagiata a cazzo sul verde di Central Park.
Musica ed occhi chiusi mi bastano per viaggiare nei pensieri, e se ho voglia di sentire caldo mi concentro sul piede sinistro se ho voglia di fresco penso al piede destro.
Se ho voglia di sentirmi vivere penso alla mano sul cuore.
Ma detto fra me e te tutto questo serve per cercare di essere per mezz’ora un uomo che si prende una pausa da ciò che vuole per concentrarsi su ciò che ha.

Il maestro

Tu dimmi che uomo vuoi essere e io ti aiuterò ad esserlo.
Vorrei essere quel tipo di uomo che non ha bisogno di aiuti per essere se stesso.
E il maestro si ritrovò improvvisamente disoccupato.
E il bambino si ritrovò a viaggiare su una strada priva di indicazioni, nessuna curva segnalata, nessuna distanza calcolata, sensi unici a sorpresa e strade chiuse scoperte grazie ad improvvisi muri.
Ma crebbe.
Il maestro lo guardava da lontano, all’inizio cercando l’errore che gli avrebbe restituito il lavoro, poi fu felice di scoprire che il bambino a furia di sbagliare si era fatto un uomo più forte e saggio di tutti i suoi ex alunni
Lo vide crescere da lontano, e un giorno decise che era venuto il momento di uscire dall’ombra e gli si presento’.
Entrò nel vecchio negozio di musica che l’uomo aveva aperto e fu riconosciuto subito.
“Maestro” disse, “sono felice di rivedervi, non sembrate per nulla invecchiato.”
“Ho smesso di invecchiare il giorno che imparai a non commettere errori.”
“Come vede Maestro, io invece sono invecchiato.”
“Accade quando si decide di vivere.”
“Che ne dice di fare una partita a scacchi?”
Il maestro annui’.
“Il tavolino fuori serve a questo?”
“Esatto.”
Giocano da anni.
A volte vince l’uomo a volte vince il maestro, ma sapete qual’è la cosa sorprendente?
Che una volta finita la partita non è importante chi abbia vinto ma la speranza di avere una rivincita.

Tennant Creek

Un esploratore in mutande, sulle tracce di una pista già aperta centinaia di migliaia di volte.
Un esploratore troppo attaccato alla pellaccia per sfidare 47 gradi di caldo con un casco nero che mi fonde il cervello e la paura di un attacco di calore.
Ad Elliot decido di smetterla di andare a Nord, inverto la rotta, direzione Alice Springs.
A Renner Spring ci vivono in dieci, sei uomini e quattro donne, è li che ho passato tutta la giornata di ieri.
Ed al tramondo quando Tony ci saluta avverto nei suoi occhi un velo di malinconia.
Non accade spesso che un gruppo di viaggiatori passino un giorno intero a Renner Spring e Tony sembrava essersi affezionato a me e a Vanessa che qualche ora prima si era imbarcata su un Road Train, fuggendo dal caldo,da un Natale fasullo,da un incerto fine millennio ed anche da me.
Mentre Tony ci salutava mi entrava la sua tristezza, sapevamo entrambi che difficilmente ci saremmo rivisti, quella città che per ventiquattro ore aveva incrementato la sua popolazione del quaranta per cento tornava ai suoi numeri originari, l’immigrazione e l’emigrazione quotidiana aveva effetti sconsiderati dal punto di vista statistico.
Poi Tennant Creek, un finto ciclone, una strada lunga e deserta movimentata solo da gruppi di Aborigeni ubriachi, che sorridono se sorridi, non ti guardano se non li guardi, non esistono se non esisti.
Pieni di alcool, con in tasca la paga settimanale che lo stato concede apparentemente in cambio di nulla.
Il silenzio è nell’aria, il vento è rumore, il suono di qualche uccello che gracchia in lontananza è un graffio sul vetro, appoggio il culo su un sasso rosso come i capelli di Silvia.
Appoggio il mento sul dorso della mano, tolgo gli occhiali e chiudo gli occhi, aspetto.
Aspetto quell’attimo di pace che un posto del genere sembra dover darti.
E mentre aspetto mi innervosisco, non c’è nessuna pseudo illuminazione o pseudo rivelazione, mi viene in mente il centro di Milano il giorno prima di Natale, paragono mentalmente il caos del centro città con la quiete di questo infinito paesaggio.
Non riesco a prendere le parti di nessuno dei due, non riesco a scegliere, vorrei solo aver la possibilità di cambiare nel tempo di un battito di ciglia.
Vorrei essere quà nell’attimo stesso in qui non sopporto più essere di là.
L’insoddisfazione è una salutare malattia, le gambe che non sopportano stare ferme mi sembrano un regalo divino, devo alzarmi, riprendermi, e spostare il mio corpo.

bleahhhh

Ci provo a leggere poesie
ma dopo la terza riga mi sono rotto i coglioni.
C’è troppo poesia nelle poesia.
Ce ne vorrebbe una che cominciasse con un;
VAFFANCULO
tutto in un maiuscolo
poi una riga di pausa
dare il tempo a chi legge di immaginare chi debba andare a fare in culo
e poi , a sorpresa, una lista della spesa
pane, olio, sale, farina, acqua, uova e cioccolato
e tu non capisci
ma il poeta voleva semplicemente
esprimere avversione per il fare la spesa quotidianamente in un supermercato di merda
dove nonostante tu stia comprando il necessario per la sopravvivenza
ti sembra sempre che stai perdendo tempo.
Bizzarro
l’indiano americano stava giorni ad aspettare un bisonte e non immaginava un modo migliore
di impiegare il suo tempo
il civilizzato figlio del capitalismo
nei dieci minuti di tempo che impiega a comperare una bistecca
riesce anche a rompersi i coglioni.
A proposito di rompersi i coglioni
io ci provo a leggere poesie ma dopo la terza riga mi sono rotto i coglioni
e allora smetto di leggere poesie del cazzo
e vado a fare la spesa.

Camera d’albergo

La camera d’albergo è per sua natura disinibita, prova sentimenti fragili e il suo aspetto tradisce solitudine e smarrimento.
E’ certamente superficiale, non per sua indole ma per scelta, sa che legarsi troppo a un ospite renderà piu’ triste l’addio.
A volte è trionfalmente squallida, a volte è squallidamente trionfale.
La arredano ricordi sbiaditi come fogli di giornale lasciati al sole, e parole d’amore volanti dette prima di addormentarsi che nel tentativo di fuggire hanno sbattuto contro le tende trasformandole in un giardino fiorito.
Guido Prussia
Foto di Sabina Bologna

Mi sono uccisa.

Mi sono uccisa.
E milione di persone mi dedicano un pensiero e un indagine.
Detective principianti dell’anima altrui.
Ma nessuno di voi conosce le tempeste in cui la mia barca si dibatteva. Nessuno intuisce il colore del mio cielo, e l’altezza delle onde, nessuno può intuire quante volte ho intravisto la salvezza e quante volte l’ho vista inabissarsi fino all’ultima scialuppa fuggita alle corde e alla vista.
Quindi vorrei solennemente mandarvi tutti a fare in culo.
Andate a fare in culo moralisti, amanti della vita, coraggiosi e predicatori della resistenza.
Andate a fare in culo opinionisti, preti, blogger e filosofi.
Andate a fare in culo vivi che avete cosi’ paura della morte da non capire che la fine non è solo un ultima spiaggia, ma è un ultima spiaggia dove si spera di trovare poca gente e tanto sole.

Tutte bugie niente altro che la verità

Un giorno mi truccai e indossai le camicie di mia madre per sentirmi diverso.Tenevo nello zaino i vestiti di riserva, facevo finta di andare a scuola poi entravo in un bar mi cambiavo e fuggivo al Parco di Nervi.Mi sono distrutto di canne e mi ubriacavo con una birra chiamata EKU 28.
Uno sciroppo piu’ che una birra.
Poi una notte tornando da Santa Margherita rischiai di morire evitando un frontale per l’intervento di qualche divinità che passando di li decise di salvarmi.
Lasciai l’EKU 28..
Rubai un intero set di strumenti, dalla batteria alla chitarra passando per basso e tastiere e misi su un gruppo dove io ero il piu’ incapace a suonare ma nessuno poteva dirmi nulla perchè gli strumenti li avevo portati io.
Ho dormito ai piedi del letto di un mio amico per tre mesi perchè non riuscivo a dormire da solo convinto che ogni notte fosse la mia ultima notte.
Ho passato notti sui treni per Arquata Scrivia avendo come amiche delle prostitute di colore, d’estate andavo a dormire sulla spiaggia di Quarto con i topi che mi passeggiavano sui piedi, la mattina mi svegliava Claudia portandomi il caffè e una briosche.
Ero innamorato di una ragazza che improvvisamente spari’ , la cercai ma la sua famiglia fece muro, dopo un anno la incontrai ad una festa e mi disse che era stata costretta dai genitori ad andare a Londra ad abortire. Era al quarto mese di gravidanza e la bambina era mia figlia.
Tentai di rubare un autobus dal deposito in Albaro, non riuscii’ a metterlo in moto ed allora corsi verso il fondo dell’autobus e presi a testate il vetro.
Cominciai a piangere mentre Michele mi osservava da fuori non sapendo cosa fare.
Distrussi a calci tutte le cabine telefoniche di Corso Italia cercando di sfogare tutta la rabbia che avevo in corpo.Le cabine telefoniche finirono, la rabbia no.
Fabrizia aveva deciso di lasciarmi, andai sotto casa sua di notte, lei si affaccio’ e mi urlo’ di andarmene, io decisi di buttarmi in un cassonetto per cercare di fare un po’ di scena ad effetto.
Lei chiuse la finestra. Io aspettai nel buio del cassonetto.
Qualche minuto dopo un rumore venne dall’esterno, era il camion della nettezza urbana.
Io schizzai fuori e ricordo ancora la faccia del netturbino.
A 14 anni andavo a cavallo, caddi nel saltare un ostacolo, mi dissero che dovevo risalire subito.
Lo feci, saltai di nuovo e caddi di nuovo. O risali o non andrai mai piu’ a cavallo, mi dissero.
Al terzo tentativo non caddi piu’.
Non lo feci perchè me lo disse l’istruttore.
Lo feci perchè mi piaceva Celestina che mi stava guardando.
Una sera in Grecia incrociai lo sguardo di una ragazza seduta sul bordo della strada, le chiesi cosa facesse tutta sola, lei mi rispose: “Nulla”.
Gli chiesi se secondo Lei due “Nulla” potessero dare vita a qualcosa.
Lei disse: “Si” e andammo nella stanza del mio albergo a fare l’amore.
Nella mia scuola c’era un bel teatro, chiesi al preside se mi faceva tenere un concerto sotto Natale, lui disse di si.
Arrivai e da dietro il palco scostai le tende per vedere quanta gente c’era.
Era pieno.
C’erano gli amici venuti a farmi coraggio e i nemici che non vedevano l’ora di massacrarmi.
Chiesi a qualcuno di andarmi a prendere una bottiglia di jack daniel.
Ne buttai giu’ meta e cominciai a suonare completamente ubriaco.
Non ho nessun ricordo di quel che accadde.
Ebbi il primo orgasmo della mia vita non in solitudine ma facendo l’amore con Alessandra, anche per lei era la prima volta.
Ci ritrovammo a guardarci negli occhi ridendo per quella scoperta, nessuno dei due sapeva cosa aspettarsi.
E dopo aver riso ricordo che lei disse: “Non immaginavo fosse cosi’ bello.”
E io le risposi dicendo: “Rifacciamolo.”
Fu la stessa ragazza con cui provai il primo bacio, sotto una gradinata del palasport di Genova mentre Guccini cantava l’avvelenata.
Partita Villeggianti-Paesani, l’arbitro fischia l’inizio della partita. Qualcuno mi passa la palla, m’involo verso la porta avversaria, nessuno mi ferma, tiro: Gol.
Uno a zero.
Novanta minuti dopo la partità fini’ 15 a 1 per gli altri.
Non ricordo nessuno dei loro quindici gol, il mio lo ricordo perfettamente.
Una volta a Genova alle tre di pomeriggio c’erano sette gradi. Io amavo follemente la neve.
Ma sette gradi erano troppi.
Non poteva nevicare.
Alle cinque erano sei, alle sette 4, alle 8 erano due e alle nove comincio’ a nevicare.
Da allora chiunque mi dica che con sette gradi non puo’ nevicare io lo considero un bugiardo.
Sapevo che Babbo Natale non esisteva dall’età di cinque anni, ma feci a botte in seconda elementare per difenderne l’esistenza.
Avevo una professoressa di Filosofia che decise di pubblicarmi un libro, quando lo vidi stampato mi sembrò di aver esaudito tutti i miei desideri.
Un anno dopo a rileggerlo non lo riconoscevo piu’ come opera mia.
Lo regalai a Giovanna che scopri’ di avere un fidanzato scrittore, questo non le risparmio’ la sorpresa quando mi vide sotto assedio da attacchi di panico.
Passarono andando al militare.
Gestivo un battaglione tutto mio, ero capo pezzo dove il pezzo era un cannone.
Ero il migliore nel mimetizzarmi, riuscivo a diventare un albero i pochi minuti.
Adoravo la gavetta in cui mettevano il cibo e il percorso di guerra. Qualcuno decise che giocare alla guerra era troppo pericoloso e mi tennero tre mesi in un ospedale militare sezione malati di mente.
Un giorno mi accorsi che stavo parlando con me stesso riflesso in una finestra.
Quando ne venni fuori decisi che la vita era meravigliosa, che avrei studiato, mi sarei laureato e sarei stato un bravo ragazzo.
Qualcuno penso’ di aver ottenuto il risultato sperato ma pensava male.
Detti solo un esame, presi 28 e decisi di smettere per non rovinare la media.
Andai a vivere in una casa con una ragazza che voleva fare la cantante, per questo non si faceva problemi a tradirmi con pseudo produttori o musicisti, ma aveva l’abitudine di farsi lavare da me passandomi la spugna e il bagnoschiuma e questo bastava a farmi dimenticare di tutto.
Ho passato una sera a cazzeggiare con Fellini a una festa, un pomeriggio con Ray Charles che salutandomi mi disse che avevo un cuore buono, mi ritrovai in ascensore con James Brown e rimasi colpito da quanto era nero, ho bevuto liquido trasparente con Keith Richard solo che la sua era vodka e la mia acqua, ho chiesto al Dalai Lama cos’è la morte e mi sono dimenticato la risposta, ho fatto merenda con Akira Kurosawa vicino al mare e non sapevo chi era Akira Kurosawa, chiesi a Ben Kingsley che parte faceva in un film e lui mi caccio’ via perchè in quel film doppiava una rana.
Con Cecilia partimmo alle sette del mattino da Milano per arrivare in Normandia la sera stessa.
In Normandia non succedeva un cazzo, prendemmo la macchina e tornammo indietro fino alla Malpensa per prendere il primo aereo per Los Angeles.
Lei chiamo’ casa, aveva 20 anni, sua madre le chiese: Com’e’ la Normandia?
Lei rispose che in California faceva caldo. Fu cosi’ che i suoi genitori cominciarono ad odiarmi.
Avevo un amico che era il migliore amico del mondo, si chiamava Giorgio.
Quando era malato ed aveva ancora pochi giorni di vita mi chiese di fargli un abbonamento mensile al Corriere della Sera On Line.
Lui non trovava la sua carta di credito e io gli dissi che avrei pagato io.
Lui disse: “Va bene, ma fra un mese lo rinnovo con la mia.”
Io lo guardai e provai l’imbarazzo del mentitore dicendogli: “Ok, fra un mese lo rinnoviamo con la tua.”
E qui mi fermo, perchè i ricordi si sono tutti messi in fila per essere raccontati e non ne ho piu’ voglia.
Magari la prossima volta.
Ora torno a suonare.
Questa volta è stata dura.
G.P.

Tu sei nel mio cuore

Tu sei nel mio cuore e non avendo un idea di dove e come un cuore possa contenere una donna sono incapace di trovarti. Ma ti sento li come quando sdraiato su una spiaggia un sassolino preme sul petto. Mi alzo e lo raccolgo. Piccolo sassolino bianco perfettamente rotondo. Così perfettamente rotondo che lo infilo nella tasca dei jeans.
Si raccolgono sassolini trasparenti bianchi e rotondi per avere la prova dell’esistenza di una volontà artistica del caso.
E nel caso non ti trovassi nel cuore posso cercarti nella tasca dei jeans.
Breve considerazione finale: il sassolino sa di mare e ha una passione per gli apostrofi che si sono persi.

L’uomo che non credeva in nulla

PREFAZIONE:
Mi dicono che le storie che scrivo sono troppo lunghe ed è una rottura di coglioni arrivare alla fine.
Ed è per questo che scriverò storie ancora più lunghe, a chi piace quello che scrivo non importerà la lunghezza, anzi ne sarà felice, a quelli che vogliono storie brevi consiglio un libro di aforismi.
Ed ora andiamo con la storia:
Non credo alla giustizia, non credo all’anima, non credo che su Marte ci sia stata vita, non credo a popolazioni aliene, non credo a Dio, non credo alle promesse di chi governa, non credo alla chiesa, a nessuna chiesa, non credo alla fede, non credo ai fantasmi, non credo a chi dice di saperne qualcosa di piu’, non credo che rimarra’ qualcosa, non credo all’arte, non credo al destino, non credo al natale, non credo alla resurrezione, non credo alla reicarnazione, non credo alla forza del pensiero, non credo alla forza di volonta’, non credo a nulla.
E rimango qua’ con la moto parcheggiata sul ciglio della strada a sciacquarmi la faccia mangiando una mela rubata in un campo qua’ vicino. Sono l’uomo che non crede a nulla e tutti mi temono. Nessuno mi parla. Vogliono tutti mantenersi ancorati alle loro certezze.
Vogliono tutti continuare a guardare il cielo e pensare che le stelle siano punti luminosi, ed il sole una bella sfera calda e le nuvole macchie di bianco, vogliono continuare a pensare che l’azzurro sia azzurro, il rosso rosso ed il nero il colore piu’ scuro che ci sia.
Ed io mangio lasciando da parte solo i semi della mela che finiscono qua’ ai miei piedi ad un metro da questo fiume con l’acqua pulita.
Mentre attorno gli uccellini cantano ed il verde trionfa. Quel verde che forse non e’ verde.
Da quando non credo ho smesso di pormi il problema, il problema di avere certezze.
Tutto e’ cosi’ palesemente falso che mi sembra fin troppo facile smascherare tutte le bugie.
Non credo ai miei occhi ma mi adeguo a loro, non credo alle vostre parole ma mi adeguo al loro significato, non credo alla vita ma vivo.
Mio malgrado. Circondato da figli di puttana.
Me ne sono accorto solo ora. Sono in trappola.
Non posso tornare.
Devo aspettare il tramonto con la testa appoggiata alla ruota anteriore della mia moto pensando a tutto il viaggio e alla strada che mi rimane da fare.
Non faccio piu’ l’amore, non amo, parlo ma non scambio opinioni, sorrido ma non sono felice, vivo meravigliandomi di questo corpo, delle braccia, delle gambe, delle mani, della testa e del cervello.
Mi hanno annullato costringendomi a stare sveglio per tre anni di fila.
Piantandomi spilli sotto i piedi ogni volta che gli occhi mi si chiudevano.
Ma la stanchezza non uccide, la stanchezza consuma.
E l’uomo consumato non muore ma si lascia morire.
Io conosco i sorrisi delle persone, conosco i giudizi ed i pregiudizi, conosco tutte le loro facce, conosco le risate, i commenti, conosco ma quaggiu’ tutto sembra cosi’ distante che l’unico rumore che sento e’ quello dell’acqua che se ne va. Non e’ la paura che mi fa paura, e’ l’incertezza, il lento, inesorabile avvicinarsi della consapevolezza totale.
Ho un disperato bisogno di fuggire.
Devo andarmente, tornare laggiu’, voglio essere riconosciuto dall’aria e non dalle persone.
Passo molto tempo a guardarmi attorno cercando di trovare una spiegazione, ma lo so, lo so, lo so che non la trovero’ mai.
Il motore della moto e’ ancora caldo, appoggio la mia mano su di lui e mi scaldo il palmo.
Appoggio il palmo della mano bollente sul mio collo.
Loro dove sono. Tutte le labbra che mi hanno baciato. Tutte le braccia che mi hanno abbracciato. Tutte le mani che mi hanno accarezzato. Ora dove sono. Tutto finito. Cosa rimane di quegli spostamenti d’aria, nemmeno un ricordo.
L’uomo beve quest’acqua che forse non e’ buona, ma e’ pur sempre acqua.
Solo come un bastardo, forse bastardo.
Se mi guardo allo specchio vedo solo i miei occhi, ed i miei occhi guardano se stessi, incredulo chi guarda e chi viene guardato. Due persone una di fronte all’altra. L’io vero che dice all’io specchiato: “Che cazzo ci facciamo qui?”
Fiori, e api, mosconi, vermi con la testa piantata nella terra, serpenti, grilli, pietre, fango, erba. Migliaia, centinaia di migliaia di fili d’erba.
La mia testa che disegna la sua impronta sul prato, la mia mano che nasconde il sole agli occhi, l’attesa e la noia.
E’ ora di andare.
Il motore della moto si e’ raffreddato.
Non so dove andro’, so che andro’.
Solo come un bastardo che non ha capito quello che si dovrebbe capire: per vivere ci vuole un libretto di manutenzione in tasca.
Quel libretto che usai per accendere il fuoco una notte in cui il freddo si stava facendo insopportabile.
Guido Prussia

Istinto

Quando rido, non riesco a ridere.
Quando piango, non riesco a piangere.
Quando amo, non riesco ad amare.
Vivo, esperto per istinto a vivere.
Cerco, abile per istinto a cercare
e sogno capace per istinto di sognare.