Tu credi?

-Tu credi alla vita eterna?-
-Dipende da che cosa intendi tu per vita.-
-Intendo la coscienza di me. L’avro’ per sempre?-
-Tu vuoi sapere se continuerai a trasformare il tempo in ricordi e i ricordi in personalità.-
-Esatto.-
-Chi costruisce castelli di carta dovrebbe sapere che piu’ il castello è alto meno vento ci vuole per farlo crollare.-
-Quindi?-
-Quindi rimarranno carte sparse sul tavolo, Dio si alzerà andrà a chiudere la finestra e ricomincerà a costruire un nuovo castello impossibile.-
-Io non credo in Dio.-
-Sarà un castello diverso nonostante usi le stesse carte.-
-Hai capito quello che ti ho detto? Io non credo in nessun Dio.-
-Lo so.-
-Tu sai tutto.-
-Io leggo.-
-Leggi?-
-Leggo nei tuoi occhi.-
-Zoe, tu credi di sapere troppe cose di me.-
-Scusa. Ma a volte mi sembra di sapere anche cio’ che tu hai dimenticato.-
-Io dimentico tutto.-
-Vedi. Lo sapevo.-
-Ma dimenticare è un modo di difendersi.-
-Dimenticare è un modo per nascondersi.-
-Nascondersi da chi?-
-Da se stessi.-
Guido Prussia
Photo di Guido Prussia

Parliamo un po’ dell’amore

Parliamo un po’ dell’amore.
L’amore che porta a nascondersi per la paura che rivelando chi siamo forse non verremmo piu’ amati.
Quel sentimento che una volta finita la voglia di fare l’amore non ha il coraggio di cambiare nome.
Prima di chiudere la luce due piedi si incontrano sotto le coperte e si sentono estranei.
Ricordi l’emozione di quando quel piede lo sfioravi e stavi li ad aspettare se ti rimaneva accanto o si spostava.
C’è un capannone dove si accumulano i desideri finiti, c’è un tipo alla porta che ti da un buono compagnia in cambio di un chilo di passione.
Pensi: sempre meglio che niente.
Eppure lei è quella che hai desiderato col cuore in gola, e lui è lo stesso che quando ti spogliava tu sentivi pulsarti in basso.
Le stesse persone che con l’energia di un bacio una volta accendevano tutti i lampioni di Montmartre oggi devono stare attenti a non sprecare l’ultimo fiammifero per accendere la candela durante il black out.
Il solo modo per salvarsi dall’amore è viverlo togliendosi dalla mente che sia una maratona da portare a termine.
Non ci sono traguardi da raggiungere ma ostacoli da superare insieme fino a quando…
Fino a quando superarli insieme sarà piu’ faticoso che superarli da solo.
E dovrai decidere se fingere tutta la vita o dire la verità.
Sono cazzi.
Guido Prussia
Photo di Guido Prussia

Il giorno prima

Il giorno prima di partire siamo usciti con l’intenzione di non tornare a casa, andare direttamente all’aeroporto e poi dormire in aereo.
Alle tre e mezza di notte passeggiavamo per le vie del centro e ci siamo fermati di fronte al Duomo di Milano cercando di capire a cosa stesse pensando dio quando creo’ l’amore.
Pensava a un fiore, mi hai detto.
Il fiore appassisce. Risposi.
Mi hai guardato con quegli occhi che mi fanno diventare un coglione e hai detto:
“Se a vida lhe der um limão, faça dele uma Caipirinha”
(se la vita ti dà un limone tu fanne una Caipirinha)
Mi hai fatto ridere, ma cosi’ tanto che non riuscivo a smettere, ti ho chiesto di baciarmi.
Perche?
Baciami.
Perchè?
Perchè se no non la smetto piu’ di ridere e dicono che si possa morire dal ridere.
Quindi devo salvarti la vita?
Si, e fallo prima che sia troppo tardi.
Mi hai baciato sotto la statua di San Bartolomeo che si copre gli occhi per non vedere la Maddalena.
Poi mi hai guardato e mi hai detto:
Me ne devi una.
Di cosa?
Di vita.
Sono ancora in debito.
Guido Prussia

 

La mitica assenza

La mitica assenza
del tutto,
in un pieno di cose
che non c’era lo spazio per nulla
e poi
l’abisso che cadendo rovina
su se stesso.
All’inizio non si sapeva cosa
ci fosse stato prima.
Prima dello zero.
Ora il pieno si diffonde
Nella mancanza di aria
E di respiri
La verità si manifesta
Per attimi senza che l’attimo
Possa essere colto
Vittima anch’io del non sapere
Consapevole come una gallina sull’uovo.
Sto cercando materiali
Ferro
Oro
Argento
Terra
Carne
Fuoco
Acqua
Materia
Per sentirne la densità
La densità è vita
La sensibilità che vive
Sentendo.
L’Io
Per quanto interessi l’Io
È rimasto aggrappato
Ad un chiodo nella stanza del fantasma
Che dice di aver raggiunto la torre
Senza bisogno di fare le scale.
Il divino barcolla
E tutti lo guardano
Senza capire se sia bene o male.
La piattaforma sulla quale camminiamo
È densa come il fumo
Delle sigarette.
Le illusioni giocano
A dipingere quadri essenziali
Dal valore di vita o di morte.
L’amore scivola come una biglia d’acciaio
Facendo saltare birilli
Senza pietà, con il solo pudore
Di non guardarsi mai indietro.
Vorrei
Per un attimo vorrei
La considerazione della zanzara
Tra le gambe degli ospiti di quella
Cena in campagna
In quella notte d’agosto.
Vorrei lo schiaffo
Che cerca d’uccidermi
Mentre succhio il sangue
Di qualche sconosciuta
Appassionata di dolci.
La gente parla
Sempre
Giudizi come bolle di sapone
Che si spaccano sul muso dei bambini
Che increduli guardano verso l’alto
Aspettando altre bolle
Da far fuori.
Navigando
Come marinai
Banalmente
A caccia di balene.
Sicuri di essere forti
Noi sulla barca e loro in acqua.
Noi con il fiato
Loro con il collo
Che spuma dall’acqua.
Mirare
Tirare
Uccidere
Sopravvivenza
Logica
Star bene.
Le dita
Che puntano l’orizzonte
In cerca di qualche paradiso
Ma i paradisi sono tutti in fondo al mare
E non sappiamo
Non abbiamo ancora imparato a respirare nell’acqua.
La gente confonde i deliri con le illuminazioni
Confonde il cielo
Con uno sfondo
Lo sfondo con il cielo
La luna con una moneta.
La moneta tra le dita salta di mano
In mano
Esaudendo i desideri
Aspettando che i desideri ingrandiscano
E la moneta
Non basti piu’
E finalmente trovi
Compagnia.
La birra scorre a fiumi
Annebbia
Meno male
La barca puo’ anche buttare l’ancora
In quel porto illuminato dalle piccole luci
A cera
Del passato.
Ditemi
Il gusto del non capire
Io lo so
Il gusto di non cercare spiegazioni
Ragioni
Soluzioni
Semplicemente dare tutta la colpa
Al caso
Casualmente.
Mi ricordo
Di una pietra che rimbalzava
Sull’acqua
Non ricordo quanti rimbalzi
Ricordo la notte
Magica
Perché nera
Capace di nascondere ogni trucco
Per gioco.
Perché non trovo spiegazione
In questo avvicendarsi di luce e buio
Follia e ragionevolezza
Ma ci navigo
Ci nuoto
Cercando di raggiungere quella boa laggiu’.
Tra poco torno.
Eccomi qua.
Rimpinzato di carne.
Collegamento.
Un momento di buio
L’attesa della connessione.
Un cane che cammina a caccia del padrone
In una prateria color ocra
Forse confusa tra i ricordi
Provenienti
Da qualche avo
Che è terra e geni tra i miei geni.
Il dividersi
Tra la morte
E i propri discendenti
Condannandoli ai nostri difetti
Alle nostre paranoie.
Consapevolezza.
Chi sa non dice perché non ha certezze
Chi sa non giudica
Perché rimane in dubbio
Chi sa
Aspetta semplicemente che il suo sapere cessi
Per essere restituito alla verità.
Non so nulla degli Indiani Americani
Ma è come se sapessi tutto
Ho costruito la loro storia nella mia fantasia
Ed è una storia leggendaria.
Poi
Nella Monument Valley
Di fronte ad uno sguardo schifato di un pellerossa
Verso uno yankee
Rimango perplesso.
Lui non dimentica
Ma il rancore
Ha il senso della sconfitta.
La seconda sconfitta.
L’importante è che la strada porti da qualche parte
Verso un letto
Ed un bagno
Per pulirsi l’essenziale e mettere a riposo il corpo.
Non si muove nulla
Siate certi
Tutto rimane immobile o quasi
Stesso quadro
Stesso sfondo
Stessa cornice
Forse la stanchezza negli occhi
La voglia di un caffè e di rimettersi in viaggio.
Ma attorno è tutto come prima.
Perché il mondo rimane immobile di fronte ai nostri cambiamenti.
Il sorriso
La tristezza
Un uomo che zoppica
Uno che corre
Qualcuno che non trova piu’ il portafogli
Qualcuno che non trova più se stesso.
Attorno quanta gente
Troppo uguale
A noi
Per farci rimanere impassibili di fronte
A questa moltitudine di problemi.
Non serve a nulla
Quindi sarebbe meglio chiuderla cosi’.
Non mi da soddisfazione
Forse
Perché non c’è destinatario
Per questa lettera.
Ma la spinta proviene
Da quella parte
Che non si cura delle ispirazioni
E delle voglie
Io impresto le dita
Almeno fino a quando non mi sarò
Rotto di questa stupida consolazione.
La duplicità si manifesta
Ne prendo atto.
Al di là
Ci sono uomini
E donne
Gli stessi di sempre
Io cerco semplicemente una conferma
Che la ricerca si concluda
Con il ritrovamento delle proprie radici.
Ma le radici che c’entrano
Non essendo noi alberi.
Le similitudini
Quelle servono a comprendere e a confondersi.
Lasciatemi al largo da qualsiasi approdo.
Guido Prussia

In chi crede chi crede in Dio?

Una gentile anziana signora che abita nella casa di fronte esce dalla chiesa con un ramo di ulivo in mano.
Mi incrocia e mi chiede come mai io non avessi il mio ramo d’ulivo.
E prima che potessi rispondere mi dice:
Dopo passo e ti lascio un ramo d’ulivo. Non puoi non averlo.
E si allontana sorridendo.
Non ricordo il significato del ramoscello d’ulivo nonostante sia andato a scuola dai preti per 15 anni, ma l’offerta della gentile signora mi ha fatto sorgere una domanda.
In cosa crede chi crede in Dio?
O meglio.
In chi crede chi crede in Dio?
La mia difficoltà è sempre stata quella di identificare il concetto di divino. Proprio non mi riesce, non so a chi o a cosa associare l’idea di Dio.
Ma se provassi ad identificarmi nell’anziana signora?
Quel ramo d’Ulivo probabilmente è un simbolo di qualcosa.
Mi informo e scopro che significa diverse cose, per i Greci era un simbolo di pace, per i Romani era simbolo insigne per uomini illustri, per gli Ebrei simbolo di giustizia e sapienza, nella religione cristiana dopo il diluvio una colomba portò un ramoscello di ulivo a Noè per annunciare che terra e cielo si erano riconciliati.
E divenne simbolo di rigenerazione e di pace.
Nella festa delle palme l’ulivo rappresenta Gesu’ Cristo che con il suo sacrificio diventa uno strumento di riconciliazione.
Direi che tutta questa simbologia dovrebbe convincermi, se non altro per scaramanzia, a procurarmi un rametto d’ulivo.
Eppure…
Non riesco a fare a meno dal considerare un ulivo semplicemente un ulivo.
Anzi.
Tutti questi significati mi ricordano una gabbia all’interno della quale il povero ulivo si dimena per liberarsi da tutte queste responsabilità.
Questo è il mio problema.
Scorgere nella simbologia una gabbia all’interno della quale vengono imprigionate piante, animali, numeri e pietre.
Gabbie ad uso e consumo della superstizione umana.
E anche Dio lo vedo dimenarsi all’interno di una segreta nel Castello d’If.
Vittima innocente di una congiura che mira al raggiungimento di una speranza di felicità da parte di uomini incapaci di accontentarsi di cio’ che il destino ha riservato loro.
Ma a questo punto lo devo ammettere.
Contraddicendomi.
Dio esiste.
Rinchiuso in quella cella, protetto da guardie armate, nutrito a pane ed acqua, nessuno piu’ crede alla sua innocenza.
Lui stesso comincia ad esserne dubbioso.
Quando la colpa non merita la condanna prima o poi sarà la condanna a meritarsi una colpa.
Le porte della chiesa si aprirono.
Ne uscirono decine di fedeli con un sorriso ebete sulla faccia.
Io li guardai e mi sembrarono carcerieri appena usciti da una visita di cortesia al loro prigioniero.
Aspettai che tutti furono usciti ed entrai furtivamente.
C’era silenzio.
Andai dritto seguendo l’istinto fino a trovarmi di fronte l’uomo in croce.
Lo guardai ma lui guardava oltre e non si accorse di me.
Era chiaramente un avvertimento su cio’ che puo’ accadere a chi cerca di salvare il mondo, paradossale che il carnefice spacci la sua vittima per eroe.
Un esempio illuminante di propaganda senza scrupoli.
Nel silenzio mi sembro’ di udire un respiro.
Proveniva dalla profonda estremità della navata.
Proviene da qua. C’è un piccolo buco sul pavimento.
Mi sdraio sulla pietra fredda e chiamo:
“C’è qualcuno?, C’è qualcuno laggiù?”
Il respiro si interrompe.
Poi riprende.
“C’è qualcuno?” Chiedo ancora.
“Come mai sei qua.” Risponde una voce.
“Sono qua per caso.”
“Nessuno viene qua per caso.”
Ha ragione. Non ero li per caso.
“Sono qua per capire.” Dissi.
“Sono innocente.” Rispose.
“ E di cosa ti accusano?”
“Sono innocente.” Ripeté.
“Chi sei?” Chiesi.
“Sono innocente, ma dove c’è una colpa c’è bisogno di un colpevole, e non dirò altro.”
E non disse altro.
Il suo respiro si fece lontano come se si fosse rifugiato nell’angolo estremo della sua cella.
Quando usci’ camminai per il paese, e vidi persone vestite bene in occasione della domenica.
Tutti sorridenti, mamme con i loro figli appena nati, nonni e nonne, fidanzati mano nella mano, un umanità festante che mangiava pasticcini, prendeva caffè, felici per la primavera appena arrivata, tutti col loro ramoscello di ulivo in mano.
Il mondo era bello in quell’angolo di mondo.
Felicemente al riparo dalla sofferenza altrui.
Come se l’innocenza fosse uno scudo capace di resistere ai proiettili della consapevolezza.
“Dove c’è una colpa c’è bisogno di un colpevole….” Mi disse.
Le porte della chiesa erano ancora spalancate.
Chiunque poteva entrare, chiunque ne aveva bisogno.
Si entra colpevoli e se ne esce innocenti.
Se vuoi essere assolto trova un colpevole.
La giustizia umana non vuole giustizia si accontenta di un prigioniero e di certo non si lascia impressionare dal fatto che questo prigioniero dica di chiamarsi “Dio”.
Guido Prussia

La vorrei cosi’

La vorrei cosi’ stupida
da non avere certezze.
La vorrei cosi’ stupida
da non sentire alcuna appartenenza
incapace di fare qualcosa per piacere
ma capace di far tutto per il piacere.
La vorrei cosi’ stupida
da non riuscire a finire un libro di merda
incazzata per aver buttato via dei soldi
ma incapace di buttare via il suo tempo.
La cerco cosi’ stupida
da preferire gli artigiani agli artisti.
La desidero stupida
ma cosi incredibilmente stupida
da non riuscire ad amare
un uomo capace
di convincere una donna ad amarlo.
Stupidamente attaccata
all’amore per se stessa
da trovare stupido
farsi del male per amore.
La vorrei cosi’ stupida
da riconoscere in me
un uomo stupido come lei
e insieme stupidamente
ce ne andremo per il mondo
a cercare la tribù degli stupidi
salutando questo mondo di geni
cosi’ intelligentemente infelici.

Mi sposai

Mi sposai.
Non in comune o in una chiesa ma su una spiaggia Californiana.
Come testimoni c’erano Baby e Jack. E il prete era una donna.
Certo sembrava una cosa fatta cosi’. L’anello l’abbiamo comperato il giorno prima di corsa, i vestiti erano stati scelti senza troppa cura.
Ma Dio, quel Dio che odia essere pregato dagli uomini e che concede i suoi favori per simpatia, decise di metterci come sfondo un tramonto spettacolare.
Mi sono sposato senza credere al matrimonio, ho vissuto senza sapere il senso della vita, ho spesso scelto di amare chi non mi amava e ho combattuto senza pensare alla vittoria.
E l’unico rimpianto che ho è di non averlo fatto abbastanza.

Da piccoli

Da piccoli si hanno le idee chiare, si sa perfettamente con quale bambina si vorrebbe passare il resto della propria vita.
Nessun dubbio.
A me piaceva quella del primo banco centrale, si chiamava Cinzia e cercai di conquistarla condividendo con lei il panino della ricreazione.
Io ero seduto negli ultimi banchi e passavo le ore controllando quante volte si girasse verso di me.
Non si girava mai.
Ma era normale.
Non è che le cose belle si conquistano facilmente.
Questo l’avevo già capito.
La cosa piu’ bella di quell’amore è che non c’erano cose da fare.
Non bisognava baciarci, ne toccarci, a quell’età mica pensi al suo corpo, pensi solamente che è bellissima, e se qualcuno mi avesse chiesto: “perchè è bellissima?”.
Avrei risposto:
“Non lo so, ma lo è.”
Finita la scuola io salivo sulla macchina dei miei e lei saliva sulla macchina dei suoi, ogni giorno prendevamo direzioni differenti verso vite misteriose, la mia camera e la sua camera, mio padre e suo padre, quello che mangiava lei e quello che mangiavo io.
Adesso quando si parla d’amore io mi sento in imbarazzo.
Come se si parlasse di che tempo farà fra un anno o di quando gli alieni invaderanno la terra.
Non so da dove cominciare, pero’ mi viene in mente la felicità di quando vedevo Cinzia accettare la metà del mio panino.
Invidio quelli che ne sanno molto.
Quelli che amano da grandi. Quelli che sanno declinare il verbo amare in tutto le forme, dal passato al futuro con una strana predilezione per la forma interrogativa e per l’imperativo.
Io cerco di capire il segreto.
Li osservo.
Li guardo quando si abbracciano, quando si baciano, ci deve essere penso, una strategia, in questa santa alleanza.
E non capisco.
Ho solo un intuizione.
Le alleanze servono a sconfiggere nemici.
E chi possono essere questi nemici?
Forse la solitudine, forse la paura del futuro, forse le convenzioni sociali ed etiche.
Forse la paura di una memoria non condivisa, forse c’è bisogno di qualcuno o di qualcuna che ci convinca che siamo esistiti.
Ed è per questo che quando vedo la rappresentazione di un amore io mi commuovo come un coglione.
Mi commuove la mamma che abbraccia sua figlia, il marito che abbraccia la moglie, e il cane che corre verso il suo padrone.
Credo che a commuovermi sia il trovarmi di fronte a un sentimento di cui non so nulla.
Ho amato e sono stato amato, ma sempre con quel sospetto che si deve a uno sconosciuto.
Da piccolo però avevo le idee chiare.
Avrei passato la mia vita con Cinzia che aveva accettato la mia proposta di dividere la merenda.
Finite le elementari i genitori di Cinzia cambiarono città e lei cambio’ scuola.
Senza di lei potevo mangiare da solo tutto il mio panino, nonostante questo quando il panino finiva avevo piu’ fame di quando lo dividevo con lei.
Fosse questo l’amore?
Guido Prussia

Quanta verità riesci a sopportare?

L’anziano guardò negli occhi il bambino e gli disse:
“Quanta verità riesci a sopportare?”
Il bambino abbassò lo sguardo e rispose:
“Non lo so.”
Lui prese una pietra da terra e gliela mise in mano.
“Pesa?” gli chiese.
“No.” Rispose.
Prese la pietra e la mise di fronte a un piccolo buco nel terreno coprendolo.
“Ora quelle formiche non possono piu’ uscire. Sono in trappola. Ed è bastata una piccola pietra.”
Il bambino non capiva.
“Liberale.” Gli disse.
Il bambino si abbasso’, raccolse la piccola pietra e la gettò via.
“Non ti è costata molta fatica fare quello che mille formiche non sarebbero riuscite a fare.”
“Quanta verità riesci a sopportare?” Gli chiese di nuovo.
“Quella che basta a sentirmi libero.” Rispose il bambino.
Ascolta:
“Amerai e potrà capitare che dovrai abbandonare ciò che ami.
Ti sentirai in colpa per questo,e non sarai capace di trovarti un alibi.
Potrai salvare persone, animali e anche cose ma loro lo dimenticheranno.
Ti sentirai inutile come una penna che ha finito l’inchiostro, e le tue parole saranno segni indecifrabili su fogli di pietra.
Sentirai il peso della sofferenza degli altri sentendoti in debito per la tua salute.
Un debito senza creditore che ti farà nascere sensi di colpa.
Avrai voglia di essere amato e costruirai nella fantasia parole, volti, e carezze e le farai recitare ad attori consumati nell’arte di compiacerti ma incapaci di riconoscerti.
Il tuo cane ti morirà tra le braccia.
Parlando con tua madre sentirai la voce di tuo padre urlare da lontano: “Salutamelo”.
E sarà l’ultima volta che udirai la voce di tuo padre.
Ti commuoverai e ti chiederai sempre se è solo una questione scientifica legata a quel cazzo di sistema limbico, o se dietro quella commozione c’è l’anima di un uomo.
Ti sentirai inutile come un lampo davanti a un cieco o un tuono nelle orecchie di un sordo, e crollerai sulle ginocchia chiedendo perdono per colpe che non hai commesso.
Sarai tentato di cedere alla necessità di sentirti cittadino di un territorio, ti chiederanno cosa sei disposto a fare per difenderlo, apparterrai a una razza, crederai a un Dio, e nonostante tu non abbia mai deciso niente di tutto questo finirai col sentirti orgoglioso di un appartenenza casuale.
Vedrai Imperatori grattarsi il culo sporco di merda e poi offrirti con le mani gli avanzi del loro pranzo.
Vedrai Giudici masturbarsi mentre scrivono le loro sentenze, godendo del potere di giocare con il destino delle persone.
Chi ha una mano darà giudizi sugli anelli degli altri.
Chi ha due piedi darà giudizi sulle scarpe degli altri.
Chi ha una testa darà giudizi sui pensieri degli altri.
E sarai solo.
Perchè finirai per rinchiuderti dentro una stanza piuttosto che vivere nella libertà di ascoltare milioni di cazzate.
Sarai un cercatore di eccezioni.
Quintofogli. Pezzi di meteoriti. L’ultima macchia di neve che resiste al caldo. Il primo numero di Topolino. La donna che ama.
La ricerca darà un senso alla tua vita piu’ della scoperta.
Non sarai solo.
Riconoscerai quelli come te come il tatto riconosce il velluto.
Tutta questa verità ha un merito che non ha prezzo.
Ti da il permesso di non inginocchiarti mai davanti a nessun feticcio di presunta divinità.
Vivere non è un dono è un lavoro.”
Il bambino guardo’ l’anziano.
Rimase in silenzio per qualche secondo e poi disse.
“Ma ci sarà il tempo di giocare?”

Foto d’epoca

Camera d’albergo

La camera d’albergo è per sua natura disinibita, prova sentimenti fragili e il suo aspetto tradisce solitudine e smarrimento.
E’ certamente superficiale, non per sua indole ma per scelta, sa che legarsi troppo a un ospite renderà piu’ triste l’addio.
A volte è trionfalmente squallida, a volte è squallidamente trionfale.
La arredano ricordi sbiaditi come fogli di giornale lasciati al sole, e parole d’amore volanti dette prima di addormentarsi che nel tentativo di fuggire hanno sbattuto contro le tende trasformandole in un giardino fiorito.
Guido Prussia